Fino al 24 settembre è in corso la mostra Germana Marucelli (1905-1983). Una visionaria alle origini del Made in Italy, allestita in quindici sale aperte per l’occasione presso il Museo della Moda e del Costume, nella prestigiosa cornice fiorentina di Palazzo Pitti. Sono oltre 150 i modelli esposti al pubblico, a cura di Silvia Casagrande e Vanessa Gavioli, grazie all’organizzazione della Galleria degli Uffizi con l’Associazione Germana Marucelli. A quaranta anni dalla scomparsa, la sua città ha voluto rendere omaggio a questa stilista che era una vera e propria creatrice di moda, una antesignana, una artista lei stessa per come sapeva interpretare l’abbigliamento femminile, rendendolo unico e inimitabile.
La stampa ha ricordato l’evento al momento dell’inaugurazione, avvenuta lo scorso 13 giugno, e sono emersi tanti ricordi significativi. Il figlio Gian Carlo Calza Marucelli ha letto uno scritto della madre che rievocava il suo precocissimo talento: aveva solo 11 anni e decise di realizzare l’abito da sposa per la cugina diciottenne. Non si sa chi guidò la sua mano, perché tagliò direttamente la seta senza disegnare il modello, eppure venne fuori un abito drappeggiato che lasciò la comunità sbalordita e fu un gran successo. Purtroppo del periodo iniziale della sua carriera, quando viveva in Toscana, è rimasta scarsa documentazione, e ci si deve dunque affidare a notizie riportate o tramandate a voce. Invece fu una fase assai importante perché Germana, insieme a Giovanni Battista Giorgini, creò il Made in Italy fino dalla prima sfilata, risalente al 1951. Il nipote Alberto Scaccioni ha raccontato che la nonna, nata a Settignano (Fi) il 13 ottobre 1905, era figlia di uno scultore avverso al fascismo e aveva studiato solo fino alla terza elementare, ma era curiosa e colta, discendente da una antica famiglia fiorentina: predecessore era stato un tale Francesco, priore dell’arte della lana ai tempi di Cosimo il Vecchio.

La «sarta intellettuale», come fu definita da Fernanda Pivano, «interprete rara di poesia» secondo Ungaretti, iniziò a lavorare molto presto nella sartoria di famiglia e a soli 14 anni era già la prima sarta. Con le zie si recava a Parigi a studiare la moda più aggiornata e riusciva a memorizzare i cartamodelli che non avevano acquistato; durante il viaggio in treno li riproduceva, così come le erano rimasti impressi nella mente. Un cambiamento fondamentale avvenne quando l’Italia subì le sanzioni a causa della guerra coloniale in Africa: Germana decise di lasciare per sempre l’imitazione della moda francese e di creare uno stile suo, uno stile italiano.
Andò a vivere a Genova dove rimase dal 1932 al 1938, lavorando nella sartoria Gastaldi, poi seguì a Milano il marito, impegnato nella carriera di pilota. In quella città trovò il modo di esprimersi al meglio e, quando una bomba durante la guerra distrusse il suo salone, si trasferì in Svizzera, a Stresa, dove continuava la sua opera di creatrice fantasiosa per le signore italiane sfollate e per le tante straniere che vi avevano trovato rifugio. Qui fu ospite dell’amica e cliente Flora d’Elys e creò un modello rimasto celebre: l’abito a forma di clessidra che anticipava lo stile successivo di Dior. Rientrata in Italia, collaborò con artisti fra cui lo scenografo Piero Zuffi grazie al quale propose una collezione ispirata al Surrealismo. In breve ebbe un incarico di grande responsabilità e prestigio: divenne la responsabile di produzione e comunicazione dell’azienda chimico – tessile Snia-Viscosa, all’epoca all’avanguardia nella produzione di tessuti artificiali. Grazie a questa vantaggiosa collaborazione poté acquistare l’atelier Ventura, situato in corso Venezia a Milano, e cominciò a organizzare i “giovedì di Germana Marucelli”, incontri culturali di alto livello a cui partecipavano scrittori e scrittrici, artiste/i, intellettuali: da Montale a Dorfles, da Fontana a Campigli, da Messina a Munari.

Nel 1948 fondò e finanziò il premio di poesia San Babila, insieme alla pittrice Evelina Casalini, che proseguì fino al 1952; nella prima edizione fu premiato Giuseppe Ungaretti per la sua raccolta Il dolore, con cui si era creata una bella amicizia; furono pure segnalati Quasimodo, Gatto e Sereni. Era un periodo d’oro per le nostre lettere…
Finalmente arrivò il 12 febbraio 1951 e l’imprenditore Giovanni Battista Giorgini, detto Bista (1898-1971) organizzò la prima sfilata di alta moda italiana, nel giardino della sua abitazione fiorentina, la villa Torrigiani, a cui parteciparono sei importanti compratori americani.

In quell’occasione furono mostrati 18 modelli di dieci case di moda. Fra queste, oltre a Marucelli, si segnalarono le sorelle Fontana, Jole Veneziani, Simonetta, Emilio Pucci. Ci furono poi una sfilata al Grand Hotel, in luglio, e un’altra nel gennaio successivo. L’anno seguente l’evento divenne grandioso perché si spostò a Palazzo Pitti, nella meravigliosa cornice della Sala Bianca. Questa volta intervenne anche quel genio creatore di Roberto Capucci, appena ventiduenne, di cui Giorgini aveva ben compreso le doti. La giornalista Oriana Fallaci, allora giovanissima inviata del settimanale Epoca, lasciò la cronaca di quella serata memorabile, che segnò l’avvio ufficiale del Made in Italy.
Le collaborazioni di Marucelli con il mondo dell’arte proseguirono con gli abiti dipinti a mano da Paolo Scheggi (1940-71), che ne era un po’ parente e ne progettò e arredò pure l’atelier, mentre le luci riflettenti furono create da Getulio Alviani (1939-2018) che le ispirò poi l’originale linea “Alluminio” del 1968. Vanno citate anche la linea “Optical”, la “Totem” che riprende motivi e colori dell’arte africana e dell’Oceania, la donna Mistica che sembra uscita da un dipinto del Beato Angelico e la donna Vescovo, citazione di certe lineari sculture di Manzù; su alcuni capi spiccano versi di Eliot o di Ungaretti, e anche questa fu una novità assoluta. Uno sguardo al sito dell’associazione dedicata alla stilista fornirà una panoramica esauriente e darà l’idea della sua inesauribile fantasia e modernità.



Colpisce ad esempio la linea “Unisex” del 1966, quando fece sfilare uomo e donna con identici abiti, realizzati con identica stoffa, oppure quando ebbe l’idea di utilizzare i pantaloni sotto la gonna; al contempo è affascinante vedere la signora elegante abbigliata con la raffinata linea “Plissé” risalente al 1949/50 o la giovane sbarazzina con un curioso modello a palloncino della linea “Pannocchia” del 1957. Ogni anno un nuovo progetto studiato nei dettagli e nelle sue potenzialità che evidenzia pure, oltre all’originalità, il gusto nell’adeguarsi ai mutati modelli sociali, in un’epoca in costante cambiamento.
Una moda fatta per la donna, da una donna, in cui chi indossa non è un manichino, ma il soggetto attivo, la ragione stessa della creazione.
E di tutto questo sono presenti esempi significativi nell’ampia mostra che si dipana di sala in sala, seguendo un percorso a ritroso nel tempo: dagli ultimi modelli della collezione primavera/estate del 1969 fino al 1940.



Germana Marucelli nell’arco della carriera ha ricevuto premi e riconoscimenti tra cui il Cavalierato dal Presidente Luigi Einaudi (1954); il premio della Critica della Moda e il premio Rosa d’Oro assegnati entrambi dalla stampa (1962); la Medaglia d’Oro per «il suo determinante contributo estetico all’affermazione della Moda Italiana nel Mondo» in occasione del Convegno internazionale Artisti, Critici e Studiosi d’Arte patrocinato dal ministro Luigi Preti e presieduto dal professor Giulio Carlo Argan (1964); l’Oscar della moda (1969). Nel 1972 decise di lasciare la professione che l’aveva resa celebre, in contrasto con il sistema della moda che si stava imponendo, sempre più soggetto a regole economiche e pubblicitarie; continuò tuttavia a creare privatamente, a favore delle clienti più fedeli, e dette vita a una scuola di cucito e stile per bambine e ragazze.
Anni prima, nel 1964, aveva realizzato un grazioso libro di memorie: Le favole del ferro da stiro, ricordi di Germana Marucelli scritti da Fernanda Pivano, e nel 1974 pubblicò Le presenze, opera preziosa che riproduce tavolette auree da lei incise e presentate in una mostra milanese, con prefazione di Gillo Dorfles.
La grande stilista morì a Milano il 23 febbraio 1983. Nel mondo della moda si sono occupate di lei studiose del costume e giornaliste famose come Irene Brin (1911-69) e persino una tesi di laurea le è stata dedicata; la città di Mantova le ha intitolato una via. E ora la degna celebrazione, con questa mostra che ripercorre il suo attualissimo cammino, sempre teso a valorizzare la figura femminile.
In copertina: una delle sale della mostra Germana Marucelli (1905-1983). Una visionaria alle origini del Made in Italy.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
