Da sempre le fiabe, in Europa occidentale e nel Nord America, sono state lo specchio dell’immaginario collettivo, nel tentativo di veicolare e dirigere desideri, passioni, interessi e obiettivi di vita, soprattutto di bambine e bambini piccoli. Negli ultimi decenni, tuttavia, la rappresentazione classica dei modelli di mascolinità e di femminilità è stata decostruita dalla nuova animazione, con conseguenze inevitabili anche sulla linea narrativa.
La serie cinematografica Shrek, prodotta da DreamWorks Animation e diretta da Andrew Adams e Vicky Jenson a partire dal 2001, è uno dei risultati meglio riusciti di tale rivoluzione.
Nel film, la crisi della narrazione convenzionale avviene senza filtri, attraverso una serie di giochi intertestuali, fatti di continui, parodici e irriverenti rimandi alle fiabe tradizionali e ai grandi racconti della cultura di massa. Quella di Shrek è una nuova rappresentazione dei ruoli di genere. Si parla del concetto di sessualità performativa, espresso da Judith Butler: il genere, in quanto costrutto che riproduce la distinzione degli individui tra uomini e donne, diventa un concetto che, nel corso dei secoli, ha limitato e limita la libertà, costringendo le infinite possibilità di un individuo all’interno di un modello sessuale binario. La queer theory in Shrek si palesa attraverso personaggi favolistici che assecondano il loro puro modo di essere, con naturalezza. La stessa figura di Shrek sovverte l’ordine e protesta contro una narrativa che pretende che lui vesta canoni estetici dell’eroe consueto. Per ragioni di spazio, verranno qui considerati i primi due film (2001, 2004) di una serie prevista di cinque.
Andando oltre l’aspetto estetico di Shrek, che innegabilmente lo allontana dallo stereotipo maschile, possono essere messi in luce molti altri elementi caratteriali e comportamentali che disturbano la narrativa tradizionale. In primo luogo, consideriamo il motivo per cui Shrek decide di intraprendere la grande impresa di salvare la principessa Fiona: riottenere la sua silenziosa e disabitata palude. Le sue azioni non sono mosse dalla volontà di ottenere ammirazione, da donne o da altri uomini, o dall’interesse personale di impadronirsi di una donna, come se fosse una gratificazione per i propri meriti. Difatti quando, finalmente, giunge presso l’altissima torre, nella stanza dove la principessa lo attende, egli non si piega alle convenzioni o alle buone maniere, ma sveglia Fiona strattonandola e incitandola a scappare: in una scena umoristica, la principessa si aspetta che venga destata dal sonno attraverso un bacio, come accade per Biancaneve. Non la prende in braccio, trasportandola lontano dalla draghessa, come avrebbe fatto un virile eroe delle fiabe, ma, prendendole la mano, la conduce fuori dal pericolo. Shrek è un «cavaliere unico nel suo genere». In secondo luogo, l’amore per Fiona si costruisce nel tempo in cui i due si conoscono e manifestano le loro similitudini; entrambi sono svincolati da qualsiasi interesse di tipo sociale o materiale: Shrek non ha bisogno di nessuno al suo fianco, per tutta la vita ha preferito la solitudine, mentre Fiona è stata da sempre cresciuta con la cronaca del principe azzurro. Inoltre, è da notare come il primo contatto intimo, ovvero la scena del bacio tra i due, non avviene se non alla fine del film, dopo che Shrek si è spogliato dall’armatura confessando i suoi sentimenti e dopo che Fiona ha confermato che questi erano ricambiati.
Il secondo capitolo della saga dimostra che la vita non finisce con il sipario sulla scena conclusiva del matrimonio, ma una domanda risuona nell’intera narrazione: per essere “per sempre felici e contenti” è necessario essere perfetti agli occhi della società? Per quanto sembri che Shrek sia irremovibilmente sicuro di sé, una volta entrato in contatto con la realtà pubblica, dimostra di essere vulnerabile. Nonostante ci si aspetti che siano solo le donne a misurarsi con i rigidi canoni estetici, Shrek si prodiga, con qualsiasi opportunità offertagli, per diventare il principe di cui Fiona scriveva sul suo diario. Siamo costantemente sommersi di narrazioni di principesse che tentano in tutti i modi di cambiare il proprio aspetto per piacere al principe più bello e affascinante del reame, spesso non solo cercando di cambiare il proprio corpo, ma anche il proprio modo di pensare. In tal caso, invece, Shrek ci dimostra come la paura di non essere abbastanza e le insicurezze sulla propria esteriorità non siano prerogative tutte al femminile, al contrario, possono riguardare indistintamente tutti gli esseri umani.
La solitudine in cui versava Shrek all’inizio della storia e la sua autoesclusione dalla vita pubblica ha fatto sì che egli si formasse al di fuori di quell’ordine simbolico che crea i corpi nella loro funzione di agenti sociali. In quanto oggetti e agenti dell’azione, secondo la sociologa Raewyn Connell, siamo testimoni del modello dell’azione corporea riflessa: è dentro i rapporti sociali che si costituiscono versioni particolari di maschilità. La politica dei generi, grazie all’isolamento, non ha toccato Shrek e il suo modo di essere.
Il personaggio antitetico di Shrek è il principe Azzurro: bello, carismatico, dalla chioma bionda e fluente. Interessante notare come sia anch’egli spogliato di quegli epiteti celebrativi, rappresentati da altri cartoni animati Disney. Tendenzialmente egocentrico e narcisista, Azzurro viene descritto ironicamente con tratti comportamentali negativi, incominciando dal suo rapporto di dipendenza affettiva con la madre. Azzurro è un “figlio cronico” che difficilmente prende l’iniziativa, ma tende ad affidare le scelte più importanti della sua vita all’adorata madre, la Fata Madrina. Non propriamente ciò che ci si aspetterebbe da un principe.
Dal momento in cui viene presentata nello specchio magico, la principessa Fiona sembra essere una comune fanciulla delle fiabe, con una storia ordinariamente banale: bellissima, esile, dai capelli lunghi e dalle maniere composte, aspetta che il suo principe la salvi dalla morsa della draghessa e dalla remota torre. Tuttavia, si dimostrerà tutt’altro che fragile e indifesa o delicata e composta. Al contrario, troverà in Shrek degli interessi e dei comportamenti comuni, quasi disturbanti per spettatori e spettatrici. Ancor prima di mostrarsi nelle sue fattezze da orchessa, Fiona assume già degli atteggiamenti inconsueti per il ruolo culturale che incarna. Quando inaspettatamente si trasforma in un mostro, tutte/i provano terrore, disgusto. Il concetto di mostruosità femminile è stato affrontato dall’autrice femminista americana Jude Ellison Sady Doyle, la quale mette in luce come la paura degli uomini nei confronti delle donne sia alla base della misoginia, alla base del patriarcato. Se la paura della violenza maschile permette agli uomini di porre limiti e restrizioni alle vite delle donne, allora Fiona doveva rispondere alla paura generando altra paura. Fiona aveva bisogno di diventare mostruosa per essere libera dalle catene dei ruoli di genere. A questo punto pare ovvio come la trasformazione della principessa in orchessa nell’esatto momento in cui, sull’altare, sta per avvenire il matrimonio con Lord Farquaard (che l’avrebbe condannata a una vita di reclusione e subalternità) non sia casuale. La maledizione che attanaglia Fiona fin dall’infanzia, in conclusione, le risulta essere l’origine della sua emancipazione.
Una obiezione al carattere rivoluzionario del film potrebbe essere che la principessa Fiona sia stata comunque salvata, dall’altissima torre, da un uomo. Tuttavia, Fiona, lungo il tragitto verso il castello del Lord, mostra di essere capace di difendersi e liberarsi dai pericoli, come accade quando viene molestata nella foresta da Robin Hood e la sua banda, con grandissimo sconcerto di Shrek e di tutti i presenti. Dunque, si potrebbe constatare che abbia scelto di essere salvata, non perché fosse incapace di farlo, ma perché ha ereditato il desiderio che un uomo lo facesse al suo posto. Si tratta di un evento canonico.
Nonostante l’amore resti al centro della storia, questo viene vissuto in modo nuovo, diverso, che anche dentro un genere evidentemente commerciale come il film d’animazione rende conto di uno spostamento dell’immaginario collettivo del nuovo millennio.
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Articolo di Alice Lippolis

Sono laureata in Lettere Moderne presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi dal titolo Nomi di mestiere: Sessismo Linguistico tra Sincronia e Diacronia. Attualmente sto frequentando il corso di laurea magistrale di Editoria e Scrittura presso la medesima università. Amo viaggiare, tanto quanto amo leggere sotto l’ombrellone in spiaggia (ma anche un po’ dove capita).
