Le città globali di Saskia Sassen. Interdipendenza e disuguaglianze

Nel corso della storia i luoghi in cui l’umanità si è riunita per abitare sono cambiati in seguito a trasformazioni di stampo sociale ed economico e ai grandi rinnovamenti guidati dall’evoluzione tecnologica. L’ultima importante trasformazione in questo senso è avvenuta durante gli anni Novanta, con quella che gli studi hanno definito “globalizzazione”, che ha portato con sé una progressiva diminuzione del ruolo dello Stato centrale e nazionale e allo stesso tempo una completa ridefinizione delle sedi del potere, che ci sono concentrate in istituzioni globali.

Tra le studiose più autorevoli di questo fenomeno c’è Saskia Sassen, sociologa statunitense, di origini olandesi, che ha elaborato un sistema teorico applicabile allo studio delle città e dei cambiamenti economici degli ultimi anni: la città globale. Nata a L’Aia nel 1948, ha frequentato le università più importanti, in tutto il mondo, tra cui l’Université de Poiters in Francia, l’Università di Roma “La Sapienza” e l’Universidad Nacional de Buenos Aires. Inizialmente i suoi oggetti di studio si concentravano sulla filosofia e le scienze politiche; mentre in occasione del master e del dottorato, presso l’Università di Notre Dame, Indiana, ha iniziato a interessarsi anche alla sociologia e all’economia. Sono queste due discipline che maggiormente l’hanno colpita, tanto da diventare il fulcro centrale delle sue ricerche successive. Ha ottenuto un post-dottorato presso l’Harvard University, in International Affairs. Da allora le sono state affidate diverse cattedre in vari Stati Uniti, tra cui quelle presso l’Università di Chicago e la Columbia University.

Saskia Sassen

La più importante teorizzazione sociologica di Saskia Sassen è il concetto di città globale. Dopo il secondo dopoguerra e in seguito allo sviluppo del neoliberismo, le città si sono trasformate sempre di più in luoghi di intersezione tra il globale e il locale. Il celebre sociologo Marshall McLuhan sostiene che la condizione attuale della rete complessa di comunicazione e di relazioni tra Paesi e individui può essere definita come “villaggio globale”, in cui i luoghi sono privi di confini e anche i più piccoli e remoti hanno le opportunità di comunicare con il resto del mondo. Tra le città globali prese in considerazione nel lavoro di ricerca di Sassen troviamo ad esempio New York, Tokyo, Londra, Seul, Pechino, Shanghai. Negli ultimi anni si sono aggiunte pure Dubai, Berlino e Hong King.
Secondo Saskia Sassen la caratteristica di globalità delle metropoli rimanda la loro origine ai mercati transnazionali, alla centralità del commercio, della finanza, delle attività bancarie e delle innovazioni tecnologiche. Le metropoli tra di loro si somigliano tutte e sono interdipendenti da un punto di vista economico-finanziario, ma anche secondo l’ottica della comunicazione e dei trasporti. Si autoalimentano, ma senza in realtà apportare dei vantaggi alle rispettive regioni a cui appartengono, ma con cui hanno ben poco in comune.

La trasformazione delle città globali è dipesa soprattutto da necessità di tipo economico: l’acquisto di porzioni di città infatti non è motivato dalla voglia di migliorarne la qualità urbana, bensì quello di aumentarne i profitti. I principali attori economici sono gli erogatori di servizi terzi rispetto al mercato finanziario, il real estate, assicurazioni, hotel, intrattenimento, telecomunicazioni, pubbliche relazioni, trasporti e altri servizi finanziari. Tuttavia i grandi cambiamenti intervenuti in questo senso sono stati la nascita delle società intermediarie, la finanziarizzazione dell’economia globale – fortemente legata al ruolo svolto dalle Borse. È per questo che spesso si parla di “cittadinanza economica”, che sostituisce e affianca l’identità nazionale. Le città globali sono diventate parte, se non addirittura unici motori, della crescita economica e della strutturazione sociale. Ciò attorno a cui ruotano la società e le dinamiche tra le persone non è più il consumo di massa e la standardizzazione della produzione industriale, bensì la capacità del sistema finanziario, in particolare la flessibilizzazione e la specializzazione dei modelli di consumo.

All’interno delle città globali, quello che si sviluppa è una forte contrapposizione della cittadinanza, divisa in modo sempre più polarizzato tra super-ricchi, le élite urbane, liberali e globalizzate, e più poveri, che rappresentano le/gli abitanti delle zone rurali o urbane secondarie. Tra questi due estremi c’è poi la classe media, che è sempre più impoverita. Anche tali fenomeni e le distanze tra la parti della cittadinanza riconoscono le proprie origini all’interno di motivazioni del tutto economiche. L’esperienza urbana, che è fatta di edifici massicci, di infrastrutture e di architetture, ma pure di logiche utilitaristiche a guidare gli investimenti nelle città, è parte delle tendenze di dislocamento e alienazione delle persone e con loro delle comunità. Lo spazio pubblico cambia e subisce i processi di commercializzazione e privatizzazione; mentre lo spazio civico e politico è caratterizzato da una progressiva politicizzazione.

In uno dei suoi lavori più recenti, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Saskia Sassen usa la disuguaglianza e l’espulsione come ipotesi per spiegare le trasformazioni sociali negli ultimi decenni. È qui che la sociologa statunitense rende chiaro quanto l’analisi delle città non sia solo l’esplorazione sistematica dello spazio urbano, quindi non solo la sua morfologia, ma anche lo studio della popolazione che fa parte della città, e in particolare la rete di relazioni, di interconnessioni e la tradizione storica e culturale. Questa tradizione è fatta pure di disuguaglianze e ingiustizie. Sassen sostiene infatti che nelle città globali la disuguaglianza sia talmente estrema che non si parla più di esclusione sociale, un fenomeno che può essere ridimensionato e migliorato, ma di espulsione sociale, che invece attraversa i sistemi e i contesti. L’espulsione si concretizza in scelte politiche vere e proprie, come lo sfratto degli agricoltori nei Paesi poveri, l’impoverimento della classe media in quelli ricchi, la distruzione della biosfera a causa dello sfruttamento da parte delle industrie intensive. Le motivazioni si rifanno alla necessità per l’economia di espellere, non solo escludere, la parte della società che non è produttiva. La distribuzione della ricchezza e delle opportunità si è definitivamente arrestata e le politiche di inclusione, che in passato avevano come obiettivo quello di ridurre le tendenze sistemiche alla disuguaglianza, non sono più parte delle agende dei governi. Ad arricchirsi quindi sono solo le aziende, che non investono più in infrastrutture utili a tutta la popolazione, che invece si impoverisce a oltranza. In questo modo gli indicatori economici dei Paesi rimangono stabili e favorevoli, anche quando in realtà non rappresentano in modo veritiero la situazione finanziaria e sociale di cittadine e cittadini.

Tra gli espulsi, Saskia Sassen riconosce coloro che intraprendono lunghe migrazioni per arrivare nelle grandi città globali e che entrano a far parte del numeroso gruppo di persone svantaggiate per le quali la città non è solo il luogo per abitare, ma l’arena in cui si gioca la lotta per la sopravvivenza. Nello studio, svolto con approccio quantitativo nel 1999, Migranti, coloni, rifugiati, la sociologa mappa il flusso delle migrazioni che hanno caratterizzato la costruzione sociale, culturale e politica dell’Europa, che riconduce non a scelte individuali, ma a un fenomeno strutturato, circoscritto e funzionale a strategie politiche ed economiche. Analizza in modo scrupoloso dati, informazioni e rilevamenti e arriva all’identificazione del soggetto migrante con un fattore e un indicatore del mutamento del Paese o della regione di cui è originario. Cosa spinge però uomini e donne a spostarsi? In quali condizioni versano i luoghi d’origine per portare la loro popolazione ad andarsene? I motivi che conducono alla migrazione, negli ultimi anni, rimandano alla perdita di habitat, che può spiegarsi con i cambiamenti climatici – quindi la desertificazione, l’innalzamento del livello dei mari, l’inaridimento dei suoli e il loro crescente avvelenamento. In questo senso le città globali diventano nuove zone di frontiera, funzionali contemporaneamente alla crescita del capitale globale, che opera attraverso le strategie della politica informale, e del numero di chi è parte della società svantaggiata.

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Articolo di Elisa Pasqualotto

Laureata in sociologia e attualmente iscritta al secondo anno del corso di Media, comunicazione digitale e giornalismo. Nei suoi studi si occupa di informazione giornalistica e comunicazione politica, relazioni internazionali e media studies. È appassionata di letteratura, fotografia e yoga.

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