Insolito mestiere davvero, quello di Clara Driscoll, esperta nel taglio e nella lavorazione del vetro, nonché abilissima disegnatrice di lampade passate alla storia dell’arredamento.
Era nata il 15 dicembre 1861 a Tallmadge, in Ohio, con il nome Clara Pierce Wolcott; nonostante sia rimasta orfana di padre precocemente, ebbe l’opportunità ― rara per l’epoca ― di poter studiare, insieme alle tre sorelle minori, tutte brillanti e dotate. Frequentò la scuola di disegno femminile (oggi Cleveland Institute of Art), vista la sua disposizione per le materie artistiche, mentre lavorava presso un mobilificio locale. Si trasferì quindi a New York per studiare alla Metropolitan Museum Art School, istituzione nata da poco. In breve venne assunta, per le sue doti innegabili, dal celebre artista e designer Louis Comfort Tiffany, colui che nel 1888 aveva dato vita alla Tiffany Glass Company. Clara vi lavorò più di un ventennio, anche se con alcune pause, disegnando lampade dalla forma inconfondibile e oggetti d’arredo e dirigendo il settore femminile dedicato al delicato compito del taglio del vetro.

Quando sposò Francis Driscoll, nel 1889, fu costretta, secondo le stringenti regole di quel periodo storico, a licenziarsi; tuttavia le nozze furono di breve durata a causa della inaspettata morte del marito avvenuta nel 1892. Clara riprese il suo posto; rischiò in seguito un nuovo licenziamento perché aveva trovato un fidanzato, il quale tuttavia, non si sa come, un bel giorno scomparve. Intanto si esprimeva tutta la sua creatività, alla guida delle cosiddette “ragazze di Tiffany” fra cui si distinsero Lillian Palmié e Alice Carmen Gouvy, con cui nacque una bella amicizia e la condivisione di piacevoli soggiorni estivi.

Le ragazze erano circa 35, abili e precise, dotate di enorme pazienza e di quel buon gusto tipicamente femminile che le fece preferire ai lavoratori maschi dell’azienda, addirittura ci fu uno sciopero degli uomini per questa disparità di genere e perché vedevano in pericolo il proprio ruolo per l’emergere delle colleghe tanto apprezzate. Il fatto che le opere non fossero “firmate” non deve però stupire perché il proprietario voleva far risaltare il marchio di fabbrica, non tanto il singolo ideatore, o meglio ideatrice. Un caso eccezionale è rappresentato, nel 1904, dalla attribuzione a Clara, sulle pagine di una rivista, della delicata lampada con le libellule che aveva avuto un premio all’esposizione mondiale del 1900.

Nel 1909 Clara si sposò nuovamente e lasciò il lavoro. Morì il 6 novembre 1944.
Quello che va raccontato è piuttosto il graduale riemergere, nel XXI secolo, del suo specifico ruolo nell’ideazione e successiva realizzazione di quelle lampade tanto celebri che basta farne il nome per vederle nella nostra mente: le Tiffany, appunto, capolavori dell’Art Nouveau. Ma non sono tutte uguali, ovviamente. A Clara se ne attribuiscono di bellissime:

la Daffodil, prima in ordine di tempo, la Wisteria, la Dragonfly, la Peony. A lungo però il suo contributo, e quello delle altre ragazze, è rimasto sotto traccia, e non è un fatto nuovo perché ancora una volta un uomo, il signor Tiffany in questo caso, si era appropriato più o meno tacitamente del talento altrui. Ci sono voluti studi, ricerche appassionate, ritrovamenti casuali per mettere finalmente le cose in chiaro. Si comincia con un volume edito nel 2002: Tiffany Desk Treasures (I tesori da tavolo di Tiffany) di George Kemeny e Donald Miller in cui a Driscoll viene chiaramente attribuito il disegno della lampada Dragonfly e si fa menzione del suo compenso, uno dei più alti per una donna all’epoca.
Quattro anni dopo due studiose e un docente universitario diedero conto delle loro ricerche e pubblicarono a Londra un saggio critico, curato dalla New York Historical Society, dal titolo emblematico A New Light of Tiffany: Clara Driscoll and the Tiffany Girls. Nina Gray si era infatti imbattuta in un ricco carteggio fra Clara e le sorelle da cui emergeva chiaramente che, durante la pausa pranzo, alla geniale disegnatrice era venuta l’idea della Daffodil. Intanto indagava anche il prof. Eidelberg che, al termine di una conferenza, era stato avvicinato da un discendente di Clara e aveva cominciato ad approfondire l’argomento; ai due si è poi unita Margaret Hofer e insieme hanno fatto il punto della situazione, confrontando i propri risultati. Dopo la pubblicazione delle loro ricerche congiunte, fu organizzata una mostra che rendeva giustizia al lavoro di Clara e delle sue colleghe e che fu ampiamente trattata sulla stampa americana, spiegando le varie fasi della delicata lavorazione e il ruolo di questo gruppo di lavoratrici tutto al femminile.

Nell’occasione, insieme alle lampade e altre suppellettili, calamai, vasi, specchi, piccole scatole, ciotole vuota tasche, candelieri, completi da scrivania, servizi da tè, oggetti ornamentali, persino gioielli, furono esposte le lettere da cui emergevano tanti dettagli: la ragazza girava per New York in bicicletta e portava le gonne più corte per comodità, adorava l’opera, seguiva la politica, si immergeva con passione nella vita cittadina, sia nei quartieri alti sia nei rioni abitati da immigrati poveri e donne prive di istruzione e non emancipate. Fu attiva anche nelle prime manifestazioni delle suffragiste e convinta nel sostenere i diritti femminili. Una visitatrice in particolare rimase colpita dal suo caso e dalla sua vivace personalità: si trattava della scrittrice Susan Vreeland (1946-2017) che pubblicò nel 2010 il romanzo Una ragazza da Tiffany (Clara and Mr.Tiffany), un enorme successo tradotto in 26 lingue.

Finalmente si faceva luce sull’opera di questa creatrice che aveva anche contribuito con le sue idee all’innovazione tecnica, come l’utilizzo della ceramica e del rame per legare fra loro i pezzi di vetro, dopo averli avvolti in una sottile lamina che poi veniva saldata; aveva dato vita ad almeno una trentina di modelli di lampade da tavolo, introducendo quei decori floreali, quelle farfalle o altri insetti dalle ali impalpabili, accanto ad audaci motivi geometrici, e gli intrecci di colori che faranno epoca e saranno simboli dell’Art Déco.
Pensiamo ad esempio a Dragonfly con le ali di libellula ben delineate, a Fruit decorata da fiori e frutta primaverile ed estiva, oppure a Poppy, a Peony, a Glicine, ancora oggi apprezzate e piacevolmente attuali.

Meravigliosa Wisteria, con il gioco delle sfumature di azzurro e giallo, tanto da formare una gioiosa cascata di luce, di cui furono fatti 123 esemplari, tutti rigorosamente a mano, utilizzando circa 2000 (avete letto bene) pezzetti di vetro per ciascuno; nel 1906 costava 400 dollari. Questo non era artigianato, pur di classe, questa si chiama arte.
Cerchiamo ora di fornire qualche dettaglio in più sulla tecnica adottata, che Tiffany rivolse inizialmente a grandi vetrate per chiese, palazzi, musei e arredi interni. Innanzitutto occorre il vetro che appartiene a svariati tipi secondo le sfumature che si vogliono realizzare, le combinazioni di colore, gli effetti di luce e di trasparenza; si possono usare il vetro opalescente, assai diffuso nelle lampade, il favrile (brevettato da Tiffany) che risulta iridescente, il marezzato, il fratturato, il chiazzato, il plissettato, lo striato. I singoli pezzi, più o meno grandi, si legano fra di loro solitamente con lo stagno, di colore argenteo, metallo facilmente malleabile, che non si ossida e resiste bene alla corrosione, formando così il vero e proprio mosaico. Le basi originali sono quasi sempre in bronzo, soprattutto quando si tratta di lampade da tavolo.

Varie aziende oggi si vantano di seguire l’impostazione data dal fondatore e dalle sue esperte maestranze; tuttavia il montaggio, che richiede molte ore di lavoro manuale, per abbassare i costi è stato spesso trasferito in Paesi emergenti, la Cina in particolare, dove il personale si assicura sia stato formato appositamente. Una differenza rispetto al passato è dovuta alla totale eliminazione del piombo nelle saldature, come pure del mercurio, ora si utilizzano solo fili di rame e stagno e, per le basi più solide e robuste, si preferisce un materiale metallico tinto colore del bronzo e perfettamente equivalente, almeno così viene pubblicizzato. Naturalmente sul mercato si trovano ancora pezzi originali, ma il loro costo può arrivare fino a 100 mila euro all’asta, su internet abbiamo trovato prezzi che superano i mille euro, mentre le lampade moderne si possono acquistare a cifre decisamente abbordabili: dai 30 ai 400 euro, anche se la qualità resta tutta da verificare. Chi vuole, comunque, può godersi in casa propria un po’ della bellezza che Clara contribuì a creare.
Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
