«A scuola, persino all’asilo, ci insegnate come ci si comporta al mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora perché voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare?»
Severn Suzuki, Discorso alla Conferenza di Rio de Janeiro sul clima del 1992.
Quello che sto per scrivere forse vi stupirà. Una persona che ogni mese recensisce la rivista di geopolitica Limes e si occupa di Economia di guerra dovrebbe essere disincantata e cinica e considerare le parole della sua Costituzione niente più che dichiarazioni di principio. Invece no, quello che sto per scrivere è perfettamente in linea con chi voglia essere, nel segno della nostra Costituzione, operatrice/operatore di pace. Attenzione: operatrice di pace non significa “pacifista”. Significa persona che agisce nello spirito e nella lettera della Costituzione, che ammette un tipo di guerra, quella di difesa e già solo per questo non può essere considerata pacifista.
Scrivo perché sono stufa di essere definita “pacifinta” da giornalisti/e ignoranti del testo della Costituzione e del significato dell’articolo 11 e asserviti ai poteri che li stipendiano. Detesto il termine canzonatorio e dispregiativo di pacifinto/a, che dovrebbe essere bandito dal linguaggio civile, in una Unione Europea che ha scelto di costituirsi dopo che due guerre mondiali si erano combattute sul suo suolo, (facendo migliaia di morti e distruggendo gli affetti di intere famiglie, oltre ai danni irreversibili al pianeta) ispirandosi alle parole degli autori e delle autrici del Manifesto di Ventotene peraltro mai incontrato nei miei corsi scolastici.
Ho imparato a odiare la guerra dai racconti dei miei nonni e delle mie nonne, che ne avevano viste due nella loro vita e da quelli di mia madre, che ne aveva vista una sola, la seconda mondiale, quando era adolescente. Ho continuato a odiare la guerra a scuola, grazie alle parole e alle letture delle mie maestre e professoresse in quelle che un tempo si chiamavano elementari, poi alle medie, poi alle superiori e infine leggendo la mia splendida Costituzione all’articolo 11, quando ho preparato l’esame di Diritto costituzionale. Per tutta la vita dalle mie Maestre ed educatrici mi sono sentita dire che la guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» era vietata e impossibile nel nostro Stato.
Dall’aggressione della Russia all’Ucraina tutto è cambiato, ancor più dalla reazione di Israele sulla popolazione civile palestinese — che molti definiscono genocidio — all’attentato di Hamas del 7 ottobre scorso. Quello che ho insegnato per più di 40 anni a scuola, nelle mie lezioni di diritto e relazioni internazionali, forse era sbagliato, forse lo insegnavo tanto per dire. Dovrei convocare i miei studenti delle diverse generazioni e dirglielo? Eh si, perché oggi si parla soltanto di geopolitica e il diritto costituzionale, internazionale e umanitario, ripetutamente violati, sembrano essere stati eliminati da “ragioni superiori”, che ci portano a riarmarci in una escalation senza fine.
Chissà perché, come ricordava Severn Suzuki, la ragazza che parlò alla conferenza dell’Onu sul clima nel 1992, e a cui abbiamo intitolato uno dei magnifici tigli di piazza delle associazioni a Melegnano, il 27 giugno scorso, certe cose ce le insegnano da bambini e bambine e poi nella quotidianità fanno tutto il contrario di quello che hanno detto. Considerazione da ingenui/e? Se per ingenuus/a si intende, come nel mondo romano, «chi nasce libero», voglio essere definita un’ingenua e trovarmi «bella come una mente libera» (Martha Nussbaum).
Come si può essere operatrice/ore di pace oggi? In primo luogo lasciando la parola alle diplomazie e ai negoziati. Un po’ come era successo tra Zelensky e Putin, che avevano quasi raggiunto un accordo prima dell’invasione, come hanno ricordato il Wall Street Journal e il New York Times e prima ancora alcuni articoli su Limes. Abbiamo diplomatici e diplomatiche che sono pagate profumatamente e hanno proprio il compito di impedire le guerre. Perché non sono più tenute in considerazione?
Ma esistono altri modi per contrastare il pensiero unico bellicista, come lo chiama Nico Piro nel suo bellissimo libro Maledetti pacifisti (un titolo, un programma). Uno è consultare i siti della associazioni contro la guerra, come Un ponte per, Emergency e molti altri, attivandosi sulle iniziative ivi condivise, anche solo donando loro il nostro 5 x 1000. Appena scoppiata la guerra in Ucraina alcune/i esponenti di queste associazioni erano invitate nei talk show a parlarne, portando un pensiero divergente e in linea con la Costituzione. Da molti mesi non si sente che il parere di geopolitici e improvvisati opinionisti tuttologi.
Un altro modo è condividere petizioni come quella proposta da Oxfam Italia contro l’invio di armi a Israele. Questo è scritto sul sito che promuove la petizione: «La popolazione di Gaza si trova ad affrontare una crisi umanitaria di una gravità e portata senza precedenti. I bombardamenti e l’assedio imposto da Israele stanno privando la popolazione palestinese delle risorse essenziali per la sopravvivenza. Gli attacchi perpetrati dalle autorità israeliane, supportati anche dall’uso di armamenti — o componenti — forniti da Stati terzi, hanno provocato la perdita di oltre 38 mila vite, il 70% donne e bambini. (Da uno studio recente di The Lancet, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo, le persone morte sarebbero molte di più n.d.r. perché più di 10.000 cadaveri devono tuttora essere estratti dalle macerie. A questi numeri devono essere aggiunte le morti indirette che solitamente superano dalle 3 alle 15 volte i decessi diretti, e si devono a malattie, distruzione delle infrastrutture sanitarie, scarsità di cibo, acqua, e ricoveri).
Il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio 2024 ha messo in luce l’esistenza di un rischio plausibile di genocidio a Gaza. La Convenzione sul Genocidio del 1948 richiede agli Stati firmatari di impiegare ogni misura appropriata per prevenire e reprimere gli atti di genocidio. I bombardamenti indiscriminati in corso inflitti alla popolazione palestinese, in violazione del principio di distinzione, sono inaccettabili e rappresentano un crimine di guerra, così come la violazione del principio di proporzionalità…».
Un’altra azione da operatrice/ore di pace è la diffusione di informazioni sulle imprese che inviano armi a Israele e sulle Università che organizzano corsi come quelli di cui abbiamo parlato qui.
Contro la logistica della guerra, mi piace ricordare quanto può leggersi qui: le azioni di protesta che in molti porti italiani e da ultimo il 25 giugno scorso a Genova hanno visto lavoratori e lavoratrici portuali, dipendenti della logistica, studenti, comunità palestinesi opporsi alla cosiddetta “logistica della guerra”. Sulla logistica si fonda l’economia globale. A partire dagli anni Settanta con il passaggio dal modello fordista della produzione in un solo luogo, al modello postfordista tipico della globalizzazione la logistica è diventata determinante. Come ricorda Ferdinando Pezzopane su Jacobin Italia, «attualmente lungo le varie tratte commerciali circa il 50% dei beni trasportati, che compongono il 12% del Pil mondiale, sono diretti verso altre aziende per essere impiegati in successivi processi produttivi». La logistica però nasce nel settore militare e si occupa del trasporto di moltissime armi, che non sono gestite da professionisti del mondo militare ma da lavoratori e lavoratrici del settore della logistica. Per questo raccontare il commercio di armi e opporvisi è un modo concreto di “agire” il proprio antimilitarismo.
Infine l’ultima azione che propongo emerge dal dossier Finanza di pace. Finanza di guerra, che ha evidenziato l’enorme cifra di oltre 959 miliardi di dollari destinati dalle istituzioni finanziarie per il supporto alla produzione e il commercio di armi. Il report ha rivelato che quasi la metà di questo investimento proviene dagli Stati Uniti, seguiti dai 79 miliardi di dollari provenienti dai primi 10 investitori europei. Inoltre, le maggiori banche europee hanno investito ben 87,72 miliardi di euro in aziende produttrici di armi.
Di fronte a una corsa agli armamenti senza precedenti, molte banche etiche hanno scelto di non finanziare la produzione o il commercio di armi: sensibilizzando l’opinione pubblica sulle conseguenze disastrose degli investimenti nelle armi e presentando il Manifesto per una finanza di pace, «chiedendo alle istituzioni finanziarie mainstream di smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi». Spostare i nostri soldi dalle banche armate alle Banche etiche sarebbe un ottimo gesto da operatrice/operatore di pace.
Voglio chiudere le mie riflessioni con un invito: scrivete nei commenti il vostro modo di essere operatrici e operatori di pace, suggerite siti, petizioni, organizzazioni non governative, articoli di approfondimento. Occupy Wall Street, movimento impegnato contro lo strapotere del mondo finanziario, aveva uno slogan che mi ha sempre affascinato: «Noi siamo il 99%». Io credo che il delitto più grande che chi ci dovrebbe rappresentare, a livello nazionale ed europeo, sta compiendo sia proprio quello di non considerare le istanze dell’opinione pubblica, molto più vicine alla nostra Costituzione di quanto sembri. E allora riporto qui le parole di Gino Strada, che insieme a sua moglie Teresa Sarti, fondò Emergency: «Non è troppo tardi per andare in una direzione più giusta. Non lo faranno i nostri governanti, non lo faranno i politici, spetta a noi in quanto persone e non in quanto cittadini di questo o quel Paese, in quanto persone che si riconoscono semplicemente come membri della stessa specie, invertire la rotta per evitare la sofferenza di centinaia di milioni di esseri umani.
Non è troppo tardi per far sentire la nostra voce di cittadini del mondo»
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

https://www.panorama.it/news/stragi-usa-nelle-scuole-movimenti-di-protesta-contro-le-armi?fbclid=IwY2xjawETbdtleHRuA2FlbQIxMAABHbL7Xmps9BCk2pDc2CnlLYAOe6E7WHowoPsF8LDf_Xs18WyznTMOiKBYag_aem_5_co8bp3p72jpHuBt1jelg
Grazie a Gianmaria Di Silvestro per questo suggerimento
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