Alla ricerca del Gender City manager

«Parlare di genere significa riconoscere che il mondo è fatto di donne e di uomini e che ogni decisione deve tener conto di entrambi».
Gertrude Mongella, Segretaria generale della Conferenza mondiale per le donne, 1995.

A livello europeo e internazionale il concetto di Gender mainstreaming è ormai affermato da tempo. Lo ha introdotto, insieme a quello di empowerment, la Conferenza di Pechino del 1995, su cui si sono formate in corsi di aggiornamento, dall’anno successivo e per molti anni, moltissime e moltissimi docenti, su indicazione del Ministero dell’allora Pubblica Istruzione. Per gender mainstreaming, che letteralmente significastare nel filo della corrente principale, si intende, secondo la definizione del Consiglio economico e sociale dell’Onu, «il processo di valutazione delle implicazioni, per le donne e per gli uomini, di qualsiasi azione prevista, compresa la legislazione, le politiche o i programmi, in qualsiasi area e a tutti i livelli. È una strategia per includere preoccupazioni ed esperienze di donne e uomini come parte integrante della progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione, dei programmi in tutte le sfere politiche, economiche e sociali in modo che le donne e gli uomini possano trarre uguali benefici, senza perpetuare la disuguaglianza». La parola inglese Gender è stata introdotta, non senza qualche difficoltà (si veda la recensione a L’ideologia gender è pericolosa di Laura Schettini, https://vitaminevaganti.com/2024/01/27/lideologia-gender-e-pericolosa/) nella piattaforma di azione della Conferenza di Pechino, per differenziarla dall’inglese “sex” e non si identifica con questo termine. Quando si parla di genere ci si riferisce al modo in cui le donne e gli uomini sono trattati nella società, alle discriminazioni subite dalle donne perché hanno meno opportunità di istruzione, al loro lavoro che resta invisibile, alle difficoltà che incontrano quando cercano di intraprendere carriere solitamente riservate agli uomini. Il termine “sesso” fa riferimento alle caratteristiche biologiche e anatomiche degli individui, alla nascita: femmina e maschio. Il genere non è sinonimo di sesso e «indica i tratti sociali e culturali che danno significato al sesso, qualificando il comportamento, gli atteggiamenti e il vissuto in termini di mascolinità e femminilità: donna o uomo. Non sono caratteristiche intrinseche delle persone, ma insiemi di significati e di attese all’interno dei quali gli individui si situano e si comportano […] Dappertutto esistono modi, più o meno codificati, di essere uomo o donna. Variano da cultura a cultura. Poiché i generi sono ereditati dal passato e storicamente e spazialmente determinati, è opportuno che passi l’idea che siano anche trasformabili: nel presente per il futuro. Il termine “genere” non coincide con “le donne”: è un codice binario che, oltre a segnalare la presenza di due sessi nella società, implica reciprocità, sottolinea la relazione e le interazioni tra donne e uomini in una dialettica costante. Non si può parlare di genere senza coinvolgere gli uomini: ogni cambiamento investe anche loro». (Graziella Priulla, C’è differenza, Franco Angeli, 2013, pagine 16 e 17). Mentre il termine sesso è naturale, universale, biologico, costante, immutabile, il termine Gender è culturale, relazionale, sociale, flessibile, mutabile(ibidem).

Questa premessa è doverosa per comprendere la necessità di implementare il Gender mainstreaming a tutti i livelli decisionali, in particolare nei territori, proprio perché gli enti locali sono stati spesso laboratori di sperimentazione giuridica. Che genere di città è quella in cui abitiamo? Se ne può immaginare una diversa e inclusiva? Si può ripensare lo spazio in cui viviamo anche tenendo conto del genere femminile? Forse tutto comincia da un libro del 1961, Vita e morte delle grandi città americane, non a caso scritto da una donna, Jane Jacobs, uno dei testi più critici dello sviluppo urbano contemporaneo, cui seguì due anni dopo The Feminine Mystique di Betty Friedan, in cui l’autrice avrebbe descritto la storia dello sviluppo delle città americane come l’esempio del puro esercizio di potere di un genere sull’altro. E come non ricordare Revolutionary Road di Peter Yates, da cui è stato tratto un film notevole diretto da Sam Mendes nel 2008, che denunciava la strategia di confinamento delle donne nello spazio domestico? Come può entrare l’universo femminile nello spazio pubblico e nel paesaggio, da sempre pensati, regolati e dominati da un genere solo, quello maschile, come ci ricorda anche Leslie Kern nel suo libro Città femminista, La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini?

Il Consiglio Comunale di Torino è stato il primo, dopo il fallimento della Giunta Pisapia del Comune di Milano, ad approvare il 12 luglio 2021 il regolamento del Gender City manager, in attuazione di una mozione del 2017. La funzione del Gender City manager è stata recentemente attribuita al Cirsde, il Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere. A garanzia dell’uguaglianza di genere nell’adozione delle politiche territoriali si erano espressi la European Charter for Equality of Women and Men in Local Life redatta nel 2006 dal Council of European Municipalities and Regions e la “Strategia per l’uguaglianza di genere 2020-2025” fortemente voluta dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Quest’ultima ha anche predisposto una Task force on equality incaricata di produrre un apposito Toolbox per i policy makers. La “Strategia europea dell’Ue per la parità di genere 20-25” vuole costruire «un’Europa garante della parità di genere, in cui la violenza di genere, la discriminazione sessuale e la disuguaglianza strutturale tra donne e uomini appartengano al passato; un’Europa in cui donne e uomini , ragazze e ragazzi, in tutta la loro diversità, siano uguali e liberi di perseguire le loro scelte di vita, abbiano pari opportunità di realizzazione personale e le stesse possibilità di partecipare alla società europea e svolgervi un ruolo». La strategia utilizza come principio trasversale l’intersezionalità. Esiste anche una Strategia italiana per la parità di genere, (https://www.pariopportunita.gov.it/it/politiche-e-attivita/parita-di-genere-ed-empowerment-femminile/strategia-nazionale-per-la-parita-di-genere-2021-2026/) che ha lo scopo di guadagnare cinque punti all’interno della classifica del Gender Quality Index dell’Eige (https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2021).
Il Comune di Torino, quindi, ha voluto sperimentare l’istituzionalizzazione di uno «strumento di valutazione e di proposta per promuovere un approccio inclusivo delle questioni di genere in tutte le politiche». In altre città italiane il dibattito su questi temi aveva dato luogo a conferenze, dibattiti, convegni, spesso nell’intento di realizzare un’urbanistica inclusiva, ma non si era ancora tradotto in un regolamento che istituisse la figura del Gender city manager. Senza entrare nel merito di questa figura, come delineata dal regolamento della Città di Torino, è interessante riportare alcune considerazioni finali tratte da un prezioso articolo di Antonia Baraggia e Benedetta Vimercati, studiose e ricercatrici dell’Università degli Studi di Milano, pubblicato sulla rivista Il Piemonte delle autonomie, con il titolo Il Gender City manager della Città di Torino: l’ente locale tra gender mainstreaming e tutela dei diritti umani. Il Gcm ha, secondo il regolamento che lo istituisce, alcune funzioni obbligatorie e altre eventuali. Tra le tante non rientrano i rapporti con gli organi di indirizzo politico dell’amministrazione, segnalati solo come destinatari della sua attività reportistica, mentre c’è un forte rischio di sovrapposizione delle funzioni di questa nuova figura con l’Area Giovani e pari opportunità, già competente a svolgere un intervento trasversale a tutte le politiche cittadine di introduzione nel policy making comunale di obiettivi di genere. A dispetto del nome, da un esame del regolamento, la figura del Gcm ha ben poco di manageriale, essendo le sue funzioni poco implicate sul fronte gestionale (amministrativo, finanziario e tecnico). Inoltre, nonostante la sua competenza tecnica, rimane esterno all’amministrazione, pur dovendo supportare e facilitare la definizione delle politiche pubbliche a livello locale. Il rischio di sovrapposizioni con gli assessorati e altre articolazioni politiche, contribuisce a indebolire questa figura. Come si colloca allora il Gcm? Le ricercatrici, dopo un’accurata disamina delle città che hanno implementato, con modalità diverse, politiche urbane ispirate al Gender mainstreaming, sottolineano la natura ibrida della figura istituita dal regolamento della città di Torino e non ancora operativa. In una parte del loro approfondimento si chiedono poi se questa figura possa ispirarsi a quelle previste nelle cosiddette Human Rights Cities, tra cui si annoverano San Francisco e, in Unione Europea, Graz, Salisburgo, Vienna, Barcellona, York, Utrecht, Lund. Anche in questo caso le criticità e le sovrapposizioni rilevate, pure con la Commissione pari opportunità, potrebbero costituire un problema.

Del regolamento che ha istituito il Gender City manager a Torino si parlerà, nel prossimo mese di marzo, a Francavilla Fontana, Comune attento alla parità, all’inclusione, alla mobilità sostenibile, come si evince dalla consultazione del sito che ne presenta le caratteristiche e le politiche. Lo si farà all’interno del Progetto PARI-MENTI con Toponomastica femminile. In quell’occasione si approfondiranno alcune delle esperienze straniere più significative da cui prendere ispirazione per consolidare la prospettiva di genere nelle città. In particolare, ci si soffermerà sulle esperienze virtuose di Barcellona, Montreal, Paesi Baschi, Umea e Vienna, e delle Human Righs Cities ma anche del Gender City manager di Vienna, Berlino e Stoccolma, «una persona incardinata nella struttura amministrativa e politica della città che ha il compito di controllare e lavorare insieme agli assessori e alle assessore sulle azioni e sulle politiche di qualsiasi tipo, mantenendo questo particolare tipo di attenzione e sensibilità». Purtroppo le città che viviamo sono ancora pensate come luoghi destinati a essere abitati e attraversati da corpi maschili, adulti, benestanti, residenti. I corpi femminili ammiccano dalla cartellonistica pubblicitaria o sono relegati nei ruoli domestici.  Anche in Italia ‒ però ‒ qualcosa si muove, con molto ritardo e nell’ottica del Gender mainstreaming, ad esempio con una nuova esperienza a Bologna o nel recente passato a Milano. Stay tuned.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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