L’occhio più azzurro di Toni Morrison è stato escluso dalle biblioteche scolastiche di stati come la Florida. Penso che, dal loro punto di vista, abbiano fatto bene: la capacità di Morrison di denunciare l’ingiustizia, la discriminazione, il rifiuto, che covano spesso silenziosamente nelle nostre società e nelle nostre case, è tale da impedire, a chi abbia letto le sue parole, di tornare a fingere di non sapere.
L’occhio più azzurro è il primo romanzo di Toni Morrison, scrittrice afroamericana insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1993, e nasce da un ricordo infantile: una bambina nera che confessa alla sua amica il desiderio di avere gli occhi azzurri. Molti anni dopo questo ricordo diventa dapprima un racconto e poi, tra il 1965 e il 1969, un libro che verrà pubblicato nel 1970.
Claudia, una bambina nera di nove anni, racconta la storia di Pecola, di poco più grande, ed esordisce così: «Nessuno ne parla, ma nell’autunno del 1941 non ci furono calendole. Pensavamo, a quel tempo, che non crescessero perché Pecola aspettava un bambino dal padre». Siamo a Lorain, Ohio, nell’autunno che precede l’entrata in guerra degli Stati Uniti, ma a Claudia più che le vicende belliche interessano i semi di calendola: se cresceranno e fioriranno tutto andrà bene anche per il bambino della loro piccola amica. Forse Claudia non ha torto nel costruire tra questi fatti una gerarchia di importanza così lontana da quella degli adulti, poiché la vita di Pecola, dolorosa e commovente, può dirci molto sugli esseri umani e sulla loro capacità di escludere, cancellare, uccidere.
Pecola Breedlove, vive in una famiglia disastrata e assume in sé ogni fragilità: è nera, è femmina, è molto giovane e poverissima ed è convinta di essere brutta, di una bruttezza che la condanna al disprezzo, all’insignificanza, tanto da desiderare di scomparire, di dissolversi e svanire. A scuola siede sola in un banco doppio, è oggetto dell’irrisione di compagni e compagne, sente il dispregio dei bianchi che incontra.
In una pagina fulminante Morrison tratteggia l’incontro di Pecola con Mr. Yacobowski, «un bottegaio bianco di cinquantadue anni, un immigrato con il gusto di birra e di patate in bocca». L’uomo sovrasta la bambina che vuole comprare delle caramelle e che sembra invisibile, inesistente: «Lei lo guarda dal basso in alto e dove dovrebbe esserci curiosità vede il vuoto. E altro ancora: l’assenza totale di un riconoscimento umano, uno sguardo lontano, di ghiaccio».
A Pecola non rimane che la vergogna. Perfino la madre della bambina, Pauline Breedlove, esasperata dalla povertà, dalla fatica, dalla miseria di una vita di violenza, allontana Pecola e trova la sua realizzazione nella immacolata cucina dei bianchi per cui lavora e nell’accudire la loro figlia, una bimba bionda, pulita e profumata, che le viene affidata.
Forse le cose andrebbero diversamente — pensa Pecola — se lei fosse bella, di quella bellezza che le è preclusa ma che tutti riconoscono: la bellezza dei bianchi. «Ogni notte, immancabilmente, pregava per avere gli occhi azzurri. Con fervore pregava da un anno. Sebbene un po’ scoraggiata, non era senza speranza. Perché accadesse qualcosa di tanto meraviglioso ci voleva molto, molto tempo». È così pervasivo, così assoluto il potere di chi è padrone da imporre un modello unico, che viene interiorizzato fino a comportare il rifiuto della propria identità, addirittura del proprio corpo. Lo sguardo che tutti, neri e bianchi, posano su Pecola le dice che non c’è salvezza, se non in quel cerchio fortunato che per genere e condizione economica, ma soprattutto per il suo colore, le è precluso.
Il colore della pelle, un dettaglio insignificante nel nostro codice genetico, un discrimine difficile da identificare, viste le infinite sfumature che può assumere l’epidermide umana — chi è veramente bianco e quando si comincia a essere neri? — diventa un comodo strumento di gerarchizzazione e di esclusione che anche la letteratura e il cinema hanno utilizzato per costruire un sistema di sapere, un orizzonte connotativo potentissimo che associa al nero valori e disvalori, gli assegna attributi stereotipati. L’esclusione funziona sempre nello stesso modo: semplificare la complessità del reale per renderlo facilmente maneggiabile da chi ha più potere.
Il processo di alterizzazione, la costruzione di un ‘altro’ diverso, nemico, che non voglio considerare come appartenente alla mia stessa specie, permette prima di tutto di definire un ‘noi’, una collettività che si costituisce in opposizione, in cui riconoscersi superando il proprio sé individuale grazie a un legame rassicurante. Ecco dunque che l’identificazione e l’esclusione sulla base della razza e del colore permette di fare dell’altra/o un estraneo a cui non riconoscere alcuna umanità, da categorizzare senza riguardo per la sua specificità, che può essere ignorato, escluso, maltrattato, schiavizzato senza alcun senso di colpa. Purtroppo la storia europea e americana ci ha fornito infiniti esempi di questo fenomeno e i tempi tristi che stiamo vivendo ne dimostrano la persistenza.
Il desiderio di essere riconosciute/i come appartenenti al gruppo dominante è talmente forte da contaminare anche le vittime: Pecola viene cacciata in malo modo dalla casa di una donna nera che spinge il figlio a giocare con bambini bianchi e ci tiene a insegnare che i neri non sono tutti uguali, «gli aveva spiegato la differenza tra la gente di colore e i negri. Erano facilmente identificabili: la gente di colore era pulita e silenziosa, i negri erano sporchi e rumorosi».
Tuttavia nel romanzo L’occhio più azzurro non tutti si piegano a questa logica. Colei che spesso funge da voce narrante, Claudia, forse per la sua giovane età — ha solo nove anni — non si è ancora adeguata ai gusti comuni, odia Shirley Temple, meta inarrivabile di bellezza secondo sua sorella Frida e Pecola, odia ancor di più le bambole dagli occhi azzurri, i capelli biondi e la pelle rosa che le vengono regalate per Natale. Desidera distruggerle, staccarne i pezzi, romperne le giunture, e lo fa, tra la riprovazione generale delle/degli adulti, per scoprire il mistero che le rende tanto attraenti agli occhi di tutte e tutti. Claudia è ancora capace di provare rabbia, piuttosto che vergogna, ed è aggressiva e violenta nei confronti delle bambine bianche e delle bambine nere che vogliono assomigliare alle bianche: «Eppure smembrare la bambole non era così terribile. La cosa davvero terrificante era che provavo gli stessi impulsi nei confronti delle bambine bianche. L’indifferenza con cui avrei potuto farle a brandelli era scossa solo dal desiderio di farlo davvero. Per scoprire quel che mi sfuggiva: il segreto della magia che incantava gli altri».
Nei romanzi di Morrison è spesso presente una violenza quotidiana, agita e subita, una sorta di condanna reciproca che si tramanda nelle famiglie e si ripercuote dagli uni sugli altri, donne e uomini, esposti alla brutalità dei propri genitori o del padrone, che si picchiano e maltrattano i/le figlie.
La scrittrice intende dare voce al mondo dei neri senza la mediazione di uno sguardo estraneo e giudicante, deve dunque scandagliare in profondità le vite dei suoi personaggi affinché i loro gesti acquistino senso. Cholly e Pauline Breedlove, i genitori di Pecola, sono egualmente vittime e carnefici: hanno visto svanire i loro sogni, appassire l’amore che pure li legava, si sono ridotti a una vita di miseria e di lotte quotidiane, quanto vi è in loro di umano e capace d’amore si mescola all’abiezione, al desiderio di rivalsa, alla vergogna di sé.
Cholly arriva a violentare la figlia, in una scena puntuale e terribile, ma Morrison va oltre la condanna e tenta di cogliere il groviglio di sentimenti che possono albergare in un uomo che è stato vittima di infiniti rifiuti: «E Cholly l’amò. Ne sono sicura. Lui, comunque, fu il solo che l’amò abbastanza da toccarla, avvilupparla, darle qualcosa di suo».
Pecola si rifugia in una allucinazione. Convinta di aver finalmente ottenuto occhi azzurri scivola lentamente nella solitudine e nella dimenticanza: un vero capro espiatorio su cui si addensano gli errori e i peccati di tutte e tutti affinché possano credere di non essere come lei e dunque possano pensare di essere innocenti e sani.
Non c’è riscatto in questa storia, anche Claudia imparerà ad amare Shirley Temple e a superare il suo senso di colpa per quanto è successo a Pecola, come gli altri la dimenticherà e si convincerà che le calendole non sono sbocciate solo a causa dell’aridità del terreno.
«Ecco tutto. Una bambina nera che desidera gli occhi azzurri di una bambina bianca, e tutto l’orrore nel profondo di questo desiderio non è niente rispetto al male della sua realizzazione».

Toni Morrison
L’occhio più azzurro
Sperling & Kupfer, Segrate, 2018
pp. 230
In copertina: Toni Morrison.
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Articolo di Tiziana Concina

Ho insegnato per molti anni italiano e storia negli istituti tecnici e italiano e latino nei licei, mi interesso di letteratura femminile italiana e straniera, in particolare mi sono occupata di Elsa Morante e Anna Maria Ortese. Attualmente rivesto la carica di vicesindaca e di assessora alla cultura in un comune in provincia di Rieti.
