Continuiamo a cercare di capire che cosa sta succedendo nel tumultuoso mondo dei rapporti internazionali con l’aiuto del numero di Limes di aprile. Ancora una volta compare John Florio, lo pseudonimo sotto cui si cela (forse) proprio il direttore della rivista di geopolitica. Lo troviamo nella terza parte, Ucraina anno zero, con la sua acuta analisi il cui titolo richiama Hegel: «Meglio una mela bacata che una mela ideale». Il nostro autore parte dalla narrazione di Erodoto dell’impresa di Serse della primavera del 480 a.C., quando con un esercito di oltre un milione di uomini il sovrano marciò verso Atene, deciso a vendicare la sconfitta subita 10 anni prima dal padre Dario a Maratona, facendo gettare sull’Ellesponto (l’attuale Stretto dei Dardanelli) un ponte di navi tenute insieme da corde di lino per attraversare il mare. John Florio sottolinea come fu la sua hybris a impedirgli di ascoltare i consigli dello zio paterno Artebano, il quale cercava di dissuaderlo ricordandogli che i veri nemici non erano solo i Greci, ma anche la terra e il mare. Il collegamento della vicenda alla situazione dell’Ucraina nel prolungamento a oltranza della guerra con la Russia, alimentato da Usa e Ue durante la presidenza Biden, è convincente e come sempre bene argomentato e andrebbe letto con attenzione da tutte e tutti quei decisori e quegli opinionisti/e che in questi anni «hanno gettato la diplomazia, insieme alla ragione, tra le fiamme della guerra totale dove il compromesso è considerato indice di collusione col nemico e la presunzione di invincibilità strumento per affermare la superiorità della propria visione». I e le leader europei/e «non si sono rivelati all’altezza della sfida posta dalla ricerca di un nuovo equilibrio continentale […] Prigionieri dei propri slogan, mutuati dall’alleato americano, essi hanno ridotto l’arte della politica a una monotona salmodia di vuote petizioni di principio… Fino a pensare che l’agone potesse risolversi […] mediante un conflitto risolutivo tra autocrazie e democrazie avente carattere di freschezza (frisch und frölich). Donde il dissolversi dell’Europa — nata per prevenire ogni guerra — in una cacofonia di roboanti dichiarazioni belliciste in difesa di quei concetti di nazionalismo e sovranità che fino a ieri il progetto europeista si era impegnato ostinatamente a superare […] (sicché) è proprio l’Europa a spingere per proseguire il conflitto», di fatto sabotando i negoziati di pace.

Due articoli e una doppia intervista a una scrittrice e a uno scrittore ucraini sono dedicati in questa terza parte al presidente ucraino, «passato in un batter d’occhio da icona mondiale della lotta per la democrazia a impiccio politico da ridimensionare o, almeno, rimuovere»: Pace giusta o vittoria mutilata? di Davide Maria De Luca e Apologia di Zelenskj di Fulvio Scaglione, che analizza la prestazione dello scontro con Trump e Vance in modo diverso da quello veicolato dai media mainstream e tutto sommato molto più credibile anche alla luce delle ultime vicende del negoziato Usa-Ucraina-Russia.


Due interessanti contributi sulla Svezia approfondiscono attraverso la storia i rapporti tra mondo svedese e Russia spiegando l’espressione «bruciare come uno svedese a Poltava», mentre La disputa Ucraina-Romania sul Basso Danubio paventa una possibile frizione tra Bucarest e Kiev a guerra finita. Il saggio di Nicola Cristadoro, La guerra dei traffici, va assolutamente letto, soprattutto da chi si interessa di criminalità organizzata e mafie, perché riflette sulla moltiplicazione degli affari delle mafie autoctone, legate tra loro e ai rispettivi Stati, dovuta al conflitto tra Russia e Ucraina e alla mole sterminata di sanzioni. Un altro terribile effetto della guerra in corso in Europa.

La seconda parte del volume, Noi nell’euroconfusione,è dedicata alla “cosiddetta Europa”, con articoli di diverso orientamento. Si va da Mister Trump l’Italia è strategica, la lettera al Presidente degli Stati Uniti di Scott Smithson, veterano dello U.S. Army e direttore del programma di Grand Strategy alla Denison University, un articolato programma che sottolinea il ruolo storico e quello futuro dell’Italia nella strategia americana, invocando un coinvolgimento italiano economico e militare a 360 gradi nell’Indo-Pacifico, nel Mediterraneo, nei rapporti con l’Africa e altrove, a due commenti di segno opposto sulla politica europea di riarmo. Il primo di Francesco Zampieri, Quale riarmo, inneggia all’assunzione di responsabilità militari da parte dell’Unione e spinge per un riarmo a oltranza sganciato in parte dalla Nato americana; il secondo di Romano Ferrari Zumbini, La trappola di Bruxelles o dell’emoziocrazia, approfondisce dal punto di vista giuridico le tante irregolarità commesse da Ursula Von der Leyen nel licenziare il piano da 800 miliardi di euro di spese militari, in aperta violazione dei Trattati e con uno stravolgimento del diritto piegato a un’emozionale ragion di Stato. L’autore dell’articolo si sofferma anche su due altre strane operazioni: la prima è quella del candidato, all’epoca non ancora Cancelliere, Merz di modificare la Costituzione tedesca con una maggioranza parlamentare diversa da quella uscita dalle ultime elezioni politiche e che sosterrà il Governo; la seconda riguarda il candidato filorusso Georgescu in Romania, a cui è stato impedito di partecipare alla competizione elettorale dopo l’annullamento delle elezioni che lo avevano visto vincitore. Così scrive Ferrari Zumbini, interpretando un disagio provato da molte/i di noi di fronte a questi episodi: «…Emerge un forte e fondato sospetto di elusione di democrazia…». Sulla rinata voglia di riprendere i rapporti con la Federazione Russa per rifornire l’Unione Europea di gas, Orfani di Gazprom, a firma di Massimo Nicolazzi, è un’analisi strettamente economica che, dati alla mano, propende per il gas liquefatto, non solo statunitense. Di Merz e delle linee che dovrebbe tenere la politica tedesca parla anche il saggio di Michael Ruhle, collaboratore trentennale della Nato, con un invito dettagliato al Cancelliere sulle azioni da intraprendere soprattutto in vista di una possibile invasione russa dell’Europa, paventata peraltro anche in altri articoli della rivista, diversamente da quanto abbiamo visto sostenere nella prima parte di questa recensione dallo studioso statunitense di geopolitica George Friedman.
Un bel quadro sull’evoluzione dei rapporti di antica data tra Macron e Trump è offerto dall’analisi di Olivier Kempft, L’eccezione francese e l’occasione Trump, scritta prima della visita di Meloni negli Usa. Vi si legge il ruolo di ponte del Presidente francese tra l’Unione Europea e l’America e un’occasione per far pesare la sua posizione internazionale, quando quella interna attraversa momenti difficili. A Polonia e Gran Bretagna sono dedicati gli ultimi approfondimenti della seconda parte. Entrambe, prima dell’elezione dell’imprevedibile tycoon, avevano un peso diverso nel contrasto alla Russia: adesso soprattutto Londra e il Primo Ministro Starmer dovranno adattarsi a Trump. Timothy Less ricorda che il 17 gennaio scorso il Premier laburista (quello stesso che poco dopo sarebbe andato a Varsavia a chiedere ai governi dell’Ue il raddoppio del sostegno all’Ucraina) si era recato a Kiev per firmare con gli ucraini un “partenariato strategico di 100 anni”, che prevedeva un’intensificazione della cooperazione securitaria e il riconoscimento dell’Ucraina come futuro membro della Nato. Anche dopo la svolta trumpiana il sostegno britannico a Zelenski è definito incrollabile. Tuttavia qualcosa dovrà cambiare, anche se l’imprevedibilità del negoziatore e delle parti in causa non consentono ancora di immaginare come andrà a finire.

Riprendiamo ancora un passaggio dell’analisi di John Florio, che ci ricorda quanto erano migliori nella gestione dei conflitti quei leader che Isaiah Berlin definiva “volpi”, di cui oggi non si vede traccia, molto più capaci degli attuali «di anticipare la direzione reale degli eventi perché più abili degli attuali nel cogliere le dinamiche mutevoli e contraddittorie degli eventi, più cauti nelle previsioni, più rapidi nel riconoscere gli errori, meno inclini a giustificarli e più pronti a rivedere tempestivamente le proprie convinzioni».
Amare le sue conclusioni: «Quando però diplomatici e politici si riducono a segretari della guerra giusta, tornare alla vecchia arte della diplomazia, tentando di ricomporre nell’alveo del negoziato lo stridente conflitto di interessi tra le parti in causa, appare un atto eversivo. La realtà si è nondimeno incaricata di illustrare agli ucraini — e ai tanti idealisti che l’hanno spinta sulla via dell’autodistruzione, rifiutando l’idea stessa del compromesso — che con un avversario come la Russia, che non si può annientare né sconfiggere (se non accarezzando la suicida ipotesi di una guerra nucleare) negoziare non è un’opzione: è l’unica via». Meglio quindi una mela bacata che una mela ideale.

La sindrome dell’ombrello fantasma, editoriale molto stimolante, descrive tra i tanti spunti come la Cina e il cosiddetto Sud Globale, ridenominato in modo pregnante da Putin Maggioranza mondiale, ci stiano osservando e quali preoccupazioni li caratterizzino in questa fase nei rapporti internazionali che assomiglia a una serie di Netflix.
Il significato della copertina di questo numero è spiegato dall’artista e cartografa Laura Canali dal minuto 2:42 al 4:06 a questo link.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
