Les Saltimbanks sono il gruppo musicale che, a partire dal 2009, accompagna le manifestazioni della sinistra francese, in particolare dell’ex Front de Gauche, la formazione, oggi nota come La France Insoumise, guidata da Jean-Luc Mélenchon. Fondata a Lille da Kaddour Hadadi, in arte HK, rapper francese di origini algerine, la band è composta da una fisarmonica, un trombone, un violino, due chitarre, un basso, una batteria e un mandolino; nonostante il suo fondatore provenga dal rap e dall’hip-hop, il genere musicale de Les Saltimbanks è molto variabile e spazia dal rock al blues, dal folk allo ska, dalla musica araba al reggae, in un miscuglio genericamente definito «musique populaire du monde». Prima di dare vita a questo gruppo, HK cantava nel complesso hip hop Ministère des Affaires Populaires. Sfidando tutti gli ultimi governi della République, il gruppo tocca temi come l’antirazzismo, la redistribuzione delle ricchezze, i diritti violati e la difesa dell’ambiente.

di Jean-Luc Mélenchon
Nel 2011 esce il loro primo album, intitolato Citoyen du monde. La copertina gialla del disco sembra presagire e anticipare il colore della rivolta francese, ma le loro idee sono “rosse”, come il logo del gruppo.
A dare il titolo al disco è un bellissimo brano, che potremmo definire ska o quasi reggae, contro il razzismo. «Non ho un inno da guerra né una Patria né un Presidente, non ho nessun altro esercito che quello di chi combatte per l’amore in barba alle leggi del denaro», recitano i primi versi. «Non ho territori da difendere contro quella povera gente che arriva da in capo al mondo»,continua il testo, scritto quando la Patria dei diritti umani non aveva ancora chiuso le proprie frontiere all’immigrazione. «C’è lo straniero buono, quello che tu accogli a braccia aperte, e c’è quello cattivo, che scacci subito dopo che ha violato la tua frontiera, c’è quello che ti sarà utile e c’è il delinquente che non vuoi vedere arrivare nella tua città»: a questo proposito, Jean-Luc Mélenchon propone la legalizzazione della cannabis proprio per far sì che gli spacciatori (prevalentemente maghrebini) delle banlieues francesi diventino lavoratori regolari.
L’orientamento pauperista di HK è reso evidente dalla frase «meglio morire che vivere nell’abbondanza coperti di vestiti quando così tanti altri sono nudi». È emblematica di questa canzone la frase «al di là delle frontiere, la terra deve appartenere a tutti o a nessuno».
Il ritornello «cittadino del mondo, partigiano di un mondo senza frontiere» sembra accomunare il Citoyen du monde di HK al Clandestino di Manu Chao e alla Fille du Vent cantata dalla rapper marsigliese Keny Arkana.
Nello stesso album è contenuta la canzone On lâche rien, il cui titolo si può tradurre come «Non lasciamo niente», nel senso di «Non rinunciamo a niente», o «Non ci arrendiamo mai» (nella versione italiana del celebre film La vie d’Adèle, On lâche rien è tradotto come «Non ce ne andiamo»). A partire dal 2012, il brano è stata adottato come inno prima del Font de Gauche e poi de La France Insoumise ma è nel 2016 che ha visto crescere il proprio successo durante le grandi manifestazioni della sinistra, note come La Nuit débout, contro la precarizzazione del mercato del lavoro voluta dal governo Hollande attraverso la Loi Travail (o Loi El-Komri, dal cognome della ministra che l’ha varata).
Il testo denuncia le ingiustizie e in particolare le profonde disuguaglianze economiche di un Paese ricco ma pieno di poveri. La redistribuzione delle ricchezze francesi è uno dei temi più cari a Jean-Luc Mélenchon, oggi candidato a spodestare il neoliberista Emmanuel Macron (e già nel 2012 candidato della sinistra contro Sarkozy e Hollande e di nuovo nel 2017 contro Le Pen e Macron).

«È così da coglioni, così stupido, parlare di pace e fratellanza quando dei senzatetto crepano sul marciapiede e si va a caccia di clandestini». Il brano si rivolge esplicitamente agli “ultimi” della società francese, «senzatetto, disoccupati, operai, contadini, immigrati, clandestini»: «in questo mondo non abbiamo un posto né un lavoro, non siamo nati in un palazzo, non abbiamo il bancomat di papà […], ci parlavano di uguaglianza e come dei coglioni ci abbiamo creduto».Viene da interrogarsi sul valore reale della democrazia nella società del “libero” mercato: «quanto pesa il nostro pacco di voti davanti alla legge del mercato […] quanto pesano i diritti umani davanti alla vendita di un Airbus […], la Repubblica si prostituisce sul marciapiede dei dittatori».
Nonostante la serietà dei temi, le note di On lâche rien diffondono allegria in tutti i cortei in cui pelli bianche e nere, volti arabi e occhi azzurri, ballano insieme.
Nell’autunno 2010, l’editoria francese ed europea accoglie con entusiasmo l’uscita del piccolo pamphlet di Stéphane Hessel Indignatevi! (Indignez-vous!). È il libro più comprato e più regalato nel Natale dello stesso anno ed è in virtù di questo testo che i movimenti sociali dell’anno successivo saranno ribattezzati dai giornali «gli indignati». Stéphane Hessel (1917- 2013), protagonista del Novecento europeo, è stato prima un fervente antifascista, e in quanto tale deportato a Dora e a Buchenwald, da cui è riuscito a fuggire per raggiungere Charles De Gaulle e unirsi alla Resistenza francese, poi ambasciatore e rappresentante della Francia all’ONU. La sua autobiografia, pubblicata nel 1996, è intitolata Danza con il secolo (Danse avec le siècle). Il suo viso calvo e sorridente ha illuminato la Francia per novantasei anni. A lui Les Saltimbanks dedicano la canzone Indignez-vous! (nessun titolo poteva essere più appropriato), contenuta nell’album Les temps modernes, uscito nel 2012. È un brano quasi rock, con accordi forti e decisi, come lo spirito di chi ha conosciuto le più grandi atrocità della Storia e le ha combattute.

«Ho alzato la voce e il pugno, quando la regola era il silenzio […] non potevo essere né complice né testimone, sono entrato nella Resistenza […] siate tra coloro che marciano contro il vento, indignatevi indignatevi indignatevi». Il libro di Hessel è di grande attualità, la sua indignazione tocca molti temi, dalla questione palestinese alla dittatura delle banche che impongono tagli alla sécurité sociale. L’ex partigiano si schiera sempre dalla parte degli ultimi e invita i giovani a fare altrettanto: «sono stato quell’armeno, sono ancora quell’ebreo tedesco, sono il popolo palestinese, la giustizia è il mio unico campo. Siate ancora senza frontiere, tra i popoli che si sollevano, contaminate tutta la terra con le vostre rivolte e i vostri sogni. Indignatevi, è un vostro diritto, e in memoria di tutto coloro che muoiono per non averlo, questo diritto è di fatto un dovere». Ecco il compito storico della sinistra: indignarsi, non tacere mai ed essere sempre dalla parte degli ultimi, essere sempre un palestinese in Medio Oriente, un ebreo in Germania, un armeno (o un curdo) in Turchia. Il Subcomandante Marcos, portavoce della rivolta indigena in Messico, dice di se stesso: «sono un gay a San Francisco, un nero in Sudafrica, un asiatico in Europa, un chicano a San Isidro, un anarchico in Spagna, un palestinese in Israele, un ebreo nella Germania nazista, un femminista nei partiti politici, un comunista dopo la guerra fredda, un Mapuche nelle Ande, un artista senza galleria, una casalinga un sabato sera in qualsiasi quartiere di Città del Messico». Visto che Stéphane Hessel parla di cittadinanza senza frontiere, oggi sarebbe anche un migrante a Ventimiglia.
Nel 2015 esce l’album Rallumeurs d’étoiles. L’ultimo brano, Fukushima mon amour, si schiera con il movimento ambientalista e contro l’energia nucleare: oggi, la chiusura delle centrali nucleari è tra le principali proposte de La France Insoumise e del partito ecologista di sinistra, mentre Macron punta sull’aumento del nucleare per assicurarsi i voti della destra liberista.
Ma la canzone principale di quest’album è Sans haine, sans armes et sans violence. Qui, oltre a invitare a una lotta pacifica ma determinata, da portare avanti, appunto, senza odio né armi né violenza, si denuncia la condizione umana nel mondo neoliberista: «è un’evidenza, le nostre vite non hanno più nessun senso, da quando i nostri sogni sono messi in vendita al prezzo della benzina […] siamo di una specie non protetta, la nostra obsolescenza è programmata, dobbiamo sparire dai loro scaffali prima della liquidazione totale.
Questo brano è diventato di fatto l’inno dell’ala sinistra dei gilet gialli (Gilets Jaunes), il movimento nato nell’autunno del 2018 in risposta alle riforme ultraliberiste di Emmanuel Macron e alla crescente aggressività delle forze di polizia.
Nel video ufficiale della canzone, sono ritratti i principali miti della sinistra francese, come Henri-David Thoureau, Gandhi, Rosa Parks, Matin Luther King, Hannah Arendt, piazza Tien An Men, il muro di Berlino, i Gilets Jaunes, le femministe, piazza Tahrir, piazza Syntagma, Sea Shepherd e Greenpeace, le ZAD francesi.
Nel 2015 la Francia viene sconvolta dagli attentati di matrice islamica. Anzi, di matrice estremista islamica: è bene ricordare sia all’attuale Presidente sia alla sua sfidante che non è l’intero mondo arabo a praticare il terrorismo. Il primo di questi attentati colpisce la sede del settimanale “satirico” (la cui satira è piuttosto offensiva) Charlie Hebdo. Mentre la stampa occidentale si schiera compatta contro i barbari musulmani in un coro di «Je suis Charlie», HK risponde, quasi commosso, in un altro Je suis Charlie, un brano lento e struggente ma dedicato a tutte le vittime: «Non ho l’indignazione selettiva, quando il mio cuore viene toccato non chiedo né il nome né il colore della pelle delle vittime».E così ricorda: «Je suis Charlie, je suis Adama (donna araba uccisa a Marsiglia dalla polizia francese), je suis Rémi (militante ambientalista ucciso a Notre Dame de Landes dai CRS)…».
La fin du moi, le début du nous, contenuta nell’album ecologista Petite terre,è un brano contro l’ego. «Comincia a scuola giocando al primo della classe, quando l’innocenza sparisce e il bambino vola via; tra concorsi ed esami, le nostre vite sono in competizione», fino al punto che «tendersi la mano diventa un’eccezione».
Qui è presente un simpatico gioco di parole tra je (io) e jeu (gioco): lo slogan pubblicitario «l’abus du jeu est dangereux pour la santé» («l’abuso del gioco è pericoloso per la salute») diventa «l’abus du je est dangereux pour la santé, il peut provoquer des crises d’égo surdimensionnées» («l’abuso dell’io è pericoloso per la salute, può provocare delle crisi di ego eccessive»).
«In questo grande gioco dell’IO ogni cinque anni assumiamo l’eletto dalla Provvidenza caduto dal cielo: è chiaro a chi si riferisce questa frase…
«Ci sono – prosegue il brano – coloro che governano e coloro che si limitano a obbedire, coloro che sanno fare e coloro che eleggono e poi devono tacere fino alle prossime elezioni perché un capo deve capeggiare come il Santo Padre della Nazione». Davanti a una V Repubblica diventata di fatto una sorta di assolutismo elettorale, in cui poteri enormi e poco bilanciati sono concentrati nelle mani di un’unica persona, Jean-Luc Mélenchon propone il passaggio a una VI Repubblica in cui le decisioni più importanti siano prese attraverso referendum di iniziativa popolare: il RIC (Referendum d’Initiative Citoyenne) è oggi tra le principali richieste del movimento dei Gilets Jaunes e de La France Insoumise.
La fin du moi, le début du nous (La fine del me, l’inizio del noi) è anche il titolo dello spettacolo teatrale con cui HK e i Gilets Jaunes stanno accompagnando la campagna contro Macron in vista delle imminenti elezioni presidenziali.
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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.