La donna nel Rinascimento. La presenza femminile nelle arti e nelle scienze

Stranamente, proprio in un’epoca in cui scompaiono dal mondo reale, le guerriere popolano invece i poemi cavallereschi scritti fino alla metà del Cinquecento: Meridiana e Antea nel Morgante di Pulci, Marfisa e Bradamante nell’Orlando innamorato di Boiardo, due guerriere che ritroviamo nel Furioso di Ariosto insieme alla grandiosa figura di Angelica, fino all’eroina di Tasso, la musulmana Clorinda, che si batte con estremo coraggio nel duello all’ultimo sangue con Tancredi.

Louis Jean François Lagrenée, Tancredi con Clorinda morente, 1761

Figlia di un re etiope e rapita da bambina, viene educata come musulmana e guerriera. Clorinda non combatte fingendosi un uomo, ma come soldatessa e in quanto tale esige e si guadagna il rispetto dato a qualsiasi altro uomo in armi. Mentre le donne guerriere della tradizione classica e cavalleresca sono descritte esclusivamente come eroiche combattenti, nella Gerusalemme Liberata Clorinda si rivela progressivamente nella sua femminilità, che viene a prevalere sull’aspetto puramente militaresco e guerriero.
È una bellissima guerriera pagana che combatte con i difensori di Gerusalemme, indossa un’armatura bianca con un’insegna che rappresenta una tigre: è totalmente votata al dovere militare e del tutto insensibile ai richiami amorosi, simile in ciò alla virgiliana Camilla, la regina dei Volsci colpita a morte da un troiano nel libro XI dell’Eneide, ma anche alla Bradamante dell’Orlando Furioso. Da bambina Clorinda è stata allattata da una tigre e ha sviluppato eccezionali doti militari, finché si unisce alle truppe che difendono Gerusalemme nella Crociata e si mette al servizio di re Aladino. Clorinda è amata senza speranza da Tancredi, che l’ha vista un giorno presso una fonte ed è rimasto folgorato dalla sua bellezza. Sarà lo stesso Tancredi ad affrontarla nel duello notturno e a infliggerle la ferita mortale. In fin di vita chiede di essere battezzata, e muore in grazia di Dio.

Plautilla Nelli, Ultima Cena

Durante tutto il Rinascimento, le donne lottano per farsi strada da sole. Le artiste, in particolare, possono guadagnarsi da vivere con il loro lavoro e nel XVI secolo iniziano a essere più accettate, sebbene costituiscano una minoranza irrisoria. Anche le cortigiane, donne altamente istruite che si circondano di artisti, intellettuali e scienziati, hanno una certa indipendenza economica, pur essendo considerate prostitute di alta classe tipo geisha.
In pieno Cinquecento, la fiorentina Suor Plautilla, al secolo Polissena de’ Nelli, benché autodidatta, realizza una tela lunga sette metri, forse il quadro più grande mai dipinto da una donna: è l’Ultima cena, nel refettorio del monastero di Santa Maria Novella, rimasta per secoli l’unica “ultima cena” dipinta da una mano femminile.

Properzia de’ Rossi, Giuseppe e la moglie di Putifarre, Bologna,
Museo della Basilica di San Petronio

A Bologna, negli stessi anni, Properzia de’ Rossi, unica donna tra 142 artisti a meritarsi un’intera biografia nelle Vite del Vasari, è bravissima a intagliare e incidere un nocciolo di ciliegia, di pesca, di albicocca o di susina, ricavando da uno spazio infinitamente piccolo sculture in miniatura che sono opere uniche nella storia dell’arte come il nocciolo di ciliegia inciso con cento piccole testine. Nello stemma della famiglia Grassi, realizzato sotto forma di gioiello in filigrana d’argento, incastona undici noccioli di pesca o di prugna, e da ognuno ricava una figura.
Properzia, “femmina scultora”, zitella a vita, è la prima donna ad armarsi di martello e scalpello per fare un duro lavoro da uomini, quello di scolpire nel marmo. Nel 1525, a 35 anni, vince a Bologna un concorso di scultura spiazzando i colleghi maschi. E crea il suo capolavoro, un bassorilievo marmoreo che raffigura la moglie di Putifarre, ricco signore d’Egitto, che cerca di trattenere e di sedurre Giuseppe, giovane schiavo ebreo. Dietro la moglie di Putifarre si cela la stessa Properzia innamorata di un uomo che non la ricambia.

Sofonisba Anguissola, Partita a scacchi, Poznan, Narodowe Muzeum

Alle donne non è concesso firmare quadri e disegni, ma viene apposto sempre il nome del padre o del marito dell’artista. Invece a Diana Scultori Ghisi, di Mantova, che come incisora fa fortuna a Roma presso la corte papale, il papa stesso permette di firmare i propri lavori, una sessantina, che lei vende con il proprio nome, Diana Mantovana o in latino Diana Mantuana.
Non esita a gettarsi con successo nell’arena delle arti Sofonisba Anguissola. Nasce a Cremona verso il 1530, muore vecchissima, tra i 90 e i 95 anni, nel 1625. In famiglia sono sei sorelle, tutte pittrici, ma lei si rivela la più brava di tutte. È la prima artista a intraprendere una carriera internazionale. Straordinaria maestra del ritratto, viene invitata da Filippo II di Spagna, va a Madrid, entra nelle grazie della regina Isabella e diventa ritrattista ufficiale della corte spagnola. Il merito è anche del padre che, quando è ancora ragazza, la incoraggia moltissimo, scrive a Michelangelo e gli invia i disegni della figlia, tra cui il Ragazzo morso da un granchio con una smorfia di dolore scolpita sul viso. Sofonisba è brava anche a dipingere scene di famiglia. Nella celeberrima Partita a scacchi, datata 1555, le sorelle minori Lucia, che poi diventerà suora, Minerva ed Europa, giocano assistite dall’anziana domestica, sulla destra. Il nome di Sofonisba è presto conosciuto in tutta Europa tanto che il venticinquenne pittore fiammingo Anton van Dyck, trovandosi a Palermo nel 1624, le va a fare visita e la ritrae ormai novantenne e quasi completamente cieca.

Lavinia Fontana, Minerva in atto di abbigliarsi, 1613, Roma, Galleria Borghese

Nel XVI secolo essere donna a Bologna, città liberale ed evoluta, è più facile che altrove. All’ombra delle torri nasce nel 1552 Lavinia Fontana. Figlia d’arte, Lavinia è una figura esemplare di moglie, madre e artista. All’età di venticinque anni, abbastanza tardi per una donna del tempo, sposa il pittore Giovan Paolo Zappi, a condizione di poter continuare a dipingere.
Lui accetta, anzi smette di dipingere in proprio e diventa l’assistente della moglie. Lavinia è prolifica come donna e come artista. Partorisce undici figli, di cui otto muoiono prematuramente, e fra i 200 e i 300 quadri. Invitata a Roma da papa Gregorio XIII, si guadagna l’appellativo di “pittrice pontificia”. Sull’esempio del pontefice, le dame romane si fanno ritrarre da lei. Lavinia è la prima pittrice professionista che lavora su commissione. Dipinge anche soggetti mitologici, come la bellissima Minerva, ritratta mentre si copre con una lussuosa vestaglia, e temi sacri, gli stessi preferiti dalla sua coetanea Barbara Longhi, di Ravenna.
Figlia d’arte è Marietta Robusti, soprannominata la Tintoretta, primogenita del famoso Jacopo Robusti, il Tintoretto. Fin da bambina frequenta la bottega del padre vestita da maschietto. In breve Marietta, che dipinge, canta e suona la spinetta, diventa il maggiore aiuto del padre.
Filippo II di Spagna e Massimiliano II d’Austria la vogliono come pittrice di corte, ma il severo genitore non la lascia partire. Muore verso i 30 anni, nel 1590. È una perdita inconsolabile per il padre che la dipinge sul letto di morte. Molte sono le opere della Tintoretta, ma col tempo alcune si sono confuse con quelle del più famoso genitore e dei fratelli. Le più sicure sono gli autoritratti.
La fiamminga Levine Teerlinc lavora come miniaturista alla corte dei Tudor, in Inghilterra, sotto la grande Elisabetta I, ed è così famosa da guadagnare molto di più dei suoi colleghi maschi. Catharina Van Hemessen, di Anversa, è invece la ritrattista della borghesia, la nuova classe sociale che si va affermando in quel paese, terra di scambi e di commerci.

Bisogna arrivare al Rinascimento per trovare, specificamente in Italia, la prima emancipazione musicale della donna con una notevole fioritura di dame dedite alla musica, anche se c’è chi, ancora nel XVI secolo, considera l’arte dei suoni strumento di perdizione e di lascivia:
«I suoni, i canti e le lettere che sanno le femmine (sono) le chiavi che aprono loro le porte della pudicizia loro». Così scrive Pietro Aretino nel 1538. Nelle corti, le fanciulle nobili imparano le lingue classiche e moderne, matematica, storia, canto, danza e musica. A Ferrara, centro musicale di primaria importanza, presso la raffinatissima corte di Alfonso II d’Este, il 20 novembre 1580 si esibisce per la prima volta ufficialmente il “concerto delle donne” (detto anche concerto delle dame o canto delle dame), un piccolo gruppo di musiciste professioniste, esecutrici e virtuose nel canto, abili suonatrici e perfino compositrici, che si esibiscono insieme regolarmente fino al 1597, anno in cui Ferrara diviene un feudo papale e viene annessa allo Stato Pontificio. Sotto la guida di Tarquinia Molza, cantante, compositrice e poeta, eseguono madrigali nei cosiddetti concerti di Musica Reservata per i membri della cerchia più esclusiva della corte e per gli ospiti importanti. La formazione più famosa, la prima orchestra da camera della storia tutta al femminile, è quella della duchessa Margherita Gonzaga d’Este, moglie del duca, formata da Laura Peperara, cantante, arpista e danzatrice di valore, la musicista più prestigiosa del gruppo, Anna Guarini, uno dei maggiori soprani rinascimentali, Livia D’Arco, Isabella e Lucrezia Bendidio, cantanti qualificate, tutte brave anche a suonare l’arpa, il liuto e la viola anche se la chiave del loro successo è soprattutto la virtuosità vocale. Le artiste, tutti soprani, vengono pagate con pesanti scudi d’oro (la Peperara ne riceve trecento all’anno), e hanno diritto ad avere un loro appartamento nel palazzo ducale. Cantano fino a sei ore al giorno, imparando a memoria tutti gli spartiti del loro inesauribile repertorio, e partecipano anche ai balletti come cantanti e danzatrici. Insieme a loro si esibisce un altro ensemble tutto al femminile, il Balletto delle donne, fondato dalla stessa Margherita Gonzaga d’Este, che vi prende parte danzando, un intrattenimento che accompagna il canto dei madrigali e la musica strumentale. Alla morte del Duca Alfonso, i libri in cui ha raccolto le composizioni eseguite dalle sue concertiste vanno perduti, e quindi non conosciamo la musica di quelle dame che, eseguita solo nell’ambito della corte, per noi come a suo tempo per i comuni mortali estranei alla corte, resta per sempre segreta, vietata.
A imitazione delle “Signore di Ferrara”, dopo il 1585 nascono altre formazioni analoghe presso la corte dei Medici a Firenze, nella Mantova dei Gonzaga e nella Roma degli Orsini.

Molte corti accolgono le donne come “virtuose del bel canto”. Nel palazzo fiorentino dei Medici spicca Vittoria Concarini Archilei, detta La Romanina, presso i Gonzaga a Mantova furoreggia Adriana Basile, la più celebre cantante e musica del primo Seicento, che dà concerti con esito trionfale.
Il 1568 segna una data storica. In quest’anno, la toscana Maddalena Casulana (c. 1544-c. 1590), abile liutista e cantante probabilmente autodidatta, pubblica Il primo libro di madrigali a quattro voci dedicato a Isabella de’ Medici: nella storia della musica occidentale è la prima composizione in assoluto pubblicata da una donna. Ed è anche l’unica sua opera, 66 composizioni, che ci sia pervenuta intera. Maddalena, che ha una vita relativamente breve, è pienamente consapevole del suo ruolo eccezionale di musica nel tardo Rinascimento.
Nella dedica alla sua protettrice, Maddalena dichiara orgogliosamente: «Voglio mostrare al mondo il vanitoso errore degli uomini di possedere essi soli doti intellettuali, e di non credere possibile che possano esserne dotate anche le donne». Dedicandosi tutta all’arte della composizione, diventa il simbolo di un’emancipazione femminile incredibilmente in anticipo sui tempi.
Della stessa Isabella de’ Medici, figlia di Cosimo, ci è stato tramandato il titolo di una sola composizione, Lieta vivo et contenta, per voce e liuto.
Figlia di Isabella de’ Medici, la fiorentina Leonora Orsini (c. 1560-1634) si trasferisce giovanissima a Roma dove, con la cugina Maria de’ Medici, forma un coro per voci femminili. È autrice della nota canzone Per pianto la mia carne si distilla.

Isabella Andreini

Nella seconda metà del Cinquecento con la nascita della Commedia dell’arte le donne salgono per la prima volta sul palcoscenico. La padovana Isabella Andreini, ricordata dai contemporanei per il fascino e il talento scenico, la prima attrice teatrale a diventare popolare in tutta Europa negli stessi anni in cui calca le scene Vittoria Piissimi, primadonna del teatro italiano, è brava a combinare la recitazione con il canto, la danza e la musica. Insieme al marito Francesco Andreini, fa parte della Compagnia dei Comici gelosi, che seguendo la pratica della Commedia dell’Arte non utilizza nessun testo scritto, ma segue un canovaccio, un soggetto di massima arricchito via via dalle improvvisazioni degli attori che interpretano personaggi codificati dalla tradizione con un ricco repertorio di situazioni comiche, a volte oscene, nel quale è messa a dura prova la bravura di ogni singolo recitante e la propria abilità nell’improvvisare. A Firenze nel 1589, in occasione delle nozze tra Ferdinando I de’ Medici e Cristina di Lorena, Andreini riscuote un enorme successo nella parte di protagonista della sua Pazzia d’Isabella. La compagnia dei Gelosi vanta un’elevata professionalità, ben diversa dai numerosi gruppi di saltimbanchi che in maniera anche rozza e superficiale improvvisano i loro spettacoli nelle piazze dei mercati o nelle osterie giusto per soddisfare il gusto dei palati meno fini. Con il teatro (e quindi il melodramma e la danza) si apre per le donne un intero mondo di nuovi sbocchi lavorativi nel settore artistico.

Lorenzo di Credi, Ritratto di giovane donna o Dama dei gelsomini,1485-1490, Pinacoteca civica, Musei San Domenico

Le donne fanno dei significativi passi in avanti anche nel settore delle competenze scientifiche. Nel quadro La dama dei gelsomini di Lorenzo di Credi, dipinto presumibilmente tra il 1485 e il 1490, è raffigurata Caterina Sforza (1463 ca.-1509), l’affascinante quanto energica e combattiva signora di Imola e Forlì, che tiene in mano dei gelsomini: sono il simbolo del suo interesse per le scienze, la botanica e la chimica.
Caterina è un’alchimista ed erborista provetta, bravissima nel preparare pomate, unguenti e miscele. I suoi Experimenti sono un ampio ricettario di cosmesi, medicina e chimica, frutto delle sue personali esperienze di laboratorio.
Nelle 471 ricette dei suoi Experimenti compaiono erbe, piante e fiori come toccasana naturali per la cosmesi e le malattie.«A guarir le mano crepate: piglia succo de ortiga et un poco de sale et nzestica insieme bene et ognete le mano dove sonno crepate… A fare odorare la bocca et el fiato: piglia scorsa de cedro, noce moscata, garofoni et salvia. Fa polvere, incorpora con vino et fanne pallottole et pigliane prima ti el cibo et de poi del cibo».
Agli albori dell’età moderna, piante velenose ed erbe malefiche gettano cattiva luce su Lucrezia Borgia, accusata di servirsi delle sue conoscenze erboristiche per avvelenare i rivali. Ma è solo una leggenda nera passata alla storia.

Marie de Brimeu

Con il Rinascimento c’è un notevole risveglio botanico, cresce l’interesse delle donne per il giardino, il paesaggio e la natura. La botanica è una delle poche scienze in cui uomini e donne possono confrontarsi quasi su un piano di parità. Ne è un esempio la fiamminga Marie de Brimeu (1550-1605), principessa di Chimay, che coltiva con amore i suoi giardini e li arricchisce con piante rare. Lavora con studiosi di fama come Clusius e con nobildonne amanti del giardinaggio, tra cui sua sorella, Louise de Coligny. Nel suo giardino di Leida, Marie coltiva vari tipi di tulipani e piante esotiche.
Molte scoperte in ambito farmaceutico sono merito delle donne, anche se il loro lavoro è quasi sempre praticato all’ombra di quello accademico degli uomini. Non è così per la veneziana Loredana Marcello (morta nel 1572), modello di gentildonna virtuosa e colta, autrice di lettere e poesie, che viene allo scoperto e fa valere pubblicamente le sue capacità. Chiamata fiore de’l secolo e Giantessa di merito, è allieva di un rinomato professore dell’Università di Padova, il tedesco Melchiorre Guilandino. Forte delle sue conoscenze, scrive formule e ricette per combattere le temutissime epidemie di peste. Nulla ci resta della sua opera, ma i medici impiegano i suoi ritrovati durante la terribile pestilenza che colpisce Venezia tra il 1575 e il 1577.

Copertina del libro di Isabella Cortese

Firmato dalla medichessa Isabella Cortese, nel 1561 vede la luce a Venezia l’unico libro pubblicato da un’alchimista nel XVI secolo I secreti della signora Isabella Cortese ne’ quali si contengono cose minerali, medicinali, arteficiose e alchiniche, e molte de l’arte profumatoria, appartenenti a ogni gran Signora.È una raccolta di ricette per farmaci, oli distillati, tinture, creme e cosmetici. Il libro ottiene un grande successo e viene pubblicato ancora durante tutto il Seicento. Un cratere di circa 28 km, il cratere Cortese su Venere, porta il suo nome.
Dopo la morte del marito, nel 1590, Caterina Vitale è nominata capo farmacista dell’Ordine di San Giovanni: diventa così la prima chimica e farmacista a Malta.

Su un altro versante, non va sottovalutato il ruolo delle donne nei primi decenni di dominazione europea nel continente americano: c’è una conquista dell’America al femminile ancora avvolta nella penombra. Non si sa con precisione quando arrivano le prime donne europee nel Nuovo Mondo. C’è chi afferma che già sulle caravelle di Cristoforo Colombo fossero presenti alcune donne, mentre altri posticipano il primo “sbarco femminile” alla spedizione oltreoceano del viceré Diego Colón nel 1509. Il primo numeroso gruppo di donne spagnole giunge al seguito di Beatriz de la Cueva, seconda moglie di Pedro de Alvarado. Sicuramente l’afflusso di donne dal Vecchio Continente, inizialmente favorito dalla Corona spagnola per evitare la mescolanza razziale tra bianchi e indigeni, diviene ben presto un fenomeno di dimensioni così massicce che nel 1539 la stessa corte di Madrid vieta alle donne non sposate di recarsi nel Nuovo Mondo.
Da Santo Domingo le donne al seguito dei conquistadores si espandono poi fino a Cuba, Messico, Guatemala e a tutta l’America centrale, dove raggiungono un livello di emancipazione mai toccato nella madrepatria.

In copertina. Il concerto delle dame.

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Articolo di Florindo Di Monaco

Florindo foto 200x200

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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