L’operetta Il paese dei campanelli compie cento anni

Il popolare genere dell’operetta spesso viene considerato “minore”, visto che dal nome stesso può sembrare la sorella leggera e frivola dell’opera lirica che interessa solo a un ristretto gruppo di melomani, in là con gli anni. In realtà ha una storia assai lunga e importante, degna di entrare a pieno titolo fra la musica “alta”. La paternità del genere viene attribuita a quel genio tedesco, naturalizzato francese, che fu Jacques Offenbach (1819-80) grazie alla composizione di La Rose de Saint-Flour, nel 1856; in breve i successi si susseguirono perché quell’unione spiritosa, brillante, divertente fra dialoghi, parti recitate, romanze e balletti rispondeva pienamente alle esigenze del pubblico borghese, non troppo impegnato, magari, neppure troppo colto ma desideroso di passare una serata rilassante a teatro. Nell’operetta, infatti, ci sono sempre almeno un tenore e un soprano, innamorati talvolta avversati dalla sorte, c’è la soubrette che è una giovane donna carina e vagamente conturbante, c’è il comico, ma ci sono pure i “caratteristi”, di solito una coppia matura che ha proprio il compito di far ridere con battute, equivoci, gag. Non mancano personaggi minori, ovviamente l’orchestra dal vivo, e poi le ballerine, con abitini piuttosto ridotti, a cui spetta l’applauso scrosciante nella finale sfilata sulla passerella. Insomma una compagnia di tutto rispetto, in cui le doti singole si fondono nell’insieme generale. Dalla Francia l’operetta proseguì il suo cammino europeo raccogliendo veri trionfi in Austria grazie alla vena creatrice di Johann Strauss figlio, autore di decine di partiture (Lo zingaro barone e Il pipistrello, fra le tante), e poi di Lehár (basta citare La vedova allegra e la romanza immortale Tu che m’hai preso il cuor), del celebrato Von Suppé e dell’ungherese Kálmán. In Gran Bretagna il massimo esponente fu Arthur Sullivan (in coppia con il librettista W.S.Gilbert ne scrisse 14), noto soprattutto per Il Mikado. In Spagna simile si può ritenere la “zarzuela”che ha conservato però uno spiccato riferimento alla tradizione e alla cultura locale e non è uscita dai confini nazionali. 

Presto l’operetta, che potrebbe considerarsi un po’ figlia dell’opera buffa e antenata della rivista e della commedia musicale degli anni Cinquanta, si diffuse anche in Italia e i più bei successi si ebbero nel primo trentennio del XX secolo con Virgilio Ranzato (insieme al librettista Carlo Lombardo), su cui stiamo per approfondire, e con il toscano Giuseppe Pietri (1886-1946). Quest’ultimo scrisse le musiche per le sempre piacevoli, direi ancora attuali, Acqua cheta, tratta dalla commedia omonima di Augusto Novelli, Addio giovinezza! (libretto di Camasio-Oxilia) e Primarosa, ambientata in una famiglia di imprenditori minerari. In questi lavori non ci sono né dame né cavalieri, né prìncipi né donne fatali, ma gente che lavora, il carrettiere, la ragazza da marito, gli studenti poveri, le sartine, le disavventure economiche, gli amori contrastati, gli ambienti semplici e paesani che un elbano come lui ben conosceva.

Vogliamo dunque celebrare i cento anni dal debutto di una delle più celebri operette italiane: Il paese dei campanelli che andò in scena la prima volta il 23 settembre 1923 al Teatro Lirico di Milano, con un immediato grandissimo successo. Ma scopriamo chi ne erano gli autori. Virgilio Ranzato, compositore della musica, era veneziano, nato nel 1882 e morto nel 1937 a Como; fu violinista e direttore d’orchestra tuttavia la fama gli arrivò dalle operette, in particolare le due più conosciute, una appunto quella citata, l’altra, Cin ci là, di due anni successiva, dall’ambientazione esotica e dalla trama in un certo senso piccante. Ma si tratta pur sempre di allusioni e strizzate d’occhio bonarie che non scadono nella volgarità; questa è la cifra dell’operetta: dire e non dire, sorridendo. Carlo Lombardo, napoletano di origini nobili, era nato nel 1869 e morì novantenne a Milano. Diplomato al conservatorio, compositore a sua volta, quasi per caso si trovò a fare il librettista e fu padre di una bella serie di testi originali. Da segnalare in primo luogo che fu musicata da Pietro Mascagni, tanto per far capire la qualità di certe partiture, e poi La duchessa del Bal Tabarin (1915), Madama di Tebe (1918), La danza delle libellule, Scugnizza (1922), su musiche di Mario Costa, una delle mie preferite per l’originale quadro d’insieme, nei vicoli di Napoli, fra gente umile. Su You Tube potete recuperare la romanza Napoletana interpretata da Elena D’Angelo, ma la scelta di riprese dal vivo, anche di spettacoli integrali, è molto vasta; basta cercare.

Vecchia locandina de
Nel Paese dei Campanelli

Cento anni e non sentirli, potremmo dire. La trama del Paese dei campanelli è quanto mai ingenua e semplice, ma con inediti risvolti “femministi”. Vediamo perché. Siamo in un ipotetico paesino dell’Olanda, fra zoccoli, cuffiette e tulipani; tutto è tranquillo, ma esiste una strana usanza: se una donna è sul punto di tradire il marito (per lo più vecchio e brontolone) i campanelli sparsi per il villaggio suonano a distesa. Un bel giorno approda una nave il cui capitano canta subito: Cos’è quest’ondeggiar di profumati fior… seguìto da una schiera di giovani baldanzosi marinai. Insomma, è lo scompiglio generale. Complice anche la luna, quella luna a cui non si può resistere e che fa cantare la romanza celeberrima. Al centro dell’intreccio ci sono due coppie: quella buffa con la brillante Bonbon e il tenente La Gaffe, un nome che è tutto un programma, e quella romantica, composta dalla dolce Nela e dalla guardia marina Hans. «Oltre ad avere una partitura molto pregiata, questi Campanelli suonano come una critica sociale a un mondo bacchettone, tanto più considerata l’epoca in cui sono stati scritti. Con garbo ed eleganza qui si difende il diritto alla sessualità e alla libertà femminile. Alla fine tutti stiamo con le donne, che se tradiscono i mariti hanno i loro buoni motivi. Sullo stesso filone, una decina d’anni dopo, Fritzi Massary, regina dell’operetta di Berlino,[…] cantava: Perché una donna non dovrebbe avere una relazione? sulle note di Oscar Strauss. La rivoluzione femminista deve molto a queste spensierate melodie».

A pronunciarsi così è il maestro Fabio Luisi, affermato direttore d’orchestra a livello internazionale, che alla 49° edizione del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca sta rilanciando il genere, in cui trova una leggerezza da recuperare, ma pure «l’ironia, oggi del tutto passata di moda, merce rara anche nel repertorio lirico». Nella medesima intervista (Corriere della sera, 24-7-23) ha poi affermato che l’operetta, troppo spesso snobbata e considerata la parente povera dell’opera, oltre ad avere origini nobili, «è sempre specchio del presente, benché un po’ distorto». Inoltre ha ricordato che «la facilità melodica» tutta italiana non deve ingannare: occorrono infatti «cantanti di valore, capaci di abbinare talento canoro e recitativo. È un genere difficile e, se la si vuole far bene, anche costoso». E a Martina Franca sono all’opera orchestra e coro del teatro Petruzzelli di Bari, mentre gli allestimenti sono una novità assoluta curata da Alessandro Talevi.

Il paese dei campanelli in scena a Martina Franca

che ambienta la vicenda nella sala da ballo di un transatlantico negli anni Trenta. Alla ripresa fortunata del Paese dei campanelli hanno fatto da cornice un convegno internazionale, la proiezione del film La vedova allegra di Lubitsch e la messa in scena della poco nota (almeno per il pubblico italiano) L’adorable Bel-Boul su musiche di Massenet. A Trieste intanto ha ripreso vita il tradizionale Festival dell’operetta, che è stato un appuntamento fisso dal 1950 al 2009 e si protrarrà tutta l’estate, con il contributo della Fondazione teatro lirico Giuseppe Verdi e dell’Associazione internazionale dell’operetta. Quest’anno sono in programma La vedova allegra in forma di concerto, Orfeo all’inferno di Offenbach (con lo scatenato famosissimo can can), La danza delle libellule di Lehár-Lombardo e, naturalmente, Il paese dei campanelli.
Una messa in scena precedente, a dicembre del 2022, si segnala al Regio di Parma, una a Cremona la sera di Santo Stefano al teatro Ponchielli e, nel febbraio scorso, una nuova edizione al teatro Donizetti di Bergamo. Come revival non c’è male… 

Se per caso chi legge si sta domandando il perché del mio interesse e delle mie conoscenze dirette dell’operetta nel suo insieme, esaudisco volentieri la curiosità rievocando bei ricordi e raccontando che da bambina, a Montecatini Terme dove vivevo, si svolgeva ogni estate, nella stagione termale da giugno a fine settembre, una rassegna di spettacoli della Compagnia italiana di operette, fondata nel 1953, presso il cinema-teatro Kursaal, purtroppo oggi demolito. La mia famiglia viveva nelle vicinanze e tutti gli/le interpreti e i membri dell’orchestra prendevano alloggio per il lungo periodo in case affittate, dove erano di solito raggiunti da mogli, mariti, figli e figlie, per una vacanza in un piacevole luogo di cura e riposo. Li incontravi a fare la spesa, a comprare il giornale, ad acquistare il pane o bere un caffè, in un breve tratto di strada dove, di anno in anno, era facile fare conoscenza.

Aurora Banfi premiata nel 2010

Ricordo ancora il simpatico capocomico Elvio Calderoni e la bionda soubrette Aurora Banfi, Alvaro Alvisi con l’inseparabile cane, Giordana Mascagni e Paola Musiani (cantante di talento scomparsa a soli 35 anni), Carlo Rizzo (già spalla di Macario nell’avanspettacolo) e la spiritosa livornese Viviana Larice, Carlo Campanini, noto comico televisivo e cinematografico, e tante altre presenze familiari.

Paola Musiani

Così venivo portata dalla mamma a teatro molto spesso e mi divertivo tantissimo, al punto che ricordo a memoria gran parte delle romanze più coinvolgenti. L’aria dei campanelli, Balla la giava, Mia piccina graziosa musmè, Nella fragile tazza di tè, Luna tu…, per rimanere nell’immaginario paesino olandese; e poi tante altre: Il fox trot delle gigolette (da La danza delle libellule), Frou-frou (da La duchessa del Bal Tabarin), il Duetto delle carte (da Madama di Tebe), Una rondine non fa primavera (da Scugnizza), la celebre toscanissima Canzone della rificolona (da Acqua cheta). Mi fermo qui per lasciare giusto spazio ai possibili approfondimenti guidati dall’ascolto. Grazie alle illuminanti riflessioni del maestro Luisi, farete un tuffo indietro nel tempo, ma anche una gustosa immersione in tanta bella musica, orecchiabile e di facile presa, che vi rimarrà nel cuore e nella mente.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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