Notte di vento che passa

La scrittrice sarda Milena Agus ha dato alle stampe il suo nuovo romanzo, Notte di vento che passa (Mondadori, 2024), e ci troviamo a parlarne ancora una volta, dopo la prova tanto felice e avvincente di Un tempo gentile (Vv n.132).

Milena Agus

La sua è una penna che sa esprimere con grande finezza sentimenti femminili e che mette al centro delle sue storie protagoniste in cui è possibile identificarsi; non sono infatti eroine, né donne eccezionali, tuttavia rappresentano sfaccettature, sguardi, sensibilità che non lasciano indifferenti. Agus è una persona che sappiamo riservata, raramente presente anche nelle pagine dei giornali dedicate alla letteratura; è nata a Genova da genitori sardi, ma ha poi vissuto a Cagliari, dove è stata insegnante di Materie letterarie negli Istituti superiori e dove risiede; il successo è arrivato con il pluripremiato e pluritradotto Mal di pietre, adattato per il cinema dalla regista Nicole Garcia con Marion Cotillard nel ruolo principale (2016). Ha ottenuto svariati premi, in Italia e in Francia: premio Relay (roman d’évasion), Forte Village, Selezione Campiello nel 2007, Santa Marinella, Elsa Morante, premio Mediterraneo per stranieri, avendo tradotto in francese Prends garde (2015).
Sul settimanale il Venerdì di Repubblica (15-3-24) ha rotto il proverbiale riserbo e ha concesso una intervista a Cristina Nadotti per parlare della sua prova recente, con cui è passata a Mondadori, dopo la lunga fedeltà alla casa editrice Nottetempo. Alcune risposte assai interessanti meritano di essere condivise. Innanzitutto racconta di aver impiegato questi ultimi quattro anni nella stesura del romanzo, a cui ha dedicato ben 14 versioni, che risultavano insoddisfacenti, finché si è arresa e ha capito di essere arrivata a quella definitiva: «adesso scrivo quel che mi viene bene scrivere». Confessa poi di non sentirsi pronta per «un romanzo su un tema forte, sociale», le piacerebbe molto ma le riesce meglio partire da «storie private e in particolare da storie di famiglie, d’amore e di abbandono. Per riuscire a scrivere, perché scrivere è soprattutto un piacere mio, qualcosa che mi dà gioia, devo assolutamente partire da altro, arrivare al generale dal particolare». A proposito di scrittrici e scrittori della sua terra, che hanno riscosso negli ultimi anni un notevole successo come appartenenti a una ideale “corrente sarda”, Agus appare piuttosto scettica, ripensando a quel momento di vitalità in cui tuttavia non è detto che siano emersi i migliori talenti; lei rimane legata alla figura imprescindibile di Sergio Atzeni e dichiara: «Poi resisteranno quelli che riusciranno a diventare classici». Alla domanda se è vero che il suo romanzo tratta buoni sentimenti, risponde che non si tratta di un elemento banale, tutt’altro; in un mondo incattivito come il nostro, ben vengano i buoni sentimenti, è «un po’ come scrivere un romanzo di fantascienza, perché i buoni sentimenti sono introvabili. […] trovarli nella desolazione delle cose vissute è un affanno. Ma alla fine i buoni si trovano sempre».
Vediamo allora come si sviluppa Notte di vento che passa, partendo dall’incipit che ci presenta l’io narrante, la protagonista diciottenne dal nome fortemente evocativo (e deleddiano) di Cosima. Ragazza brillante, studiosa, lettrice appassionata e vorace, frequenta il Liceo classico e vive in una famiglia modesta, di gentixedda, con una madre grande lavoratrice che vede tutto nero e il padre sognatore e artista che vede tutto rosa.

Tramonto sul quartiere di Stampace Cagliari

Per migliorare la propria condizione si trasferiscono da un paese periferico nel capoluogo, Cagliari, ma non tutto funziona: certo scuola e lavoro sono più vicini, ma l’affitto, le bollette, le spese gravano sul magro bilancio. In campagna, invece, c’erano le galline, le uova, gli ortaggi, la pensione della nonna… Cosima ha un fratellino molto più piccolo, una creatura angelica quasi, sorridente, dolcissima, che rappresenta però una pena per i genitori: pur essendo sano, il bambino non parla e non cammina; vede tutto, osserva, capisce, si fa intendere, ma sembra un bambolotto morbido e paffuto. Altri personaggi chiave sono la nonna (sciadadedda, poveretta), che a suo tempo ha sfidato ogni convenzione diventando una ragazza madre, l’amico fedele detto Abya Yala, ovvero Terra in Fiore, che crede ancora nella forza della rivoluzione castrista, un uomo bello e contraddittorio, il pastore Costantino (su fillu malu), che la conduce nel turbine della passione, anzi in un vero «delirio» di sensualità in cui niente è proibito. E non ultima per il ruolo che ricopre la professoressa di Lettere, una donna che chi ha insegnato vorrebbe essere o essere stata, in grado di coinvolgere la scolaresca, di stravolgere i programmi, di esortare al ragionamento, all’indipendenza, alla creatività; colei che guida ragazze e ragazzi al fatal flaw e a letterarizzare la realtà. Operazione che con Cosima riesce alla perfezione. «La professoressa ci somministrava i libri esattamente come una medicina. Nessuno poteva buttare lì una frase a proposito di un problema senza che la prof facesse subito la ricetta e da buon dottore pretendesse che la cura fosse seguita». Che idea meravigliosa! Prima di procedere, devo confessare che a me il modo di scrivere di Agus piace molto e mi piacciono tantissimo i luoghi che cita, i cibi, i modi di dire perché ci ritrovo l’essenza di una terra dove ho scelto di vivere vari mesi l’anno, pur senza avervi legami diretti.

Asfodeli in fioreFoto di Laura Candiani

Ma non si tratta di folklore, di richiamo puramente turistico dovuto alle bellezze naturali, quanto piuttosto di “carattere”, di sintonia, di legame affettivo per cui leggere di località come la spiaggia del Poetto, Chia, Teulada, Villasimius vuol dire evocare ricordi, sentir parlare di pardule e sospiri significa gustare sapori noti, circondarsi di asfodeli, mirti in fiore, ginestre riporta ai colori e ai profumi della primavera, vedere donne e uomini con gli abiti tradizionali ormai rari fa rivivere usanze mai cancellate del tutto.
Sono dunque una lettrice per nulla imparziale. Mi dovrete perdonare. Tornando al romanzo, la nostra Cosima, che si sente un po’ come l’eroe di Calvino che si trasferisce a vivere sugli alberi, Cosimo Piovasco di Rondò, “letterarizza” quello che le accade, quello che pensa, ciò che prova nel breve periodo che è oggetto della narrazione: un anno intero che parte con l’autunno e arriva all’inverno successivo, a cui si aggiunge un epilogo al presente. Un anno che comporta così tanti cambiamenti nella sua giovane esistenza, che sembra appartenere a un’altra epoca, da cui scaturisce un nuovo futuro. A proposito dei buoni sentimenti di cui Agus sarebbe portatrice, secondo alcuni pareri della critica, devo però parzialmente dissentire; la scrittrice con sensibilità tutta femminile tratta tante tematiche: gli affetti familiari, il denaro, la passione amorosa, la solidarietà fra donne, lo studio, le amicizie, la guarigione prodigiosa del “mutino”, ma si tratta di aspetti della vita della gente semplice e perbene, in Sardegna e dovunque, che conserva buoni princìpi, che fatica per guadagnare, che risparmia per dare alla figlia tanto brava un degno futuro, che si fa poche illusioni pur tentando di migliorare la propria condizione. Questi sono dunque buoni sentimenti o è la realtà quotidiana? Tuttavia nel susseguirsi degli eventi ci sono anche fatti dolorosi, irreparabili, come la morte della mamma, la delusione tremenda provocata dall’amante Costantino, i rapporti freddi e formali con la ritrovata famiglia del nonno che snobba i paesani poveracci, il trasferimento della bravissima insegnante esortata ad andarsene perché troppo libera e originale nell’orientare il pensiero altrettanto libero della sua classe. «Arriva un momento» cominciò babbo «in cui quello che ci ha offeso, ferito, e ci ha indotto all’odio, deve finire, appartenere al passato. Come dici tu? Notte di vento che passa, notte di vento che passa». L’epilogo allora ci rasserena, ma così è la vita, che alterna momenti bui a momenti di gioia e di rinascita: Cosima con il babbo (in Sardegna come in Toscana non si usa mai il termine “papà”) e il fratellino, i tre mischineddus, dopo lo sfratto, tornano a vivere con la nonna che si è finalmente aperta ed è divenuta la confidente della nipote, ma non è una sconfitta; pieni di entusiasmo, recuperano un rudere andato a fuoco e contano di coltivare quel terreno, visto che sotto il suolo riarso la natura sta facendo il suo corso e riprenderà a germogliare. «Siamo tornati nel nostro paese, in mezzo ai campi dove in primavera il verde brillante dell’acqua, nei torrenti, si confonde con il verde luccichio delle fronde». All’università Cosima alla fine ha scelto Lettere, la facoltà consigliata dalla professoressa, ed è bravissima: è nata per scrivere. La letteratura è il suo mondo e può essere molto utile, così ci assicura nelle ultime pagine la protagonista, invitando noi lettrici e lettori a seguire il suo esempio: «E anche la letteratura mi ha dato una mano, perché vedere il mondo un po’ sollevati da terra e la realtà mai per quella che è davvero, vi garantisco che può essere di grande aiuto». Cosima, dopo un anno davvero «memorabile» ed «epocale», senz’altro cresciuta e maturata, ci suggerisce dunque di “letterarizzare” la nostra stessa vita, e tutto ci apparirà sotto una nuova prospettiva.

Milena Agus
Notte di vento che passa
Mondadori, Milano, 2024
pp. 180

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

Lascia un commento