La notte di Israele. Il numero 9 di Limes 2024. Parte seconda

Il numero 9 di Limes è come sempre ricco di interventi di autori e autrici che appartengono alle diverse parti in conflitto. Molte/i di loro si interrogano, da punti di vista contrapposti, sulla possibilità della soluzione, quasi certamente irrealizzabile ma ripetuta ipocritamente come un mantra dei «due popoli due Stati», dopo questa guerra senza fine.

A tale proposito è da segnalare una parte dell’editoriale di Lucio Caracciolo che riporta la storia e il pensiero di un personaggio recentemente riscoperto dalla destra al potere in Israele. Si tratta di Ze’ev Jabotinsky detto «Jabo», ebreo russo nato Vladimir Evgen’evič Žabotinskij a Odessa nel 1880, morto a New York nel 1940. Personalità carismatica, difficilmente catalogabile, cresciuto in ambienti cosmopoliti, inviso a Ben Gurion e tirato per la giacchetta dalle diverse destre presenti in Israele, va ricordato per la sua proposta eccentrica e innovativa sul destino di Israele: uno Stato democratico e liberale, dove la maggioranza ebraica garantisce alla minoranza araba i suoi stessi diritti nel quadro di una costituzione che, come è noto, in Israele non c’è. Quasi una controproposta alla legge fondamentale su «Israele, Stato nazionale del popolo ebraico» varata il 18 luglio 2018 dalla Knesset a stretta maggioranza, voluta da Netanyahu e osteggiata dal Presidente Rivlin. L’editoriale ne illustra i punti salienti, sicuramente interessanti.

Jabotinsky

Nella seconda parte, Israele contro Iran, è notevole il contributo di Eleonora Ardemagni, Gli Huthi hanno già vinto, in cui si illustra molto bene la storia di questo gruppo antioccidentale che tanto preoccupa le grandi potenze. Basti solo questo passaggio: «Gli attacchi degli huthi nel Mar Rosso e contro Israele stanno inserendo una nuova, pericolosa dimensione nel conflitto: quella internazionale. Il fallimento delle misure di deterrenza messe in atto soprattutto dagli Stati Uniti contro gli huthi dopo il 7 ottobre — dal rafforzamento delle sanzioni al dispiegamento della missione navale difensiva Prosperity Guardian, fino ai bombardamenti mirati contro i siti militari — delinea uno scenario di crisi di medio-lungo termine in cui il movimento yemenita continuerà ad attaccare. Lo farà galvanizzato anche dalla possibilità di affrontare direttamente quei “nemici” additati già nello slogan fondativo del gruppo: «Dio è grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria all’islam».

Stretto di Bab al Mandab

Un altro saggio da non perdere è quello di Pierguido Iezzi, AI, la freccia avvelenata all’arco di Israele, che illustra il percorso che ha portato all’esplosione dei cercapersone in Libano e dimostra che «con la sua potenza di calcolo, l’Ai permette di conseguire obiettivi finora impensabili attraverso la cosiddetta algorithmic warfare (guerra algoritmica). Agli attacchi informatici caratteristici della cyber warfare si stanno affiancando strumenti capaci di analizzare in tempo utile quantità enormi di dati provenienti dal teatro d’azione, fornendo risposte efficaci in base ai mezzi, agli uomini e alle armi disponibili. Ne deriva una superiorità schiacciante, come si evince dal conflitto in atto tra Israele e le formazioni filo-iraniane (Hamas, Hezbollah), dove l’utilizzo di strumenti di Ai quali Gospel o Lavender sta assicurando il predominio alle Forze di difesa israeliane (Idf)». Sono molti, in questa sezione del volume di ottobre, gli approfondimenti interessanti per capire lo scontro tra Iran e Israele nelle sue varie sfaccettature e sui diversi fronti. Come riprenderci la Galilea di Yochanan Tzoref è uno di questi.

Il cratere lasciato dal bombardamento contro il bunker di Nasrallah (AP Photo/Hassan Ammar)

Nella terza parte, La guerra degli altri, l’articolo di Federico Petroni Come si usa l’America affronta il tema dell’appoggio degli Usa a Israele, su cui peraltro l’opinione pubblica statunitense comincia a vacillare. Usa e Israele si sentono animati da uno stesso spirito missionario, la lobby ebraica in America è potentissima e per il momento, nonostante numerose proteste, Usa e Israele sono più uniti che mai. Gli Usa dall’inizio di questa guerra non controllano Netanyahu, pur avendo offerto a Israele una quantità infinita di armi, comprese le bombe che hanno ucciso Nasrallah e circa 500 altre persone (ma i dati ufficiali non sono pervenuti) di cui naturalmente nessuno parla. Ma quanto potrà durare tutto questo, in una fase in cui l’America ha perso molta della sua credibilità internazionale? Così scrive Petroni: «È la leadership senza egemonia di cui si fantastica a Washington. Risultato della logica in cui è entrata l’America: usare gli alleati per attingere a risorse che non è in grado di mobilitare. Solo che scopre di non poter controllare chi combatte ma di esserne dipendente. Come nota il decano Richard Haass, gli Stati Uniti sono in crisi di consenso, privi di strumenti per gestire i sempre più frequenti disaccordi con gli alleati. In Ucraina, la discordia fra Kiev e Washington ha prodotto una sanguinosissima stasi. Le Filippine provocano i cinesi, forti del trattato con gli Stati Uniti. Con intensità varie, anche Polonia, Turchia, India e Giappone attingono più di quanto danno. I satelliti usano l’America più di quanto l’America usi i satelliti».

Il sogno del Grande Israele

Nell’approfondimento di Germano Dottori Israele divide l’Italia il focus si sposta sul nostro Paese, in cui si registra una contrapposizione emotiva tra chi, tra gli e le italiane, si sente vicino all’Ucraina e a Israele e chi invece sposa a prescindere i punti di vista di russi, cinesi, venezuelani, iraniani e dei sostenitori arabi dell’islam politico. Dopo gli spari dell’Esercito israeliano contro le basi Unifil che hanno riguardato anche il contingente italiano l’opinione pubblica ha avuto reazioni vicine all’antisemitismo, non comprendendo la violenza dell’attacco a Hezbollah e al suo capo carismatico e l’allargamento del conflitto sui diversi fronti. Netanyahu è visto come un arrogante che afferma la prepotenza globale dell’Occidente. Del resto i discorsi di Netanyahu all’Onu e le sue affermazioni relative al Grande Israele, che dovrebbe estendersi dal Giordano al mare, sono estremamente preoccupanti.

Al di là dei ragionamenti geopolitici, quello che Israele ha fatto nei confronti della popolazione civile ha compromesso per sempre la validità e il rispetto del diritto umanitario. È ben vero che chi si è scagliato contro civili indifesi e inermi per primo è stato Hamas, ma Hamas è un gruppo terroristico, mentre ciò che ha fatto Netanyahu è espressione di uno Stato, che dovrebbe riconoscere e rispettare le regole del diritto internazionale e umanitario. Invece attacca il segretario generale Guterres e impedisce all’Unrwa di soccorrere i palestinesi, mettendo al bando con due leggi l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, dove la prepotenza dei coloni è superiore a quella dell’esercito. Nel frattempo il Sudafrica ha inoltrato alla Corte internazionale di giustizia un dossier di 750 pagine contenente prove che accusano Israele di “genocidio” contro i palestinesi, documentando uccisioni, danni fisici e psicologici, espulsioni e privazioni in aperta violazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio del 1948. (https://www.middleeasteye.net/news/icj-genocide-case-south-africa-files-750-page-evidence-against-israel)

Netanyahu illustra all’Onu le carte della Maledizione e della Benedizione

Il Governo italiano sembra non accorgersi di quanto la situazione in Medio Oriente ci riguardi direttamente. A tale proposito così si chiude l’editoriale del direttore di Limes: «Abbiamo rimosso la nostra condizione di ultima frontiera dell’Occidente, a ridosso di Caoslandia. Così ci finiamo dritti dentro. Vogliamo preoccuparcene? Se sì, battiamo un colpo.
Per esempio. Se centinaia di migliaia di gaziani sopravvissuti alla rappresaglia di Netanyahu saranno scaraventati nel deserto egiziano o nel Mediterraneo per far posto a militari e nuovi coloni israeliani, scontato che alcuni punteranno alle nostre spiagge. Aspetteremo che ci affoghino davanti? Li trasferiremo in Albania per esser certi di non vederli? Escluso organizzarci per andarli a prendere, promuovendo una missione internazionale di volenterosi? La risposta a queste domande ci dirà molto su noi stessi».

In questo numero ha un rilievo più importante del solito la cartografia. Per la loro illustrazione si rinvia alla puntata di Mappa Mundi con Laura Canali a questo link.

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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