La Ghisolfa di Giuseppina Pizzigoni: da Rocco e i suoi fratelli all’outdoor education

Il toponimo Ghisolfa evoca nei cinefili e nelle cinefile lucani/e, e non solo, il capolavoro viscontiano del 1960 ispirato dai racconti contenuti in Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. Nel film Rocco e i suoi fratelli, i prati della Ghisolfa (così come altri luoghi di Milano) fanno da sfondo a passioni ancestrali, passioni cariche di distruttività, ma portatrici del germe della speranza, speranza in un rinnovamento dell’anima prima ancora che del corpo.

1. Ghisolfa
Vecchia Milano. Il ponte della Ghisolfa

Per i lucani e le lucane, e non solo, che vivono e lavorano a Milano, specialmente in ambito educativo, Ghisolfa richiama una scuola, la Rinnovata-Pizzigoni, oggi Istituto Comprensivo con due plessi di scuola primaria e una Secondaria di primo grado.
La scuola Rinnovata-Pizzigoni è situata, infatti, nel quartiere della Ghisolfa (Municipio n.8) posto a Nord-Ovest della città di Milano, quartiere che, come si legge nel PTOF della scuola stessa, «è una complessa realtà multietnica e multiculturale, con famiglie appartenenti a tutti i ceti sociali». Inaugurata nel 1911, la scuola Rinnovata-Pizzigoni conta oggi circa 1300 studenti e nel corso degli anni il suo bacino di utenza è andato ben oltre i confini del quartiere, arrivando negli ultimi anni a dover rifiutare diverse iscrizioni per insufficienza di spazi. E pensare che, Giuseppina Pizzigoni, milanese doc, classe 1870, all’inaugurazione della scuola, in un padiglione Döcker (prefabbricato in legno) gestiva soltanto 64 studenti, distribuite/i in due classi prime miste (grande novità per l’epoca, visto che la divisione delle classi per genere ha avuto lunga vita nella scuola italiana) insieme alla amica di sempre, Maria Levi.

2. Vecchia Milano. Scuola Rinnovata Pizzigoni
Vecchia Milano. Scuola Rinnovata Pizzigoni

Le/i bambine/i provenivano da contesti semplici, perlopiù famiglie di contadini e operai. Questi ultimi già ai tempi dell’inaugurazione della scuola ponevano agli occhi dell’opinione pubblica il problema sociale operaio, problema che, più avanti negli anni, darà linfa vitale al circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, tra i cui militanti spiccava il nome del ferroviere Giuseppe Pinelli.

3. Circolo Ponte_della_Ghisolfa
Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa

Giuseppina Pizzigoni apparteneva a quella che potremmo definire la “Milano Bene” nel senso più nobile del significato: quello dell’essere e non dell’avere, quello del fare e non dell’apparire.
Era la prima delle quattro figlie di Carlo Pizzigoni, intellettuale d’ispirazione socialista, traduttore di Émile Zola e di altri autori francesi, discendente dal pittore tirolese Martino Knoller, le cui opere si ritrovano in diversi luoghi d’arte di Milano, soprattutto sotto forma di affreschi.
In adolescenza, Giuseppina manifestò una passione per il teatro, ma le sue ambizioni artistiche vennero ridimensionate dai genitori che, sulla scia di una tradizione borghese di fine Ottocento, preferirono instradare la figlia verso un percorso scolastico tradizionale e ancorato alla disciplina del lavoro.
A diciotto anni conseguì il diploma magistrale e un anno dopo, nel 1889, iniziò la sua carriera di insegnante, carriera che le permise di dare forma e sostanza alle proprie idee pedagogiche, idee intrise di quella vena artistica che mai l’abbandonò. «Io porto in eredità il gusto per l’arte; e non so vivere e lavorare in ambiente brutto, e però era naturale che, creando una mia scuola, una scuola secondo il mio spirito, io la creassi bene. Ma la mia preoccupazione non si arrestò già alla linea architettonica e alla decorazione degli ambienti: essa si fermò sul diritto del bambino alla gioia; e siccome la gioia viene all’uomo da ogni forma di bellezza, così sentii il diritto del bimbo a una vera e propria educazione estetica». Così scriveva nel 1931 in Le mie lezioni ai maestri d’Italia.

4. foto pizzigoni

Sin dall’inizio della sua attività, Giuseppina denunciò l’inadeguatezza della scuola italiana rispetto alle richieste della società del tempo sempre più trasformata dallo sviluppo tecnico- industriale e necessitante, di conseguenza, di un insegnamento rinnovato. Al nuovo modo di fare scuola si richiedeva, pertanto, una vocazione popolare che scardinasse il carattere elitario di una scuola saldamente ancorata a metodi e programmi tradizionali.
La scuola doveva formare cittadini consapevoli del domani, impedendone processi di frammentazione e spersonalizzazione tipici della società di massa.
Per la maestra meneghina era inaccettabile la costrizione fisica di studenti immobilizzati nei banchi, la scarsa considerazione rivolta all’educazione fisica, l’astrazione dei programmi distanti dalla vita reale e calati dall’alto da un’autorità esterna che ne determinava tempi e spazi di esecuzione. Nel 1909 spinta dal sacro fuoco del rinnovamento, Giuseppina, insieme alla fidata Maria Levi, partì per un viaggio (che la portò dapprima in Svizzera e poi in Alsazia) allo scopo di conoscere nuove realtà educative, attratta dal movimento dell’attivismo pedagogico, la cui principale manifestazione era incarnata nelle Nuove Scuole che, pur nell’eterogeneità delle manifestazioni, trovava origine comune nell’esperienza inglese della scuola di Cecil Reddie ad Abbotsholme. Giuseppina ne studiò i programmi scolastici, insieme a quelli delle esperienze educative tedesche (si recherà anche in Germania) delle Landerziehungsteime e dell’École des Roches di Edmond Demolins in Francia.
Al suo ritorno in Italia, Giuseppina confrontando e rielaborando i vari riferimenti teorici e le osservazioni condotte all’estero (pur nel rifiuto del carattere dottrinario delle esperienze europee), elaborò il suo metodo sperimentale di insegnamento denominato, per l’appunto, Rinnovata, metodo i cui tratti distintivi, rispetto agli altri paesi europei, sono la matrice popolare e il carattere pubblico della scuola.
Giuseppina, si sa, era donna del fare e in un paese in cui le scuole elementari, oggi scuole primarie, dipendevano dai Comuni (ai quali spettava anche la realizzazione degli edifici) si mise alla ricerca di “partner” con cui condividere l’ardimentoso progetto didattico; “i compagni di viaggio” avevano nomi altisonanti e curricola professionali di tutto rispetto: Giovanni Celoria astronomo, Eugenio Medea neuropsichiatra, Zaccaria Treves fisiologo e psicologo, Temistocle Calzecchi fisico, ma anche illuminati industriali del calibro di Ercole Marelli, Innocenzo Vigliardi Paravia, Felice Bisleri, Marco De Marchi, nonché Angelo Mauri, politico antifascista. Nacque così il Comitato Promotore per l’apertura della Scuola Rinnovata secondo il metodo sperimentale che ottenne sostegno istituzionale dall’allora Ministro della pubblica Istruzione Credaro e sostegno finanziario dalla Cassa di risparmio delle province lombarde. Il Comune di Milano autorizzò l’esperimento di riforma del metodo di insegnamento che debuttò per l’appunto nel 1911.
Nomen omen: il metodo è già contenuto nel nome, quel nome di Rinnovata che prese subito le distanze dalla scuola tradizionale basata esclusivamente sulla lezione e incurante delle fasi dello sviluppo infantile. Il fulcro del nuovo metodo risiedeva (e risiede) nel superamento del verbalismo scolastico tipico della pedagogia positivista, attraverso un percorso educativo globale (che anticipa di quasi un secolo modelli e paradigmi sul “funzionamento umano”) attento alla dimensione bio-psico-sociale del bambino.
I concetti chiave che ne derivano mettono al primo posto l’esperienza diretta dell’alunno, il quale, in un tempo dilatato (viene istituito il tempo pieno) alterna momenti di studio con attività manuali, preferibilmente all’aperto, a contatto con il verde, innaffiando, coltivando e potando (inconsueto per la Milano industriale!), finalizzate a fare esperienza di vita, a comprendere l’importanza del lavoro e ad aprirsi al mondo.
Nella Rinnovata Pizzigoni è anche lo spazio a essere dilatato: si smantella il dentro e il fuori, con la classe che si estende all’esterno. In via Castellino da Castello di Milano, al curioso osservatore appare in tutta la sua bellezza un edificio di mattoni rossi, tipico delle case coloniche lombarde e del paesaggio architettonico milanese. La struttura venne inaugurata nel 1927, dopo un lavoro di progettazione degli ingegneri Valverti e Belloni e con l’apporto determinante della stessa Pizzigoni. L’edificio al piano terra contiene le aule luminose tutte in comunicazione diretta con i giardini e i cortili. Oggi, si legge nel Ptof della scuola: «Per quanto riguarda gli spazi esterni alla struttura, ci sono un cortile interno, destinato allo sport e al gioco, un campo da calcio, e un giardino in cui si trovano gli orti, un boschetto, la piscina, una serra coperta e riscaldata, una casa colonica compresa di stalla e magazzini, e il padiglione di agraria, in cui sono situate tre aule, una piccola cucina e una stanza laboratorio/biblioteca dove si possono consultare testi scientifici». Il metodo esclude chiaramente l’apprendimento passivo legato alle nozioni dei libri di testo; all’autrice interessava portare i bambini a stretto contatto con la natura, attraverso attività altamente formative come la preparazione di un orto, la raccolta e la vendita dei relativi prodotti, valorizzando le proposte educative interdisciplinari che potevano nascere proprio dalla cura dell’orto e/o del giardino.

5. La coltivazione
La coltivazione

Il metodo procede per via induttiva: dall’esperienza concreta e personale dell’alunno si arriva ai principi generali che la governano. Scrive la Pizzigoni nel 1921: «Scopo il vero, tempio la natura, metodo l’esperienza. (motto della scuola N.d.R.) L’applicazione del metodo sperimentale non si circoscrive a una lezione, ma tutte le penetra e le collega per l’infinita rete di riferimenti coi quali un fatto è allacciato a molti altri, cosicché i veri poteri mentali sono esercitati simultaneamente in una ginnastica tanto piacevole quanto fruttuosa». Per esempio, pesando gli ortaggi che hanno coltivato e poi raccolto, i bambini imparano il peso netto, il peso lordo, il ricavo.
L’esperienza diretta passa anche attraverso il mondo esterno alla scuola: passeggiate, escursioni, visite a musei, visite guidate a fabbriche e attività produttive, sono lo spunto per apprendere nozioni di storia, geografia e scienze e altro ancora, e permettere così alla società di entrare a scuola. L’importanza dell’ambiente e del lavoro è accompagnata da una pluralità di interventi educativi. Sin dagli esordi, accanto alla maestra titolare, il metodo Pizzigoni prevede un corpo docente plurale e specializzato. In anni recenti esso è costituito da insegnanti specializzate/i nelle seguenti discipline: Educazione all’Immagine, Educazione Motoria, Educazione Musicale (la scuola ha un vero e proprio inno), Inglese (in realtà la Pizzigoni era partita col francese) e Religione Cattolica.

6.NO DIDASCALIA

Continuando con la nomenclatura contemporanea, ogni classe ha un tutor; vi sono, inoltre, esperti in dispersione scolastica e specialisti nelle attività di sostegno. Nel 1917 il Ministero della pubblica istruzione istituì il tirocinio speciale presso la Rinnovata (oggi i tirocini sono universitari), riconosciuto come titolo valido per i concorsi magistrali e nel 1922 venne pubblicato il volume Linee fondamentali e Programmi della Scuola Rinnovata.
I successi non si fecero attendere: le iscrizioni aumentarono e si rese necessaria la costruzione della sede attuale in Via Castellino da Castello risalente, come già detto, al 1927.
Nel 1929 Giuseppina Pizzigoni lasciò l’insegnamento e la direzione della propria scuola (Giuseppina ne era diventa direttrice dopo aver superato un pubblico concorso) e si dedicò alla divulgazione delle sue idee pedagogiche organizzando e svolgendo il Corso annuale ai maestri d’Italia. Nel 1931 venne pubblicata Le mie lezioni ai maestri d’Italia, opera che può essere definita il manifesto programmatico della sua proposta educativa.
Nel 1927 ella aveva già fondato l’Opera Pizzigoni, trasformata in ente morale con regio decreto nel 1933 e trasformata in Associazione Opera Pizzigoni nel 2015. Oggi l’Associazione Opera Pizzigoni (senza fini di lucro) ha come proprie finalità: la diffusione del metodo, la promozione del Corso di differenziazione didattica, la collaborazione e il supporto alla Dirigenza dell’attuale Istituto Comprensivo per l’attuazione del programma, il mantenimento dell’ archivio storico (archivio che mette a disposizione il materiale in esso contenuto agli studiosi che ne facciano richiesta), l’accoglienza di studenti dei Licei delle scienze umane, la promozione e il mantenimento di contatti con altre realtà scolastiche che vogliano sperimentarne il metodo.
In molti si chiedono il perché la Rinnovata-Pizzigoni della Ghisolfa sia rimasta unica nella realtà di Milano. La scuola-natura (richiami suggestivi a giardini pensili e orti verticali) se replicata su vasta scala, avrebbe conferito un aspetto diverso alla città! Incisive le parole della Pizzigoni: «Di fatto la scuola, vista nel suo aspetto esteriore, è bella: bella per la sua linea architettonica; bella la sua decorazione murale; bella la disposizione in padiglioni sorgenti tra il verde dei prati, dei campi, delle aiuole, dei chioschi; bella la decorazione dei luminosi corridoi, e quella delle aule tutte. Per chi conosce il mio spirito, il fatto non sorprende». Noi potremmo sintetizzare affermando che il bello genera bello. La risposta al quesito posto sopra chiama in causa gli aspetti economici, inconciliabili con una didattica di qualità e una scuola di eccellenza. I costi di mantenimento dell’Azienda agricola, così come l’allargamento dell’organico per ricomprendere gli/le insegnanti specialistici/he (agraria, musica, nuoto ecc.) sono inconciliabili con una politica scolastica di tagli messi in campo dai governi degli ultimi vent’anni. Più volte, dirigenza e personale scolastico hanno lanciato sos al Ministero e al Comune di Milano. Le richieste di intervento rimangono spesso lettera morta, ma, fortunatamente, la pervasiva rete sociale e il solido Comitato genitori si sostituiscono, spesso, alle istituzioni nelle operazioni di manutenzione ordinaria, rinsaldando quel sentimento di comunità affievolito dalla schizofrenica dimensione post-moderna.
La carica innovativa dell’opera pedagogica di Giuseppina Pizzigoni, il suo impegno nella diffusione del metodo in Italia e fuori, non hanno permesso di eguagliare i traguardi della coeva Maria Montessori. Le due pedagogiste italiane, nate per l’appunto nel 1870 (nello stesso anno nasce anche Carolina Agazzi) presentano profili differenti a cominciare dalla formazione (medica per la Montessori, scuola magistrale per la Pizzigoni), profili che hanno determinato una diversa diffusione delle scuole: le scuole montessoriane sono tuttora molto apprezzate all’estero e il loro numero cresce di anno in anno. Fenomeno quasi assente per le scuole pizzigoniane. Maria Montessori è stata in realtà molto attenta alla cura della propria immagine internazionale, mentre Giuseppina Pizzigoni è stata donna di scuola a tutto tondo, ferma sostenitrice di metodi innovativi sia nell’apprendimento che nell’insegnamento, mai infeudatasi in questa o quella corrente ideologica.
Anche il dibattito pedagogico vede incontrastato il primato montessoriano. Basti sfogliare, per esempio, i principali manuali in uso nei Licei delle scienze umane, manuali che dedicano a Maria Montessori intere sezioni e capitoli, mentre Giuseppina Pizzigoni compare solo in alcuni volumi, occupandone spazi irrilevanti.
Chissà se, invece, i sostenitori dell’Outdoor education (orientamento pedagogico di matrice anglosassone che sottolinea l’importanza dell’ambiente esterno quale spazio di formazione, ma che in Italia stenta ancora a decollare a dispetto di numerose ricerche indicanti in questo tipo di educazione il motore per una crescita sana ed equilibrata dei bambini) oltre a riconoscere, nella definizione dei principi base del loro orientamento, l’influenza di John Dewey, padre dell’attivismo americano e maestro di Learning by doing, rendano conto anche all’autorità della pedagogista meneghina, giacché è innegabile il raccordo tra i paradigmi dell’outdoor e le idee pedagogiche di Giuseppina Pizzigoni.
Lo stesso riconoscimento in termini di influenza dovrebbe accompagnare la lettura delle Linee guida per l’apertura delle scuole a settembre 2020, nella parte in cui il legislatore suggerisce alle istituzioni scolastiche «attività educative da svolgersi all’aperto e/o in spazi esterni, di concerto con gli enti locali».
Parrebbe attuale la figura di questa austera maestra che si inserisce a pieno titolo nel vivace dibattito sulle modalità con cui rinnovare la scuola italiana, dibattito che tenta, seppur faticosamente, di ridefinire spazi e tempi, oramai troppo obsoleti per contrastare vecchie e nuove pandemie. Perfino la conclusione della vita privata della maestra pare avere i contorni di molte storie di questi giorni: Giuseppina Pizzigoni morì povera tra i poveri in un ospizio (oggi definito RSA) di Saronno il 4 agosto 1947.
Ieri come oggi, però, Milano non dimentica e non lascia cadere nell’oblio la straordinaria opera di una straordinaria donna che ha speso la propria vita in nome della scuola pubblica.

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Milano, foto di Nadia Boaretto

Il 21 maggio 1958 le ceneri vennero traslate per volontà del Comune nel Famedio del Cimitero Monumentale. In anni più recenti, inoltre, Il Comune le ha intitolato una via, a futura memoria di una donna la cui opera è carica di tensione etica e sociale.
E di nuovo la testa va a Rocco e i suoi fratelli.

8. Abbandonato

 

26 commenti

  1. Articolo interessante e attuale.
    Giuseppina è stata veramente una donna dedita all’educazione e alla trasmissione di sapere a tutte le persone. Un esempio a da seguire.
    Grazie Modesta di aver ricordato la figura di una donna straordinaria

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  2. Modesta, un articolo che ho letto con piacere, che mi ha riportato indietro nel tempo, quando fresca di studi, mi preparavo per i concorsi magistrali e cercavo di studiare e avere molte più informazioni utili. Mi ha fornito delle notizie che ho apprezzato tantissimo e che non conoscevo. Del resto alcune informazioni sembrano identificarsi nelle Linee Guida dell’attuale Ministro Azzolina. Grazie

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  3. Complimenti prof😊!!!
    Il suo articolo mi è piaciuto moltissimo. Mi ha fatto scoprire una donna che non conoscevo pur essendo una delle prime insegnanti che si sono approcciate ad una linea innovativa nel campo educativo, lasciando da parte teorie vecchie ed inutili. Le sue idee, soprattutto quelle riguardante la ricerca di spazi aperti e ampi, possono essere di esempio per la riapertura delle scuole, mantenendo ugualmente le norme anti-Covid. Veramente un ottimo articolo.

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  4. Un bell’articolo che fa riflettere su alcune idee che hanno valore assoluto, indipendentemente dal luogo e dal priodo storico in cui sono nate.

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  5. Un bell’articolo che fa riflettere sul valore assoluto di alcune idee, indipendentemente dal periodo storico o dal luogo in cui sono nate.

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  6. Articolo interessantissimo! Sarebbe veramente bello se tutte le scuole lavorassero seguendo il metodo di Giuseppina Pizzigoni. A mio avviso, ci sarebbero piu’ insegnanti e alunni motivati, i primi a insegnare e i secondi ad apprendere con entusiasmo perche’ l’esperienza diretta e’ fondamentale in quanto l’apprendimento nasce dalla riflessione sistematica e controllata sull’esperienza messa in atto dal soggetto che apprende. Grazie Modesta

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  7. Davvero molto interessante professoressa. colpisce l’autonomia di cui si è stata dotata questa favolosa ricercatrice .. l’attuale burocrazia non permetterebbe una libertà di applicazione di un metodo sperimentale di quella portata … per non parlare della costruzione fisica di una scuola dotata di spazi ad hoc per lo studio delle attività scolastiche a 360* comprese quelle naturalistiche !
    Certo … finché è rimasta in ambito comunale è riuscita a far comprendere l’importanza del bello … ma a livello nazionale non ha potuto avere grandi spazi poiché nn ha voluto , a differenza della Montessori, legarsi al regime (poi rinnegato anche dalla più famosa Maria !) pertanto la diffusione del metodo purtroppo è rimasto limitato anche in forza dei costi .
    Bisognerebbe creare un dialogo fantastico …Pizzigoni vs. Azzolina e forse il risultato potrebbe sorprenderci !
    Comunque farò un salto a vedere qs scuola così all’avanguardia già a fine ‘800. Grazie Prof 👍

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  8. Grazie per il lungo, interessante articolo. Per alcuni anni (una ventina d’anni fa) sono stata la portalettere della via Castellino da Castello e qualcosa sapevo, ma non così bene…Mi chiedo se la Pizzigoni avesse mai incontrato la Montessori, di cui ho letto una biografia recentemente e se. vi fosse una condivisione di intenti…o amicizia e riconoscimento reciproco ..mi farebbe piacere che sì..

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    1. Buongiorno, grazie a lei per l’interessamento! Ufficialmente non si annoverano pubblici incontri tra le due protagoniste. Ma questo non esclude che tra le due non sia sia stata una condivisione di intenti, anzi. Entrambe avevano a cuore il benessere della scuola e il rinnovamento dei metodi educativi. Ma le biografie sono andate in direzioni diverse: la Pizzigoni non si è mossa quasi mai da Milano, mentre Montessori ha girato il mondo. La Pizzigoni ha vissuto in funzione della sua Rinnovata, spentosi completamente per essa. La Montessori, invece, ha profuso le sue energie nella diffusione del metodo, soprattutto all’estero, visto che in Italia ha avuto all’inizio tanti detrattori. Il quadro delle attiviste italiane si completa poi con le Sorelle Agazzi e la ticinese Boschetti. A presto!

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