Divorzio e violenza sessuale. L’esperienza di Sora

Assieme a quella sull’aborto, le leggi sul divorzio e sullo stupro hanno segnato due dei momenti più significativi della storia delle donne italiane. 
La possibilità di divorziare è entrata in vigore il 1° dicembre 1970 grazie alla legge Fortuna-Baslini, nonostante l’opposizione dei partiti conservatori, tra cui la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano i quali, unitamente alle frange cattoliche del Paese, diedero vita a una martellante campagna per la sua abolizione tramite un referendum abrogativo. Questo si tenne il 12 maggio 1974 e vide la vittoria dei No e il mantenimento della legge. 
In realtà piccole e conservatrici come Sora la lotta per confermare la legge Fortuna—Baslini avvenne casa per casa, tramite volantinaggio e opere di sensibilizzazione porta a porta. Marcella riferisce: «Io mi sono fidanzata con mio marito facendo campagna elettorale sul divorzio nel ’74. C’erano molte battutine sul divorzio e invece abbiamo passato quasi 50 anni insieme. Noi rispondevamo con un manifesto del Partito liberale — che non esiste più — impegnato nei diritti civili: “Liberi di essere uniti”. Il fatto di essere uniti doveva essere frutto di una nostra scelta e non un obbligo imposto per legge. Per i ricchi, comunque, il divorzio esisteva già con l’annullamento presso la Sacra Rota tramite pagamento di cifre consistenti, bastava dichiarare che ci si era sposati senza la volontà di avere figli».

Con il divorzio non si potevano più ignorare i cambiamenti sociali del Paese reale; si apriva così la grande stagione delle rivendicazioni a favore dei diritti civili: vennero scardinate le idee patriarcali sull’uomo “padre-padrone” e sulla donna “angelo del focolare” e sottolineata l’importanza della libertà di scelta dell’individuo, e poco dopo si giunse ad altri importanti traguardi come l’equiparazione dei coniugi nella famiglia nel 1975, la legge sull’aborto nel 1978, l’abolizione del delitto d’onore del 1981. «Il riscontro è stata una vittoria – prosegue Marcella — a Sora ha vinto il No. Un miracolo perché Sora era un paese super cattolico. Capitava di andare nelle campagne e ci dicevano: “Il sacerdote ci ha detto che se rimane in vigore questa legge io e mia moglie saremo obbligati a divorziare”. Dovunque andassimo ci scontravamo con le testimonianze di persone che nella pratica domenicale si erano sentite dire queste frasi. Il No prese il 51%. Per due o tre mesi non abbiamo fatto scuola perché i professori sapevano che noi facevamo questo lavoro di sensibilizzazione. Nonostante ciò, non votavamo perché per il vecchio diritto di famiglia si votava a 21 anni. Fuori dalla nostra classe un grosso cartello recitava “Il 3B dice no”. Questa vittoria fu storica: ha affermato il principio di laicità dello Stato che ha aperto la porta alla campagna sull’aborto del 1978».

Nel 1979 l’azione collettiva di diverse realtà politiche e sociali, capeggiate dal Movimento delle donne, portò a una campagna per la raccolta firme per modificare la legge sullo stupro, all’epoca considerato reato contro la morale pubblica e non contro la persona. Furono gli anni dei tragici eventi del Circeo (1975) e del documentario Processo per stupro (1979), primo processo per stupro messo in onda dalla Rai, due eventi che segnarono particolarmente l’opinione pubblica italiana. Il Comitato promotore includeva l’Unione donne italiane, il Movimento femminista romano di via Pompeo Magno, le riviste Effe Noi donneQuotidiano donna e Radio Lilith, che, assieme a collettivi femministi di tutto il Paese, si mossero per raccogliere le firme necessarie alla modifica della legge: ne vennero raccolte 300.000, un risultato straordinario.
Si dovette comunque attendere il 1996 prima che lo stupro fosse considerato reato contro la persona. 

Angela riferisce: «In quel periodo furono raccolte le firme per la legge contro la violenza sessuale. L’iter delle leggi iniziò nel 1979 con la raccolta firme. La violenza sessuale allora veniva considerata un reato contro la morale. Ma che c’entra la morale? Noi siamo persone. La morale non c’entra. Questa è una violenza. Ci fu in quel periodo il famoso processo per stupro con Tina Lagostena Bassi che venne proiettato e ci fu un cambio di cultura, anche con lo stupro del Circeo».
L’associazione Risorse donna, che si è occupata di raccogliere le testimonianze delle attiviste dell’epoca, aggiunge: «La necessità di sviluppare una cultura del consenso nasce dall’esistenza di molteplici ostacoli che persistono: stereotipi di genere, idee discriminatorie sulla violenza sessuale, accuse di colpevolezza rivolte alle donne, dubbi sulla credibilità delle donne, sostegno inadeguato e legislazione inefficace. La cultura della violenza si replica in comportamenti sessisti, denigratori, molestie sino allo stupro e in atteggiamenti prevalenti delle persone e dei media, che normalizzano e giustificano la violenza. Secondo la Convenzione di Istanbul (2011), il consenso è un accordo volontario e non permanente per impegnarsi in una particolare attività sessuale; può essere revocato in qualsiasi momento e può essere concesso liberamente e sinceramente solo laddove il libero arbitrio di una delle parti consenzienti non sia sopraffatto da circostanze coercitive. Il consenso è necessario affinché possa accadere legalmente un rapporto fisico tra persone con piacere e con intenzione reciproche; diventa libero se è una decisione che viene presa senza pressioni o manipolazioni e senza essere indotta dall’effetto di droghe o di alcol; è specifico nel senso che se acconsento ad una cosa non vuol dire che acconsento ad altre; può cambiare nel tempo anche rispetto a cose dette e fatte in altri momenti; perché ci sia consenso occorre ricevere tutte le informazioni necessarie, senza omissioni o bugie. In definitiva, non si dà il consenso soltanto per compiacere il partner o perché gli è stata fatta una promessa o perché è un dovere, oppure perché abbiamo ricevuto una pressione psicologica o una manipolazione a seguito di un’insistente richiesta. A oggi, il Codice penale italiano fa ancora riferimento ad un’unica definizione di stupro, quella basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione, senza alcun riferimento al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro Paese nel 2013.
Abbiamo perciò ritenuto indispensabile coinvolgere nel progetto il punto di vista delle nuove generazioni attraverso momenti di dialogo tra le attiviste dei collettivi femministi e ragazze e ragazzi della Rete degli studenti medi Lazio per mettere in risalto quanto, ancora oggi, sia necessario sviluppare una cultura del consenso che renda le persone libere di scegliere attivamente come agire al di là di qualsiasi condizionamento proveniente da desideri e aspettative altrui o dalla società».

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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