Pontedera delle donne

Il mese di marzo 2024 è stato dedicato a Pontedera (Pisa) a una ricca serie di eventi, incontri, manifestazioni e dialoghi letterari incentrati sul mondo femminile.

Si sono susseguite anche cene a tema, spettacoli teatrali, mostre d’arte ed è stata allestita, negli spazi della Biblioteca comunale “Giovanni Gronchi”, la mostra di pannelli Donne in viaggio, aperta dal 4 al 15, realizzata da Toponomastica femminile e disponibile su richiesta di enti, scuole, amministrazioni. Il 7 si è svolta una tavola rotonda sul tema dei viaggi e la scrittrice Lucie Azema ha presentato il suo libro: Donne in viaggio. Storie e itinerari di emancipazione (traduz. Nunzia De Palma, ediz. Tlon, 2022). L’assessora alle Politiche di genere Carla Cocilova ha coordinato gli interventi che hanno visto la presenza di Paola Malacarne, in rappresentanza di Tf, e di Cristina Manetti, per La Toscana delle Donne.

Da sinistra: Manetti, Malacarne, Azema, Cocilova. Foto di Laura Candiani

Cocilova, ringraziando le intervenute e salutando il pubblico, ha riferito del proficuo rapporto instaurato da tempo con la nostra associazione; la mostra appena inaugurata infatti è la terza, dopo quelle dedicate alle donne premi Nobel e alle Madri costituenti; sempre in collaborazione con Toponomastica femminile, gli/le studenti dell’Iti Marconi, dell’Ipsia Pacinotti, del Liceo 25 aprile, hanno scelto dieci nomi di figure femminili esemplari per altrettante piste ciclabili, che rispondono pure all’impegno dell’amministrazione verso una mobilità sostenibile. Le prescelte sono: la scrittrice e deportata Lidia Beccaria Rolfi, Ipazia, l’antropologa e attivista Jane Jacobs, la prima senatrice a vita Camilla Ravera, l’ostetrica locale Tosca Bimbi, Maria Montessori, Joyce Lussu, Cornelia Fabri (la prima laureata in matematica all’Università di Pisa), la scrittrice livornese , vissuta a Pontedera, Athe Gracci, la scrittrice e attivista libanese Anbara
Salam Khalidi.
Cristina Manetti ha ricordato come la Toscana si impegni concretamente a favore della parità di genere che riguarda uomini e donne, apporta benefici all’intera società, rendendola aperta e accogliente. Essenziali sono la difesa del lavoro e la tutela delle madri, in questo senso si muove l’importante finanziamento con i fondi europei per rendere gratuito l’asilo nido per molte famiglie, liberando almeno in parte le donne dai pesanti carichi di cura. Un atto innovativo, in cui la Toscana si pone in prima linea.

Mostra Avventura, scoperta, racconto.
Foto di Laura Candiani

Paola Malacarne ha iniziato il suo intervento con un bel video dal titolo Senso di marcia, assai appropriato al tema dell’incontro. Da questo ha preso spunto per spiegare l’impegno di Toponomastica femminile nello sfatare stereotipi, nel vincere pregiudizi, nel puntare sul diritto delle donne alla visibilità, non solo attraverso le intitolazioni di vie e piazze. Si è soffermata poi sui pannelli della mostra e sui tre principali filoni dei viaggi femminili, nel tempo e nello spazio, per i quali ha dovuto operare suo malgrado una scelta, risultando impossibile esporre tutto quanto è stato realizzato grazie alle ricerche e agli studi delle socie.
Innanzitutto ha fatto riferimento ai viaggi nati per spirito di avventura, per conoscere, per esplorare, spesso diventati oggetto di narrazione, con le parole oppure con il disegno, la fotografia, la pittura. Ha citato alcuni personaggi emblematici, dalle vite affascinanti e piene di sfide, donne spinte dal desiderio di libertà, di dimostrarsi sicure di sé, di sfuggire alle convenzioni della loro epoca e del loro sesso, come Alexandra David-Néel che a 100 anni rinnovò il passaporto, convinta di poter ancora viaggiare, o la celebre archeologa Gertrude Bell, o la leggendaria monaca Catalina de Erauso, che nel XVII secolo si travestì da uomo e fu detta “la suora tenente”. Una seconda categoria di viaggiatrici è rappresentata da quante si spostavano per lavoro, come le balie, che di frequente lasciavano l’Italia per vivere presso famiglie altolocate in Francia, Tunisia, Svizzera, Algeria, Egitto, allattando la prole altrui, con grande strazio di madri, descritto sapientemente da Pirandello in una bellissima novella. Per il proprio mestiere viaggiano, ieri e oggi, le pilote, le artiste (le pittrici finlandesi in Toscana, fra le altre), le fotoreporter di guerra, ma anche le cantanti e le attrici nelle loro tournée; come non ricordare le giornaliste, talvolta vittime della loro stessa professione? La nostra Paola ha riportato alla mente quelle 38 ragazze emigrate dall’Italia che morirono, insieme a un centinaio di compagne, nel rogo della fabbrica Triangle Shirtwaist Company di New York, il 25 marzo 1911; tragico episodio raccontato da Ester Rizzo nel suo Camicette bianche (Navarra editore). Il terzo gruppo oggetto della mostra è costituito dalle profughe, quante fuggono dalla loro terra spinte dalla fame, dalla guerra, dalle condizioni disumane di vita, dagli obblighi imposti da governi dittatoriali, dall’impossibilità di studiare e di lavorare. Un esempio per tutte è rappresentato dall’atleta somala Saamiya Yusuf Omar (1991-2012), una velocista che cercava di lasciare il suo Paese con la speranza di continuare a gareggiare alle successive Olimpiadi, invece ha trovato la morte nelle acque del Mediterraneo tentando di raggiungere le coste italiane.

Lucie Azema. Foto di Nadege Abadie

A questo punto è iniziato il dialogo fra Cocilova e Lucie Azema, giornalista, viaggiatrice, femminista francese che nella sua giovane vita ha vissuto in Libano, Egitto, India, Turchia, Iran e, spinta dalle proprie esperienze e convinzioni, ha scritto il suo primo libro: Donne in viaggio; a questo ha fatto seguito di recente Le strade del tè. Sorseggiare il tempo (Tlon, 2o23). Sintetizziamo alcuni punti nodali, partendo dall’archetipo: Ulisse viaggia, come molti eroi mitici, mentre Penelope rimane in perpetua attesa, statica, immobile nella sua isola. Alla donna viene negato il diritto alla solitudine, alla libertà di muoversi, di essere indipendente, di misurarsi con sé stessa, mentre la famiglia e la società le incutono timori relativi alla sicurezza, le impongono di accudire la prole, di sacrificare i propri sogni e le proprie aspettative. Sollecitata da Cocilova, Azema si sofferma sul tema del cosiddetto turismo sessuale, che rimanda a una tradizione colonialista e razzista e che considera le donne, o meglio le bambine o i ragazzini, come prede sottomesse, laddove sembra “permesso” compiere atti ignobili che in patria non sarebbero immaginabili. Questo è emerso da tante interviste che ha condotto e che hanno evidenziato l’antifemminismo di certi uomini insoddisfatti delle europee, alla ricerca di facili piaceri in Thailandia, in Laos, a Marrakech, in Senegal, con squallide storie di sesso fra settantenni e adolescenti.
Un altro tema riguarda la libertà di viaggiare, non solo per le donne: se ci pensiamo il viaggio per proprio diletto segue la direzione da alcune aree del mondo (privilegiate e ricche) verso altre, non viceversa, pertanto si perpetua una forma di colonialismo come quello degli esploratori dei secoli passati che miravano a conquistare terre e popoli; oggi dobbiamo decolonizzare il viaggio e il suo immaginario, cercando invece di muoverci con un approccio rispettoso verso le realtà altrui, dobbiamo cercare di capire gli usi, di inserirci nelle comunità, di fare acquisti equi, di seguire reali obiettivi e bisogni. Proprio le sue esperienze fuori della Francia hanno condotto Lucie a scrivere il libro, dopo essersi documentata a lungo e aver maturato la convinzione che la viaggiatrice è una donna emancipata e libera.
A margine dell’incontro del 7 marzo, possiamo aggiungere altro perchè abbiamo letto con grande piacere il volume che ha vari meriti, primo fra tutti la scorrevolezza, insieme alla ricchezza di esempi, di citazioni assolutamente avvincenti, di casi che possono avere dell’incredibile. Ciò accresce la curiosità e spinge ad andare avanti per saperne di più, cominciando dell’interessante introduzione in cui l’autrice parte con la definizione di “avventuriera”, termine che al femminile ha una spiccata accezione negativa. Sottolineando l’eccezionalità di certe figure, nota come non sempre la viaggiatrice sia anche una femminista e come talvolta la donna si sia dovuta nascondere in abiti da uomo, magari facendosi assumere come marinaio; molte presenze sono tuttavia scomparse dai resoconti di viaggi maschili e allora «quando la negligenza è sistematica, è lecito parlare di un vero e proprio tentativo d’invisibilizzazione del viaggio al femminile». Inoltre, ed è assai vero, le donne «hanno dovuto rompere non solo le catene che avevano attorno, ma anche quelle che avevano dentro. Così facendo, hanno provato non solo a essere libere di viaggiare, ma anche libere per viaggiare». E queste sono proprio le due parti in cui il libro è diviso. Fra le tante cose che vale la pena menzionare, esposte spesso con ironia e con il gusto del racconto, lo sprezzo del pericolo tutto maschile, quindi eroico, mentre di una donna che rischia si dice sia incosciente; un caso emblematico è quello dell’esploratore Stafansson famoso per aver inviato in missioni impossibili degli sfortunati, che mai hanno fatto ritorno, mentre lui si prendeva la gloria e accumulava conferenze su quanto non aveva mai visitato. L’unica sopravvissuta una volta, in condizioni estreme nell’isola di Wrangel, nell’Artico, fu una donna, l’indigena Ada la cui vicenda è più che romanzesca e merita la lettura. D’altro canto una vera esploratrice, oceanografa e fotografa come Anita Conti, prima donna a imbarcarsi su una nave militare nel 1939, è morta nell’indifferenza quasi generale perché «non rientrava in nessuna casella amministrativa». Potremmo citare poi la sessualizzazione non consensuale del corpo femminile negli harem, dove predominano ozio e noia, e le donne oggetto, quali ad esempio le assistenti di volo, decorative per eccellenza e gradevoli agli occhi dei maschi viaggiatori: statura, peso, trucco, pettinatura, lunghezza della gonna, tutto viene regolato in modo ferreo, persino lo stato civile: fino al 1968 le assistenti di Air France non si potevano sposare, quelle di Quatar Airways hanno potuto farlo solo dal 2015! Assai divertenti gli esempi riportati di mansplaining, ovvero quasi una «disciplina olimpica tra i viaggiatori» quando l’uomo intende spiegare a una donna cose che lei sa benissimo, e lui molto meno, rischiando pure di mettere in pericolo la vita di quanti sono con loro (esemplare l’episodio riferito da Isabella Bird).
Sfatando il mito dei viaggiatori ed esploratori europei, l’autrice racconta affascinanti storie “al contrario”, ovvero quelle di monaci orientali che percorrono (come il cinese Xuanzang) 110 Paesi, ritornano in patria dopo 16 anni, scrivono 650 libri sacri, oppure di documentaristi che hanno filmato e fotografato tutto il mondo, muovendosi prima in bicicletta, poi in moto, infine con una Citroën 2cavalli, come i fratelli iraniani Omidvar, che negli anni Cinquanta-Sessanta erano liberi di spostarsi senza le attuali limitazioni. Un’altra riflessione riguarda il colore della pelle di chi viaggia, per cui può avvenire che la persona di pelle nera all’aeroporto o su un transatlantico venga erroneamente scambiata per cameriere o inserviente, rischiando persino fastidi con la polizia
di frontiera.
La seconda parte del libro consiste in un’analisi più interiore volta a riflettere sulle catene imposte dalla società, dalla famiglia, dalle convenzioni, intrecciando esperienze e ricordi personali dell’autrice. «Prima di viaggiare, le donne hanno dovuto, innanzitutto, uscire». Atto che, secondo la storica Michelle Perrot, assume due dimensioni: uscire fisicamente e uscire moralmente. Mentre leggere il libro King Kong Girl di Virginie Despentes può offrire a tutte l’opportunità di una svolta, afferma Azema, perché sostiene che le donne hanno il diritto di rischiare, di avventurarsi, pur sempre contando solo su sé stesse, sulla propria indipendenza e autonomia, alla ricerca di uno spazio proprio, quella stanza tutta per sé di cui parlava Virginia Woolf. Avvincente il capitolo dedicato all’abbigliamento: Nellie Bly si fece realizzare un solo abito dal sarto per fare il giro del mondo e non si curava molto dell’immagine, impresa oggi impossibile. Altrettanto interessante la parte incentrata sulle madri o comunque sulle esperienze esclusivamente femminili, come la gravidanza, il parto, l’aborto, il ciclo mestruale, tematiche rigorosamente escluse da qualsiasi narrazione di viaggio fatta da uomini, ma pertinenti al tema: infatti un padre che parte è un soggetto comune, la madre che parte «incarna il mostro supremo: colei che abbandona i figli, la madre snaturata». Ci sono però stati casi in cui le madri di età matura si sono fatte trascinare in percorsi avventurosi dalle figlie, oppure donne che hanno partorito in situazioni estreme o hanno portato con sé la prole o perfino una gatta, come fece Ella Maillart attraversando l’India. Il libro si conclude con un capitolo autobiografico, ricco di spunti e di pensieri che si possono sintetizzare con i seguenti consigli: «seguire l’intuizione», «abitare il mondo» e «decentrare lo sguardo», arrivando alla frase finale: «la libertà non si domanda gentilmente, si prende».
Buona lettura!

In copertina: Le pilote, le giornaliste in viaggio. Foto di Laura Candiani.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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