Geopolitica dello Stretto di Bering. Parte prima 

È il 7 agosto 1987. Una donna di 30 anni, la nuotatrice statunitense Lynne Cox, si cimenta in un’impresa ardua e dal grande significato simbolico: la traversata, in un braccio di mare di 3 km in cui la temperatura è di 5 gradi, all’interno dello Stretto di Bering, dall’isola Piccola Diomede, di proprietà degli Usa, all’isola Grande Diomede, sotto la sovranità sovietica. Sono gli anni della perestrojka e a capo dell’Urss c’è Gorbacëv. I rapporti tra Usa e Urss sono diversi da quelli attuali e la traversata delle Diomede sarà così commentata dal Segretario del Pcus, che inviterà l’atleta al Cremlino: «L’estate scorsa a una coraggiosa americana di nome Lynne Cox ci sono volute solo due ore per nuotare da uno dei nostri paesi all’altro. Abbiamo visto in televisione quanto sia stato sincero e amichevole l’incontro tra il nostro popolo e gli americani quando è entrata sulla sponda sovietica. Ha dimostrato con il suo coraggio quanto vicini gli uni agli altri vivono i nostri popoli». 

Carta dello Stretto di Bering

Non siamo in un romanzo di fantapolitica, è tutto vero, anche se il Presidente Reagan non mostrerà, in occasione del Trattato sulle forze nucleari a medio raggio firmato con Gorbacëv l’8 dicembre dello stesso anno, eguale entusiasmo e interesse nei confronti dell’impresa di questa grande sportiva, la cui nuotata in un mare profondo e poco ospitale è stata ispirata dalla volontà di favorire la distensione tra Usa e Urss. 

Lynne Cox 

Lo stretto di Bering è un choke point strategico che separa l’Alaska, uno dei 50 Stati Uniti d’America, dalla Siberia, territorio posto sotto la sovranità russa; largo circa 83 chilometri, con una profondità compresa tra 30 e 50 metri, collega il Mar Glaciale Artico con l’Oceano Pacifico. Nel corso della storia è stato protagonista di vicende geopolitiche diverse, tra cui quella appena raccontata, tutte significative e anche recentemente ha attirato gli interessi delle grandi potenze. Lo Stretto deve il nome al suo scopritore, l’esploratore e cartografo danese Vitus Bering, al servizio della marina russa dello zar Pietro il Grande, che lo attraversò per la prima volta nel 1728. Nato a Horsen nello Yutland il 12 agosto 1681, fu a capo di due importanti spedizioni russe: la prima e la seconda spedizione in Kamčatka. Oltre allo Stretto, gli sono stati intitolati anche l’isola in cui è sepolto, un ghiacciaio e la Beringia, antica striscia di terra che collegava l’Alaska e la Siberia. Tuttavia pare che i primi europei ad attraversare lo Stretto siano stati i russi Semën Dežnëv e Fedot Popov, nel 1648, mentre i primi europei a raggiungere l’Alaska furono i russi Michail Gvozdev e Ivan Fedorov, nel 1732. A Vitus Bering Pietro il Grande aveva assegnato l’incarico di scoprire se l’America e l’Asia fossero collegate. Nonostante la scoperta ufficiale di Bering — ricorda il biologo marino Marcello Guadagnino — «popoli indigeni come gli Inuit, gli Yupik e gli Aleuti erano già presenti e abitavano la regione dello Stretto di Bering da millenni. Queste popolazioni avevano una profonda conoscenza delle acque e dei territori circostanti e avevano sviluppato una cultura unica adattata all’ambiente locale». A Bering si deve la scoperta delle isole che si trovano al centro dello Stretto, che presero il nome di Diomede dalla data in cui furono individuate, il 16 agosto, giorno nel quale la Chiesa ortodossa russa celebra il giorno di San Diomede.  

Vitus Bering insieme Cirikov, a sinistra, nel 1741, olio di Igor Psenicnyj, 1989, Museo navale militare centrale, San Pietroburgo
Questa illustrazione del XIX secolo mostra il naufragio della spedizione di Bering nelle acque delle Isole aleutine

Già nel 1941 l’Urss fondò una base militare sull’isola Grande Diomede, che però è disabitata dal 1948, quando le autorità sovietiche invitarono gli indigeni che vi abitavano a spostarsi in altri parti del territorio dello Stato. La possibilità di spostarsi tra le due isole fu resa molto difficile e tra Grande Diomede e Piccola Diomede fu “innalzata” la “cortina di ghiaccio”, per analogia con la “cortina di ferro” che divideva l’Europa. Il clima delle isole Diomede è polare. Oggi solo Piccola Diomede è abitata da un insediamento permanente di Inupiat, un’etnia di ceppo Inuit presente in Alaska. L’insediamento ha un negozio, una scuola, un ufficio postale, un eliporto e un sistema di elettricità, ma per tutte le altre esigenze gli abitanti dipendono dall’Alaska. 

Un’altra vicenda geopolitica importante fu la vendita dell’Alaska agli Usa, in cui si stabilì di far passare il confine tra i due Paesi a metà strada tra le due isole. 
Su questo Deal da parte dei russi agli americani si è parlato anche nella parte finale dell’articolo della nostra rivista. La scoperta di Bering aveva aperto nuove rotte commerciali e sviluppato l’interesse per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse naturali della regione. Nel 1799 lo zar Paolo I fondò la Compagnia Russo-Americana a cui concesse il privilegio del completo controllo politico ed economico sull’area. La società conservò per 68 anni il monopolio delle pellicce di orso, bisonte e caribù e fortissimi interessi nella ricerca dell’oro, stabilendo un avamposto commerciale a nord di San Francisco. Nell’area dell’Alaska erano presenti anche gli inglesi, interessati alla caccia e agli affari. All’inizio i traffici e la comunicazione con Mosca erano floridi, ma le guerre di metà secolo e le tensioni nell’area complicarono le cose. Nel 1867 lo zar Alessandro II decise di vendere l’Alaska agli americani al prezzo di 7,2 milioni di dollari. 
Gli Stati Uniti all’epoca erano uno Stato giovane, ancora suddito degli inglesi, e non rappresentavano un pericolo per la Russia, diversamente dalle potenze che l’impero si trovava a fronteggiare sul versante europeo del suo territorio, alla cui difesa teneva moltissimo, allora come oggi. Circa dieci anni prima della vendita dell’Alaska, Mosca aveva perso la guerra di Crimea. Bisognava tagliare i costi superflui e dislocare altrove i soldati. In quegli stessi anni Alessandro II aveva abolito la servitù della gleba e si diffuse la convinzione che i nativi dell’Alaska fossero maltrattati attraverso lavori forzati. Era meglio cedere l’Alaska agli Stati Uniti a condizioni reciprocamente accettabili piuttosto che cercare di difenderla dall’occupazione da parte della Gran Bretagna o dall’invasione di commercianti e balenieri americani che arrivavano a frotte. La vendita dell’Alaska fu un vero e proprio Deal, alla maniera di Trump. La scelta di Anchorage in Alaska, importante porto commerciale e marittimo ricco di risorse naturali come il petrolio, il metano e la pesca, per l’incontro tra Trump e Putin ha probabilmente voluto richiamare i tempi in cui i rapporti tra i due Stati erano distesi, e caratterizzati da accordi commerciali, legittimazione e riconoscimento reciproci, un po’ come pare sia avvenuto il 15 agosto scorso. In quella data Putin e Trump hanno discusso di questioni che solo marginalmente hanno riguardato la guerra in Ucraina; più probabilmente hanno preso in considerazione gli affari e gli interessi delle due potenze. Nel periodo della guerra fredda, proprio Anchorage diventò un punto di sorveglianza strategico lungo le rispettive coste dello stretto per monitorare le attività dell’altro e difendere i propri territori. Lo Stretto di Bering fu in parte fortificato dall’Unione Sovietica, con basi militari e infrastrutture soprattutto nella penisola della Chukotka. 

Lo stretto di Bering. Carta di Laura Canali

Il 10 luglio scorso lo Stretto di Bering è tornato a far parlare di sé quando il suo territorio, e quello dell’Alaska, è stato sorvolato da forze aeree canadesi e americane, con lo scopo di testare il coordinamento tra forze alleate e la capacità di rispondere a un eventuale attacco russo nello spazio statunitense. L’esercitazione è servita anche a promuovere il progetto americano, da 25 miliardi di dollari, del Golden Dome, un sistema antimissile di difesa di ultima generazione. Nello stesso giorno forze aeree russe e cinesi avevano sorvolato lo spazio aereo internazionale attirando così l’attenzione del comando nordamericano. Proprio la settimana scorsa, secondo quanto riporta il serissimo sito Analisi Difesa, «quattro F-16 russi hanno raggiunto altrettanti velivoli nell’area di identificazione aerea in Alaska, dove Russia e Usa monitorano da sempre i movimenti aerei militari, ma all’esterno dei rispettivi spazi aerei. Nessuna violazione russa dello spazio aereo Usa». 

(continua) 

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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la “e” minuscola e una Camminatrice con la “C” maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Procuratrice legale per caso, docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.

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