Come all’improvviso, pur sapendo che se mi trovo per strada potrebbe succedere, mi porgo in avanti con quella spavalderia totalmente inadeguata che causa il grave trauma di essere investita, così, nonostante le premesse, la notizia della morte di Michela Murgia mi ha colpita in modo violento, come quando si è travolte da una macchina mentre si attraversa la strada in modo distratto: non certo imprevedibile ma, potemmo dire, ingiusto.
Con lo stesso spirito ho attraversato questi ultimi mesi: ci aveva avvertite di essere gravemente malata e che la sua morte sarebbe stata imminente, sapevamo che il quarto stadio di quel tumore con metastasi sparse non poteva che approdare alla morte, eppure, continuavo a porgermi in avanti con Michela, come se, nonostante questa premessa, avrebbe continuato a condividere cose per sempre, come se le parole della sua fine si fossero perse tra tutte le altre che concedeva e che preferivo leggere o sentire.
«Mi restano mesi di vita» aveva detto. Com’è stato divertente e rassicurante conoscere, poi, le risposte e le dichiarazioni, ironiche o meno, rilasciate nei confronti dei suoi detrattori o di coloro che la consideravano già morta. «Sono viva!», «Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. Dico tutto, faccio tutto, tanto che mi fanno?» e così è stato: le sue ultime parole e le sue ultime azioni sono stati gli ultimi dispetti, compiuti ai danni di quei pochi che avrebbero preferito fosse morta già da tanto perché, effettivamente, solo la morte ha potuto fermare il suo logos, e gli ultimi esempi, forniti alla marea di persone che l’hanno amata e ammirata.
Quei ‘mesi di vita’, in fondo, speravamo fossero infiniti, mai avremmo osato pensare si rivelassero solo tre. È sempre apparsa così serena, centrata in tutto quello che ha condiviso che mai avremmo potuto constatare fosse concretamente sul punto di morire. Quasi febbrilmente, quotidianamente, controllavo gli ultimi aggiornamenti sulle sue pagine social per rassicurarmi del suo essere viva e continuare, così, a conoscere tutto quello che la riguardava. Questi mesi sono stati straordinari: ha dato voce e corpo, ancora una volta e ancora di più, a tutte quelle persone che condividono i suoi pensieri e le sue azioni ma non hanno il coraggio, la possibilità o la coscienza di pronunciarsi e agire come ha fatto lei.
Per potersi curare e morire nella certezza che fossero rispettate le sue ultime volontà è dovuta ricorrere «controvoglia» al rito del matrimonio, da lei stessa definito «così patriarcale e limitato», perché il nostro paese non riconosce altre modalità di «garantirsi i diritti». Ha presentato a tutti sé stessa e la sua famiglia allargata perché composta da almeno dieci persone.
Ha reso possibile e visibile la realizzazione di intenti e desideri comuni a tante persone ma avvertiti come irrealizzabili perché bloccati in un contesto politico ostile o nella vigliaccheria della nostra comoda quotidianità.
Una delle tante motivazioni che l’hanno resa così grande, oltre al saper svolgere egregiamente il mestiere di scrittrice, è stata la capacità di raccontare e rappresentare sé stessa, la sua vita, il suo pensiero e il suo agire in modo così schietto, comprensibile e naturale da renderlo comune alla rappresentazione che abbiamo di noi stesse e del mondo. Ha reso chiari i meccanismi e i significati nascosti o sottovalutati, ha sollevato il velo della soppressione di noi spose ingenue. Non ha inventato nulla di nuovo, ha semplicemente prestato la sua persona nel mostrarci quanto siamo tutte oggetto e, soprattutto, soggetto delle nostre vite, ovvero di ciò che viviamo e incontriamo attraverso le altre persone con cui stringiamo rapporti. Ci ha rifornito del significato delle parole e delle azioni che sottendono all’uso delle parole.
Qui di seguito ne elencherò alcune per avere, ancora una volta, un ulteriore momento di riflessione.
Tra le più importanti emerge la parola prevenzione. Quando ci ha rivelato della sua malattia ha ricordato anche che il suo stato di malata terminale dipendeva dal fatto di aver trascurato i controlli che avrebbe dovuto fare. Non dobbiamo mai dimenticare quanto sia fondamentale prendersi cura di sé stesse, di quali e quanti strumenti abbiamo a nostra disposizione per farlo. La prevenzione e la previsione mancata, accompagnata dalla trascuratezza, potrebbero causare la nostra morte e questo vale a ogni livello: fisico, psichico e sociale. Ci ha avvertite dei pericoli in agguato e dell’importanza di non abbassare la guardia… Da questa premessa possiamo ripensare alle parole usate da Michela per parlarci di tante cose, di vita, morte, malattia, cura, accabbadora, eutanasia, fede, limiti, età, dignità, felicità, bullismo, provocazione, corpo, body shaming, mito della bellezza, contraddizione, parola, espressione, personale, paese, politico, politica, femminismo, patriarcato, fascismo, resistenza, padrone, differenza, società, problema, io, noi, tempo, diffidenza, ostinazione, potere, possibilità, democrazia, lingua, contraddittorio, ironia, disobbedienza, attivismo, istruzione, agitazione.
Queer è una parola che le piaceva moltissimo ed è la parola sposata, adottata, esaltata e scelta per definire la sua famiglia. Pensando alla parola famiglia ripensiamo alle parole relazione, affetto, genitorialità, padre, madre, costume, rito, moda, eteronormatività, monogamia, fedeltà, romanticismo, tradizione, radici, casa, organizzazione, diritto, comunione, comunità, condivisione, complessità, amore, odio, amicizia, volontà, aspirazione, mutazione. L’animale a cui ha fatto riferimento per rappresentare la sua famiglia è la rana perché «la rana è un animale transizionale, che nella sua vita cambia stato molte volte, da uovo a girino per svariati stadi prima di raggiungere la maturità, ed esiste dentro a un continuo processo di mutamento».
A tutte queste parole si aggiungono le altre a cui Michela ci ha ricondotto e che qui non sono riuscita a rievocare. L’ultima cerimonia che l’ha vista protagonista ha richiamato a Roma migliaia di persone, strette attorno alla sua famiglia con il corpo e con lo spirito, partecipi del dolore sentito da chi fatica a lasciare andare una persona a cui si è voluto bene. Il bene è il sentimento che accomuna tutte noi quando richiamiamo alla mente Michela Murgia. Non sappiamo quanto di lei resterà nel tempo, quello che sappiamo è che possiamo agire in modo che resti con noi il più a lungo possibile. Attraverso i social ha condiviso i suoi ultimi giorni, attraverso i social si susseguono pensieri, azioni e organizzazioni perché non svanisca tutto. Il gruppo Telegram Purple Square conta migliaia di persone ed è suddiviso in base alle zone geografiche, d’Italia o limitrofe, di appartenenza, per unire tutte nell’intento di celebrare insieme Michela Murgia. Nel gruppo è stato creato un archivio dove sono riportate sue opere, interventi, interviste, articoli, citazioni, podcast, video, audio e testi. Chiunque sia interessata/o può unirsi (a questo indirizzo) al gruppo: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”: bellissima frase di Antonio Gramsci, citata in diverse occasioni, con gran forza, da Michela Murgia.
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Articolo di Michela Di Caro

Originaria di Matera, vivo a Firenze da 15 anni. Studente, femminista, docente di sostegno di Scuola Secondaria di II grado, sono fisioterapista libera professionista e mamma di tre piccole donne.

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