Scarpette rosa 

Anno 1947. Alla mia nascita fui etichettata donna: genere femminile, fisicamente e socialmente. 
Anno 1957. Ero una bimbetta timida, brava nello studio, bruttina. 
I miei, come ristoratori, avevano lunghi orari di lavoro e poco tempo per me. 
Capitava di andare al cinema e con mio padre vedevamo film western in cui gli indiani erano i cattivi e i loro massacratori gli eroi. La scelta la faceva sempre lui. 
Con mia madre, invece, era un po’ diverso, perciò le chiesi di portarmi a vedere Scarpette rosse, storia di una ballerina di danza classica. 
Quel titolo mi attraeva molto. Anche se ero del tutto profana in fatto di musica, osservavo rapita i miei genitori nelle rare occasioni in cui, in casa, scivolavano lievi in tanghi e valzer, al suono di un giradischi. 
Non ricordo nulla di ciò che vidi sul grande schermo, ma è sempre viva la grande amarezza e il silenzioso pianto nel momento in cui mamma mi sussurrò che il film era troppo lungo e dovevamo andare via, perché era già tardi per l’ora di cena dei clienti. 
Il balletto, nella proiezione, si stava esibendo ne Il lago dei cigni ed era un tripudio di tutù bianchi che si muovevano leggeri al ritmo di una musica travolgente. Conobbi la fine della storia solo molti anni dopo. Ma rammento bene l’emozione provata nel sentir nascere dentro di me il grande sogno di studiare alla scuola di danza del Teatro della Scala di Milano per diventare ballerina classica.  
A Natale chiesi le scarpette rosse, che arrivarono, seppur di un deludente color rosa pallido. Scoprii che, alzandomi sulle punte durissime, mi procuravo gran male alle dita e a tutto il piede. Ma ero determinata: ore e ore sulle punte fino al dolore non più sopportabile, e qualche goffa piroetta, volando con la fantasia. 
Fiera di me, ne parlai con babbo, che non era particolarmente severo, ma in casa era arbitro unico di ogni decisione finale insindacabile. Fui subito interrotta da un NO secco, un NO che non ammetteva repliche. Perché? 
«Perché fare la ballerina non è un’attività da donne serie, da ragazze perbene». 
Nella sua mente c’erano le ballerine di locali notturni, balere di dubbia fama, di posti volgari, che lui e i suoi amici conoscevano perché “usava così”, quando uscivano dopo cena mentre le mogli restavano casa. I predatori ne traevano gloria nella cerchia delle loro conoscenze maschili, le prede erano solo delle donnacce. 
Gli attribuisco la responsabilità di non essersi informato prima di quel NO dettato solo dal pregiudizio e di non aver colto l’opportunità di fare un passo avanti rispetto alla sua cultura. Mio padre era un uomo intelligente e molto aperto: sì, ma per ciò che riguardava le/gli altri. 
Mamma capì la mia sofferenza, per babbo, invece fu tutto regolare. Non se ne parlò più e lui restò certo di aver preso la decisione giusta. 
Anni dopo mi disse che anche lui aveva un sogno: gli sarebbe piaciuto che io conseguissi il brevetto di pilota di aereo o elicottero. Lo fissai allibita: non una pur vaga valutazione del rischio e delle mie possibili paure, né dei miei desideri. 
Forse era il suo sogno, non il mio.  
Forse aveva sperato in un figlio maschio. 
Non l’ho mai appurato, ma mi colpì la sua incoerenza. 
No a un’attività allora molto femminile, in nome di un’ideologia che etichettava tutte le ballerine, anche quelle di danza classica, nella categoria “donnacce”, per poi spingermi verso un obiettivo rischioso e considerato, all’epoca, tipicamente maschile? 
Non risposi, mi limitai a cestinare dentro di me senza alcuna esitazione il suo progetto, molto innovativo per quei tempi, ma del tutto estraneo ai miei interessi. 
Il mio sogno fu immolato sull’altare del “cosa direbbe la gente?” ma quelle scarpette rosse sono ancora qui, nel mio cuore, intatte come il mio rammarico. Per sempre. 

***

Articolo di Clara Mazzanti

Le scelte compiute intorno agli anni ’70, con ciò che ho visto e provato, gravano sulla mia mente e sul mio esistere di ogni giorno. Ho scritto Venga con noi. Dagli attentati del ’69 a Piazza Fontana, Edizioni Colibrì. Sono inquieta, ruvida, un po’ bizzarra e un po’ sognatrice nonostante tutto, curiosa e attenta alle vicende umane, ma libera da convenzioni e luoghi comuni.

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