A Varese, dall’11 aprile al 12 ottobre 2025, il Fai (Fondo Ambiente Italiano), presso Villa Panza, presenta Un altro sguardo. Opere dalla Collezione Gemma Testa, una mostra curata da Gabriella Belli, Gemma De Angelis e Marta Spanevello.
A pochi chilometri da Varese, costruita come casa di campagna alla fine del Cinquecento e parzialmente rinnovata alla metà del Settecento, nel 1935 fu acquistata da Ernesto Panza, che commissionò ulteriori interventi. Fu poi Giuseppe Panza (1923-2010) a trasformarla radicalmente: collezionista visionario, raccolse dal 1955 alla morte oltre 2.500 opere di arte europea e americana contemporanea, ispirate ai temi della luce e del colore. Con grande rigore estetico, Panza riuscì a integrare le opere negli spazi della villa, trasformandola in un luogo sospeso tra una casa e un museo, e nel 1996, assieme alla raccolta di opere d’arte contenute al suo interno, la donò al Fai. Aperta al pubblico nel 2000, nel 2022 la collezione della villa si è arricchita grazie a una donazione di opere da parte di Rosa Giovanna Panza. È possibile visitare il museo tutti i giorni dal martedì alla domenica, nella fascia oraria compresa dalle 10:00 alle 18:00.

La mostra in corso inaugura un ciclo di eventi legati all’arte, dedicati al collezionismo inteso come espressione di pensiero, strumento di indagine e chiave di lettura del presente. Essa, inoltre, nasce con l’obiettivo di instaurare un dialogo e un confronto con la collezione stabile della villa. L’intenzione del Fai è quella di portare, ciclicamente, importanti raccolte d’arte privata «capaci di svelare “altri sguardi” sull’arte contemporanea e sul collezionismo». La prima ad allestire la sua collezione di quadri a villa è Gemma De Angelis Testa, la quale percepisce l’arte come una fonte di ispirazione perenne. «Vivere nell’arte significa vivere continuamente di ispirazioni. I miei primi riferimenti risalgono all’adolescenza, quando mi immergevo nei cataloghi d’arte che avevo in casa, perdendomi estasiata tra le immagini delle opere di Van Gogh, Modigliani e Morandi» dice la collezionista. Gemma De Angelis, moglie di Armando Testa, è inoltre la fondatrice dell’Associazione Acacia. A Venezia ha conosciuto oltre cinquant’anni fa quello che sarebbe diventato poi suo marito, Armando Testa, il principe dei pubblicitari italiani e artista egli stesso, partecipando come modella al Festival della Pubblicità alla Biennale del 1970. E qui nasce in lei l’amore per l’arte contemporanea, spingendola, soprattutto negli anni Novanta, a diventare una delle più importanti collezioniste italiane. È tutto raccontato nel libro autobiografico Con l’arte in… Testa (edito da Allemandi).

Tra i suoi progetti più ambiziosi, ha l’obiettivo di valorizzare, insieme ad altri collezionisti, l’arte contemporanea e promuovere la costituzione di un museo pubblico per Milano. Solo in questo modo, sostiene, è possibile condividere con la comunità non solo le proprie risorse, bensì, anche, una coscienza pubblica che valorizzi il nostro intero patrimonio artistico.


Il percorso espositivo della mostra è articolato in undici sezioni e fonde il vissuto di Gemma Testa con le sue scelte collezionistiche, partendo dalle sue prime acquisizioni fino ad arrivare all’arte minimalista e concettuale. Al suo interno sono contenuti quaranta lavori: molti provengono dalla sua collezione privata, alcuni dei quali mai esposti prima; altri sono stati selezionati tra quelli donati a Ca’ Pesaro e altri ancora scelti tra i regali dell’associazione Acacia al Museo del Novecento di Milano. Le questioni che vengono sviscerate sono: l’espressione della pittura, l’elaborazione analitica del pensiero, la condizione della donna, la memoria, la censura e la politica. Nello specifico, al primo piano abbiamo le opere di Cy Twombly, Robert Rauschenber e Mario Merz. Si procede, poi, con i quadri di Francesco Lo Savio, Gianni Piacentino e Joseph Kosuth, i quali riflettono i gusti e le tendenze artistiche della collezionista di uno specifico periodo. La sezione seguente, invece, rappresenta una svolta per Gemma Testa; qui trovano spazio le realizzazioni di Elizabeth Neel, Andreas Breuning, Anselm Reyle, Cecily Brown, Gregor Schneider e Oscar Murillo.
La rassegna continua con Francesco Vezzoli e Vanessa Beecroft che si concentrano sulla narrativa della “donna-icona”, analizzando i corpi e l’immagine in relazione ai codici culturali e agli stereotipi.


Successivamente, sono esposte le creazioni di Shirin Neshat, Pipilotti Rist, Bill Viola, Marina Abramovic, Monica Bonvicini e Andreas Serrano, che esaminano il concetto di identità di genere, sottolineando i meccanismi di subordinazione insiti nella religione, nella storia e nella tradizione. A seguire, Pascale Marthine Tayou, che, mediante i suoi prodotti artistici, racconta delle sue origini africane. Successivamente, per completare le precedenti riflessioni abbiamo un omaggio a suo marito Armando: la scultura Senza titolo (Segno) risalente al 1990. In tale statua si può notare la fusione tra il corpo e la struttura di Cristo, «in una simbiosi tra significato e significante». Oltre a quest’ultima, sono presenti anche due suoi iconici manifesti che sono espressione, non solo di un messaggio pubblicitario, ma anche sintesi dell’esistenza dello stesso artista/collezionista. Scendendo al piano terra, nella cosiddetta Ala dei Rustici, troviamo una serie di video installazioni che ritraggono manufatti di Sabrina Mezza qui raffiguranti la bellezza di una natura materna; tre disegni di Adrian Paci, la cui vicenda artistica si fonde con la storia e gli eventi politici della sua terra natia. Nella Scuderia Grande, invece, gli argomenti principali sono: le persecuzioni politiche, culturali e/o religiose (e conseguenti diaspore), rappresentate attraverso le opere di Yan Pei-Ming, Ai Weiwei e William Kentridge. A conclusione dell’itinerario sono collocate le realizzazioni di Grazia Toderi e Thomas Ruffi, le quali trattano le seguenti tematiche: infinito e sublime.
Nel parco della villa è, infine, installata la composizione artistica di Peter Fischli e David Weiss. Dentro alla villa-galleria, ovviamente, è possibile visitare anche le opere collezionate da Giuseppe Panza. L’obiettivo di Un altro sguardo. Opere dalla Collezione Gemma Testa, infatti, come già detto prima, è l’accensione di un dialogo e un confronto tra le due collezioni: quella di Giuseppe e quella di Gemma. Sebbene entrambi usino l’arte come mezzo per esprimere un pensiero e un’identità, dunque uno strumento di indagine e una chiave di lettura del presente, il primo se ne serve per «cercare, trovare, vedere l’”invisibile” dentro il visibile», la seconda, al contrario, la vede come «una porta aperta sul mondo, una testimonianza del nostro tempo». Più precisamente, la differenza tra le due collezioni tocca due diversi ambiti, quali: approccio collezionistico e focalizzazione tematica. Se Giuseppe Panza, attraverso la sua arte, vuole esplorare la propria interiorità e il rapporto con lo spazio, Gemma De Angelis, si concentra sull’arte come specchio del presente e delle sue dinamiche, indagando sui cambiamenti avvenuti nella società contemporanea. Ne conviene che — oltre alle diversità nelle tematiche affrontate (percezione, luce e spazio nei quadri di Giuseppe e attualità e condizione umana in quelli di Gemma) — la collezione ospitata include opere di artisti contemporanei rispetto alla collezione già presente.
L’intera esposizione è, inoltre, accompagnata da un catalogo bilingue contenenti i saggi della responsabile di questo progetto, Gabriella Belli, della curatrice, Marta Spanevello, della stessa Gemma De Angelis Testa, di Elisabetta Barisoni, responsabile della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro.
Concludo riportando una citazione di Gabriella Belli: «L’obiettivo della rassegna è quello di aprire gli spazi espositivi temporanei del museo a una comparazione tra i diversi modi di concepire e creare una collezione d’arte, a confronto con la magnifica raccolta di Giuseppe Panza di Biumo, protagonista assoluta dei percorsi permanenti della Villa. Il progetto, che promette interessanti riflessioni critiche, mostrerà, qui, in questo indiscusso tempio dell’arte contemporanea, l’apertura ad altri e nuovi sguardi, ovvero ad altri modi di collezionare e, in un certo senso, oserà per la prima volta proporre un’inedita conversazione con la dimensione fortemente spirituale della visione collezionistica di Giuseppe Panza, al cui cospetto esperienze diverse, ma parimenti mosse da una ricerca valoriale altrettanto coerente e autenticamente sincera, dovrebbero sostenerne proficuamente e senza timidezza il confronto». Si tratta, quindi, di una mostra estremamente suggestiva in cui due raccolte, diverse ma complementari, si intersecano dando la possibilità di comprendere quanto l’arte sia uno strumento duttile e poliedrico che aiuta a comprendere la visione di due diverse collezioni.
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Articolo di Ludovica Pinna

Classe 1994. Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, editoria, giornalismo presso L’Università Roma Tre. Nutre e coltiva un forte interesse verso varie tematiche sociali, soprattutto quelle relative agli studi di genere. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura e l’arte in ogni sua forma. Ama anche viaggiare, in quanto fonte di crescita e apertura mentale.
