La prima vittima della guerra è la verità

Da due anni almeno in molti/e proviamo un senso di disagio ascoltando nei telegiornali o leggendo sui quotidiani i resoconti dei due conflitti in corso: ormai si parla quotidianamente di quello russo-ucraino e di quello a Gaza, ignorando di fatto gli altri. Il linguaggio usato, le persone intervistate, le situazioni raccontate seguono due metri diversi.
Sto scrivendo dopo aver assistito alla ripresa televisiva dei funerali degli ultimi ostaggi uccisi da Hamas. Giustamente si esibiscono le loro fotografie, si ascoltano le loro ultime dichiarazioni, ci si commuove per le parole dei loro parenti. Delle persone uccise ogni giorno in Palestina o in Cisgiordania, vittime civili costrette a spostarsi continuamente da una parte all’altra di Gaza per sfuggire a bombardamenti che colpiscono impunemente scuole, campi profughi, presidi dell’Onu, ospedali, col pretesto di dare la caccia ai terroristi, si parla in modo generico, come se fossero numeri e non persone. Perché non possiamo vedere le fotografie delle persone uccise? Perché non ci raccontano chi erano, che cosa facevano, perché non ascoltiamo le voci di chi li ha persi/e per sempre? Ma soprattutto perché nessuno/a, tra le tante persone che ci dovrebbero rappresentare in Parlamento e negli altri luoghi delle decisioni politiche, denuncia questa situazione?
A pensarci bene è la stessa sensazione che provo ormai da moltissimi anni quando ascolto i racconti dei naufragi delle persone migranti. «Disperse in mare tot persone, tra cui tot bambini, alcune persone minori non accompagnate». Chi sono queste persone? Qual è la loro storia? Che lavoro facevano? Quanti anni avevano?

Come ricorda Pasquale Pugliese sul Comune.info del 23 agosto 2024 «La propaganda di guerra è un dispositivo antico. Oggi c’è chi sui media e tra i politici istituzionali parla di diritto del governo di Israele all’auto-difesa per giustificare l’uccisione di oltre 40 mila palestinesi e il ferimento di 100 mila persone, in gran parte bambini e bambine. Facendo un ulteriore salto, la neolingua bellicista, con il quotidiano la Repubblica in prima fila, utilizza “negoziato” come sinonimo di “resa”, buttando a mare tutta la teoria e la pratica internazionale di mediazione dei conflitti.
Non contenti inventano la teoria giuridica con la quale il ripudio della guerra previsto dall’articolo 11 della Costituzione vale a giorni alterni […]. Un governo incapace di proteggere i propri cittadini da un atto terroristico, ossia propriamente di difenderli, ma capace di compiere il genocidio di un popolo — definendolo appunto “autodifesa” — sganciando decine di migliaia di tonnellate di esplosivo su un fazzoletto di terra in dieci mesi di bombardamenti continuativi. Con la complicità sostanziale dei governi occidentali, nonostante i pronunciamenti della Corte di giustizia internazionale e della Corte penale internazionale. Uno spostamento lessicale ed argomentativo, ossia logico».

In piena neolingua e logica bellicista, ormai abbiamo sdoganato le equazioni «guerra è pace» e «negoziato è resa» a proposito della guerra russo-ucraina. Nico Piro, discepolo di Gino Strada e Teresa Sarti, ci aveva messo in guardia molto tempo fa sul cosiddetto “marketing della guerra”.
Anche larticolo 11 della Costituzione, uno dei principi fondamentali, e anche se il meno rispettato, non viene più citato, non solo dai e dalle giornaliste ma nemmeno da colui che ne è il Garante insieme alla Corte costituzionale: il Presidente della Repubblica.
Proprio per questo mi ha particolarmente colpita la lettera scritta dal giornalista Raffaele Oriani, autore del libro La scorta mediatica, che ha osato differenziarsi anche a costo di lasciare un prestigioso posto di lavoro come quello su Il Venerdì di Repubblica. Mi piace riportarlo per intero: «Care colleghe e colleghi ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale.
Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’ 8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile.
Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori».
Un gesto di grande dignità e coraggio, che ognuna e ognuno di noi può fare sollecitando le persone con cui vive e quelle che incontra a riflettere su quanto si sta attuando nei confronti delle opinioni pubbliche tutte. Scriveva Eschilo, il grande tragediografo greco: «La prima vittima a morire in guerra è la verità». Ce lo ha ricordato anche Gianni Rodari: «Nel paese della bugia la verità è una malattia».
Ognuno di noi può fare il suo pezzetto per contrastare questa deriva e realizzare un mondo di pace, come ha sempre ricordato Teresa Sarti. Un modo per farlo è sottoscrivere l’appello di Oxfam e di altre associazioni che qui riporto: Comune.info.

In coda all’articolo sono indicati i soggetti che hanno sottoscritto questa Lettera aperta al Presidente della Repubblica, al Parlamento e al Governo italiano alla data del 31 luglio 2024. La guerra ormai è stata sdoganata. Si vede la puntata di Presa diretta dell’8 settembre scorso, Europa in armi. Tacciono le parole della diplomazia, non si sentono le parole delle donne. Fino a quanto sopporteremo questa deriva mortifera e autodistruttiva del patriarcato?

In copertina: disegno di Gianluca Foglia Fogliazza.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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