Antichi lavori femminili. Parte seconda

Come era la vita delle donne prima dell’invenzione delle lavatrici? Sicuramente molto più dura. E non parliamo del fatto di dover realizzare gli indumenti da indossare… cominciando con il filare la lana. Anche Mariannina, la mia nonna nata nel 1868, insieme alle domestiche e alle altre donne di casa, doveva occuparsi di questi impegnativi lavori.

Il bucato
Il problema del bucato ha due aspetti, direi stagionali.
Nelle belle giornate d’estate si va al fiume per lavare i panni, al mattino presto Mariannina è pronta, ma come erano mattiniere queste nostre antenate! Arriva Pasqualino, con lo sciaraballo e carica il grande cesto pieno di panni, e un pezzo di sapone, e il piccolo cesto con la colazione: pane, formaggio, uova sode e anche un pezzo di sopressata.
Si parte, le lavandaie si faranno trovare sul posto, alla sorgente del fiume dove l’acqua forma un piccolo laghetto. Scaricato il biroccio, le donne si mettono subito al lavoro, sbattono i panni sulle pietre, dopo averli insaponati, con energia o con delicatezza a seconda dei tessuti.
Mariannina è felice perché mentre segue il lavoro delle donne può dedicarsi a quelle che sono le sue passioni: raccogliere le more per fare un’ottima confettura, e le erbe profumate: la malva, l’origano, il tarassaco, la nepitella, la rosa canina; queste poi, seccate al sole e conservate nei sacchetti di tela, serviranno per insaporire i cibi o preparare decotti per alleviare e curare le affezioni della gola e altro.
È già l’ora della colazione, le donne, sollecite, interrompono il lavoro e sedute sull’erba mangiano e chiacchierano, aggiornano Mariannina sui pettegolezzi del paese, lei le lascia dire per un po’, ma ora si torna al lavoro, ora i panni sono puliti e stesi al sole ad asciugare.
Al tramonto torna Pasqualino con il biroccio e si riprende la strada di casa. Una bella giornata, trascorsa all’aria, che riempie di gioia e fa sentire, di nuovo, giovane e leggera.
È l’altro aspetto quello che pesa: il bucato fatto d’inverno! Bisogna preparare una tinozza con l’acqua calda, sciogliere il sapone così da fare una lisciviella; dopo aver messo i panni nell’acqua, versare il sapone, ricoprire con uno o più stracci vecchi, e spargere cenere in grossa quantità — è conosciuto da sempre il potere sbiancante della cenere — versare altra acqua calda e aspettare fino al mattino seguente, giorno in cui si dovrà preparare un’altra tinozza di acqua tiepida, scoprire i panni e lavarli strofinandoli sullo straculaturo e immergerli nell’altra tinozza. Sciacquati e strizzati si potrà stenderli sulla grande loggia, se non piove, o nel locale a magazzino, se il tempo è brutto.
Mariannina lava con le sue mani i panni delicati, quelli che hanno richiesto il lavoro del cucito e del ricamo più sapiente!

Lavandaie al fiume, dipinto seconda metà XIX secolo, Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Puglia

Il sapone
Non si butta niente nella casa di Mariannina, pur essendo benestante, non è concesso lo spreco. In un angolo del grande locale, adibito in parte a magazzino e in parte a cucina per i lavori straordinari, c’è una caldaia di rame, vecchia e annerita dal fuoco del grande camino. In questa caldaia si mette tutto ciò che di grasso viene scartato negli usi di cucina: olio delle fritture, lardo di maiale rancido e altri avanzi; si potrebbe parlare di una vera raccolta differenziata: le bucce di patate nel pastone del maiale, gli scarti della verdura ai conigli, il pane duro, bagnato e sbriciolato, alle galline, la carta per accendere il fuoco! Tutto si accumula per mesi e poi viene il momento di preparare il sapone. Si mette la caldaia sul fuoco, anzi su un treppiede sul fuoco, si aggiunge acqua e una quantità di pietra forte, ovvero la soda caustica, per intenderci quella che si usa per curare le olive bianche: il dosaggio deve essere giusto, per ora lo conosce solo nonna Lucia.

C.W Jefferys, Vita di frontiera, produzione di sapone. Stampa artistica XIX secolo

Si fa bollire per ore, l’odore è molto sgradevole, bisogna girare il composto, con una lunga pala per non farsi sfiorare o colpire dagli schizzi. È un lavoro difficile e impegnativo, Mariannina suda e si affatica ma lo deve fare lei, non può delegarlo ad altri. Quando finalmente il composto è diventato sapone, lo si capovolge negli appositi stampi — recipienti, in ferro, di forma rettangolare — e lo si mette in un luogo fresco per farlo indurire e si taglia a pezzi da usare per il bucato; là al fiume l’odore diventa gradevole a contatto con l’aria pulita e profumata del bosco!
Giovanni e Michele, al ritorno dalle vacanze, portano qualche saponetta profumata alle donne, che saranno loro molto grate e ne faranno un uso moderato… solo nelle feste!

Adriano Cencioni, Le ricamatrici (1865-1866)

Il ricamo
Quando Mariannina compie undici anni, secondo tradizione, è una donna. Basta andare a scuola: sa leggere, scrivere, fare di conto e ciò è sufficiente per la sua preparazione. A una donna poi molto studio fa male e, mentre i fratelli Giovanni e Michele sono in città per studiare da medico e avvocato, lei resta a casa per imparare le cose utili a una donna.
Mariannina ha già imparato i primi rudimenti del ricamo con nonna Lucia, il punto a croce sul tessuto a trame grosse, ma ora si passa a cose più difficili. In occasione del compleanno è arrivata zia Agnesina, la più giovane delle sorelle del padre, e le ha portato una bella scatola rivestita in tessuto rosso, con le iniziali M D ricamate in oro. È un bellissimo regalo! Emozionata, Mariannina l’ha aperta. Dentro c’erano le matassine colorate, un piccolo telaio, alcuni tessuti pregiati, aghi, forbicine. Da domani si incomincia la scuola di ricamo, il papà le fa una carezza e le chiede: «Sei contenta? Sarai brava come le zie e la mamma».
Si incomincia con i punti più piccoli, e poi si passerà a quelli più difficili, poi andrà dalle suore che preparano anche i disegni e sono molto severe, qualche scappellotto ci scappa. E mentre Francesco, promesso sposo più grande, aspetta, Mariolina fa il suo apprendistato e prepara il corredo, diventerà brava come la zia e l’ago scorrerà sulla seta.

La filatura della lana
Ma non finisce qui la sua preparazione, i lavori domestici sono tanti, uno di questi è divertente e un po’ bizzarro.

Girolamo Induno, La filatrice, (1863-1890)

Siamo in primavera e si ripete il ciclo delle stagioni, gli uomini sono in campagna a tosare pecore e agnelli e le donne aspettano il loro turno, portare al fiume le lane, togliere i zirpoli e poi immergere nell’acqua che scorre e alternare con pentoloni di acqua calda con saponina finché la lana diventa candida. Poi stesa al solo si asciuga ed è pronta per la filatura.
Qui tocca a Mariannina, lei è brava con il fuso, sa filare e riesce a ottenere un filo sottile e ben filato. Servirà in inverno, per confezionare con ferri e uncinetto capi per tutta la famiglia.
Lei è brava anche con i quattro ferri, sa preparare le calze che tengono caldi i piedi di Francesco mentre, nel suo gelido ufficio, scriverà le carte da segretario comunale e porterà la contabilità per la proprietà del nonno.
E poi imparerà a fare la tintura per i piccoli pagliaccetti rosa e celesti per i figli e le figlie che arriveranno, quale soddisfazione più grande?

***

Articolo di Irma Rosa

Pensionata, nata in montagna, vive in pianura, ama il mare. Appassionata lettrice, non predilige un genere in particolare, ma ha una spiccata simpatia per il noir. Coinvolta dalla passione politica fin dai primi anni ’50, non perde occasione per affermare la sua resistenza a ogni forma di violenza. Le piace scrivere e, essendo dotata di ottima memoria, ama ricordare le storie di un tempo che oggi sembra una fiaba.

Lascia un commento