Quasi un congedo

Quest’ultimo articolo propone una sintesi dell’itinerario fin qui percorso per recuperare la memoria dei viaggi di donne nel Grande Nord europeo, insieme con alcune considerazioni sui loro resoconti; con l’auspicio di proseguire verso nuove mete, con la stessa curiosità.

Abbiamo visto come uno dei postulati del modello culturale occidentale sia la staticità della donna: dalla Estia/Vestia della società greca e romana all’Angel of the Heart vittoriano, è lei ad avere il compito di mantenere intatta la sfera privata, provvedendo alla conservazione e alla replica fedele delle tradizioni. Inoltre, per secoli la limitata mobilità femminile è stata riportata da voci maschili: dalle Iperboree, le portatrici di offerte descritte da Erodoto, alle testimoni della vita, morte e resurrezione di Cristo narrate dagli Evangelisti; dalle pellegrine medievali alle nobildonne in transito per matrimoni d’interesse dinastico, fino al XVIII secolo questi spostamenti sono documentati da scrittori e cronisti che, per contro, rappresentano anche una «forma di censura del privato e del femminile» (Francesca De Caprio) dal preciso significato culturale. 

«In principio era il Verbo, e il Verbo era Dio e Uomo. Il silenzio è la norma delle donne»: con questa affermazione di Michelle Perrot sul forzato silenzio femminile si apre Les femmes ou le silence de l’histoire (Le donne, o il silenzio della storia); la stessa studiosa, nel capitolo di Storia delle Donne intitolato “Uscire”, ritiene che la transizione attraverso la scrittura rappresenti un passaggio indispensabile dalla sfera privata allo spazio pubblico. Sono i salons illuministi del XVIII secolo a favorire questo transito dal silenzio alla parola; Casey Blanton sostiene che l’odeporica femminile è erede legittima del variegato insieme delle scritture private ― i diari, le memorie, le autobiografie, le lettere hanno permesso «alle donne di entrare a far parte dell’odeporica»: Dix années d’exil di M.me De Staël e Turkish Embassy Letters di Mary Wortely Montagu sono gli esempi più famosi. Tuttavia, è solo nel XIX secolo, con l’avvento del turismo, che gli spostamenti femminili assumono la caratteristica di esperienze autonome, limitate nel tempo, seguite da un ritorno che consente un ripensamento tradotto in scrittura; il fenomeno riguarda, all’inizio, soprattutto il mondo anglosassone e quello francofono, favoriti non solo dall’enorme espansione coloniale di alcuni Paesi, ma anche dall’interesse per le esplorazioni. Attraverso i resoconti femminili traspare non solo (o non tanto) il nuovo e il diverso, ma anche quello che Eric J. Leed definisce il «giardino di simboli», fatto di aspettative e preconcetti già presenti nell’immaginario femminile, verificato e in parte modificato durante il viaggio, rielaborato e condiviso, infine, con chi legge. Inoltre, come abbiamo visto, a lato dei travelogue femminili inglesi compare anche una letteratura ricca di consigli e suggerimenti, destinata esclusivamente alle donne che viaggiano da sole. 

Per quanto riguarda la produzione italiana, fino all’inizio del Novecento si registra una mancanza quasi assoluta di resoconti femminili: nel XIX secolo i più noti sono quelli di Cristina Trivulzio di Belgiojoso – in realtà cittadina del Lombardo-Veneto, che scrive in francese, e quelli di alcune viaggiatrici verso città d’arte o località remote della penisola. Se si prende in considerazione il nord Europa, abbiamo visto in un altro articolo che sono rari i resoconti di viaggiatori italiani in questa zona ed è solo nei secoli precedenti che navigatori ed esploratori avevano, a vario titolo, visitato l’area scandinava. Data l’assenza di modelli e la scarsità di precedenti, i resoconti femminili italiani di questo periodo rappresentano un’assoluta novità nel panorama editoriale nazionale. Si tratta non tanto di taccuini di viaggio autentici, quanto di testi riveduti e riordinati per la stampa; una caratteristica che non va sottovalutata, poiché pressioni sociali quali l’aspettativa del pubblico, o sollecitazioni commerciali (in primo luogo editoriali) sono fattori con cui chi scrive si trova sempre a negoziare. Per quanto concerne le donne, Claire Broome Saunders sottolinea che «le scrittrici di odeporica dovevano seguire con prudenza un percorso equilibrato: fornire argomenti abbastanza interessanti e originali per garantirsi un pubblico e rimanere comunque nei limiti di una narrazione adatta a quello stesso pubblico […] perciò spesso i resoconti iniziano con una scusa, un’ammissione di umiltà , una dichiarazione di autenticità»; è così confermata l’intuizione di Lady Eastlake la quale, pur senza il supporto di una teoria specifica, già nel XIX secolo aveva sostenuto che il gradimento dei resoconti femminili era basato su un amalgama di aspetti fra loro differenti; mentre anche in alcuni dei testi che abbiamo esaminato le autrici minimizzano il loro ruolo e richiedono la benevolenza di chi legge.

Il testo odeporico, «policentrico, multidisciplinare e multiforme» (Stefano Pifferi), non rivendica un canone rigido di scrittura, ma si presenta come un composito contenitore: da un lato una soggettività concreta e irrinunciabile, che mantiene viva l’attenzione di lettori e lettrici; dall’altro un’oggettività indispensabile nel momento in cui diari, taccuini, lettere diventano resoconti destinati al pubblico. Nei testi che abbiamo esaminato la soggettività si esprime di frequente nel tono confidenziale che, se da una parte permette alle autrici di manipolare in libertà la narrazione, dall’altra evidenzia la necessità di rivolgersi a una platea, per quanto vasta, non specialistica. Ciò è perfino più vero se si tiene conto della loro condizione di marginalità rispetto alla cultura ufficiale e del fatto di essere meno o diversamente istruite, che può addirittura risultare un vantaggio: infatti permette loro di sfuggire più facilmente a restrizioni e imposizioni stilistiche e di narrare in autonomia le proprie avventure. Inoltre, secondo Lori Brister è proprio la soggettività, spesso criticata come sentimentale, a rappresentare una sovversiva contro-risposta all’assertività delle guide turistiche di stampo maschile, considerate come un prodotto che intende catalogare il mondo in maniera oggettiva. 

Tuttavia, alla consapevolezza dell’esclusione dalla cultura canonica fa riscontro il desiderio di una certificazione, un «segno», che consenta una «promozione di livello» (Valeria Bertolucci Pizzorusso), una credibilità del testo: per questo, a supporto delle loro annotazioni, quando è possibile le viaggiatrici inseriscono immagini realistiche o fotografie. Le riproduzioni “dal vero”, pur necessariamente imprecise a causa dello scarso livello tecnico dell’epoca, rivestono diversi significati importanti: da un lato rappresentano uno strumento di autorevolezza scientifica, dall’altro evidenziano la modernità delle fotografe; infine, sono la prova incontestabile dell’effettiva presenza delle autrici nelle diverse destinazioni. 

La “libertà narrativa” si esprime anche per quanto concerne il tempo e lo spazio: ciascuna autrice sceglie se iniziare il resoconto al momento della partenza dall’Italia o viceversa in medias res, una volta raggiunto il Nord. Se la durata complessiva del viaggio e il percorso dipendono dall’organizzazione turistica, la ricchezza di dettagli deriva invece dallo sguardo di ognuna ed è la libertà di ciascuna a determinare variazioni di itinerario, frutto di decisioni casuali o di improvvise fascinazioni. Per quanto riguarda la figura della narratrice, fatta eccezione per i romanzi di Maria Savi Lopez, chi scrive è protagonista e voce narrante prevalente, che solo in alcuni casi affida l’esposizione alle persone incontrate. Tuttavia, quasi a voler mettere in secondo piano la propria soggettività e la propria autonomia, la maggior parte delle scrittrici mostra di preferire all’”io” il “noi”, riferito a sé stesse e ai propri accompagnatori e accompagnatrici (il marito, un’amica, il gruppo di turisti del quale fanno parte); un’altra caratteristica comune è l’atteggiamento interlocutorio verso chi legge, costruito con semplicità attraverso il dialogo diretto, domande retoriche o la richiesta di pareri, che crea complicità e realizza una comunità virtuale ante litteram, dove la vita quotidiana, le esperienze di viaggio e le avventure sono condivise; dove, ancora una volta, si conferma la credibilità delle autrici come testimoni e scrittrici che permette loro, quando lo ritengono opportuno, di assumere atteggiamenti particolarmente assertivi per sostenere le proprie opinioni. Lo strumento che esprime questa molteplicità non può che essere una lingua sviluppata nei secoli da protagonisti maschili, alla quale le donne hanno avuto scarso accesso: dunque una lingua a loro estranea, talvolta ambigua ma indispensabile; ciò è particolarmente vero per l’italiano, anche se certamente le autrici, figlie del loro tempo, non potevano avere consapevolezza dell’impostazione fortemente «androcentrica» (Francesco Sabatini) del nostro idioma. 

Sulla base di elementi così vari sarebbe riduttivo tentare una classificazione rigida di questi testi, espressioni individuali di quello che Julia Kristeva definisce il «continente perduto» che accomuna gli scritti femminili: nel nostro percorso abbiamo incontrato diari quasi quotidiani, aderenti ai fatti e alle testimonianze; cronache vivaci che ben si adatterebbero alle colonne mondane di qualche rivista dell’epoca; relazioni informative sullo stile dei rapporti diplomatici; cahiers intimes simili a moderne auto-fiction; per finire con vere e proprie narrazioni romanzate, dove «soggetto osservante e oggetto osservato» (Janis P. Stout) dialogano con i propri paesaggi interiori anticipando il romanzo modernista – generi diversi che talvolta si alternano anche in uno stesso testo.

Una ri-lettura di questi testi nel XXI secolo può aiutare a cogliere la complessità del passato, confrontarla con il presente e proiettarla nel futuro; come afferma il critico letterario Luigi Baldacci «rintracciare e recuperare opere e autrici che sono state emarginate […] significa contribuire da una parte alla ricostruzione della storia della produzione letteraria femminile in Italia e dall’altra ad una più ampia lettura della Storia letteraria in Italia».

Le viaggiatrici che ci hanno accompagnato in Scandinavia rappresentano perciò un tassello dell’umanità in movimento nel tempo e nello spazio che, riposizionato, ci permette di proseguire con maggiore consapevolezza; il nord Europa ha ormai perso le sue caratteristiche di esotismo, ma è ancora oggetto di resoconti originali che sperimentano le possibilità offerte da Internet, come testimoniano i numerosi blog in lingua italiana sul viaggio in zona scandinava: come quelle del passato, altre donne viaggiano con figlie e figli piccoli, scelgono il trekking o la bicicletta, ripercorrono le orme delle prime viaggiatrici, evidenziano i cambiamenti nei luoghi e sottolineano percezioni diverse, comunicando in tempo reale con chi legge. A noi il compito di seguire questi ed altri percorsi e condividerne le emozioni.

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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.

2 commenti

  1. grazie Anna Maria (il tuo commento è rimasto sepolto fra le mail). La mia intenzione è che le storie di donne che ho raccontato stimolino all’emancipazione e all’avventura le più giovani…chissà.

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