Viaggio in Tunisia 

Eccoci all’ultimo appuntamento con i resoconti dei viaggi verso Est: Tunisia e anche Algeria, che però sarà l’argomento del prossimo articolo. 
Qui il salto nel tempo è notevole, torno ai miei anni verdi, nell’agosto del 1983, quando di anni ne avevo ventinove. Molte cose erano diverse da come sono oggi: ad esempio non c’era il cellulare e le foto si facevano con pesanti macchine fotografiche al collo con i rullini; dovevamo essere molto più competenti in materia e anche più accorte, visti i costi degli sviluppi fotografici. Io ero abbastanza esperta e mi sapevo occupare dei cambi di obbiettivi, di filtri, di esposimetri, oltre che di inquadrature e di giochi di luci. Le foto di allora furono diapositive che oggi ho ri-fotografato per documentare il viaggio. 
La meta per quell’estate fu abbastanza particolare, fuori dagli schemi consueti di una tranquilla vacanza al mare o in montagna. Una mia collega di allora aveva un fidanzato che possedeva una jeep Uaz russa che consentiva un viaggio avventuroso, anche nel deserto. A questi due amici e a me e a mio marito si unì un’altra coppia; eravamo quindi in sei, giusti giusti per la vettura che era di tipo spartano e non affatto confortevole. 
Mio marito, meccanico tuttofare, ha voluto effettuare delle modifiche sulla jeep saldando dei tubi e costruendo così un portapacchi sul tetto dove poter legare i bagagli, sia quelli personali sia le brandine, le tende e il materiale da campeggio, ma anche l’attrezzatura per le immersioni subacquee, visto che avremmo trascorso alcuni giorni al mare sulla costa tunisina e che il proprietario della jeep era un esperto subacqueo. 

La nostra jeep ben attrezzata

C’era molta eccitazione nel costruire l’itinerario in terre tunisine, ancora poco conosciute se non per categorie turistiche di alto livello; non parliamo poi dell’Algeria, allora poco disponibile all’ingresso del turismo occidentale.
Abbiamo pianificato il percorso per la Tunisia, riservandoci di organizzare il resto, una volta giunti alla frontiera con l’Algeria, che però offriva il grande fascino del deserto del Sahara più bello in assoluto. Vito, siciliano e proprietario della jeep, da Milano sarebbe sceso a Trapani, sua città di origine, per imbarcarsi alla volta di Tunisi, dove ci sarebbe stato l’incontro con noi, provenienti da un volo Milano Linate. 
In gruppo abbiamo potuto visitare i principali centri d’interesse della città, quali il museo archeologico del Bardo, ricco di mosaici di epoca romana e del primo periodo islamico. Una guardia del museo ha insistito per ospitarci a casa sua per offrirci del thé e lì, mentre sorseggiavo, sono stata attratta da una stampa appesa alla parete con scritte in arabo a colonne fittissime. Mi hanno detto che era l’intero Corano il cui inizio fa riferimento ad Abramo, padre capostipite, così come lo è per il mondo ebraico e cristiano. Forse lo avevo studiato a scuola, ma vederlo lì mi ha fatto pensare. Il giorno dopo la meta era quella che un tempo fu Cartagine e che oggi è un sobborgo marino di Tunisi, con i ruderi della gloriosa città fenicia che venne distrutta dai romani nel secondo secolo avanti Cristo. Essa fu poi ricostruita e lì vi studiò retorica anche il filosofo Agostino di Ippona che ne parla nelle sue Confessioni. 
Prima di inoltrarci all’interno del paese si decise di acclimatarci lungo la costa dove il clima era medo torrido. Due o tre giorni accampati al mare a Capo Bon, zona caratterizzata da un paesaggio variegato, con tratti selvaggi e incontaminati, spiagge sabbiose e insenature rocciose Sotto a dei pini marittimi avevamo piantato le nostre tre tende, allestito un piano cucina con tavolini e seggioline pieghevoli. 

Accampamento a cap Bon

Dovevamo procurarci l’acqua per le nostre taniche in un centro abitato poco lontano e per questo abbiamo avuto l’aiuto di Abel, un giovane tunisino che si prestava a fare servizi per noi in cambio di un piatto di spaghetti, naturalmente portati dall’Italia. Lui dormiva in un’amaca accanto a noi e ci faceva la guardia di notte. Prima che lasciassimo l’accampamento ha voluto invitarci a casa sua dove la madre aveva preparato per noi una cena tipica; stando sedute per terra abbiamo mangiato da un unico piatto un ottimo tajine, cercando di fare conversazione con i membri della famiglia. 

Una cena in casa tunisina

Il caldo in quei giorni era veramente forte e stavamo più all’ombra che in spiaggia, ma si doveva trovare il coraggio di spingerci nell’entroterra tunisino per iniziare il nostro itinerario, benché il calore ci spaventasse. Ci decidemmo di partire all’alba per sfruttare le ore di fresco e di quella famosa alba abbiamo delle foto meravigliose. 

L’alba di quando abbiamo lasciato il primo accampamento

Lungo la strada verso sud abbiamo incontrato semplici villaggi presso i quali si faceva provvista di acqua e in uno di questi abbiamo visto i forni di pietra per cuocere il pane sulle pareti interne, come ce lo hanno mostrato alcune donne del posto. 

La gente voleva sapere tante cose di noi e Francesco, rappresentante di farmaci che conosceva il francese, conversava volentieri. Ci salutavano con allegria, in particolare i bambini e le bambine a cui abbiamo regalato le ultime caramelle portate dall’Italia. Abbiamo così visitato la moschea di Kairouan, situata a circa 120 chilometri a sud di Tunisi, che è considerata dai musulmani di tutto il mondo la quarta dopo Medina, La Mecca e Gerusalemme e, dal 1988, fa parte del Unesco, Patrimonio dell’Umanità, grazie alla sua importanza storico-culturale. La moschea è formata da un ampio edificio dall’aspetto simile a quello di una fortezza che, al suo interno, racchiude il grande cortile dove si trova lo spettacolare colonnato che porta alla musalla, la sala dedicata alla preghiera. Al centro del cortile vi si trova una meridiana, formata da un quadrante solare con quattro gnomoni su una lastra di marmo. Vi sono incise linee che indicano le ore, la preghiera di mezzogiorno e i tempi per le altre preghiere quotidiane. Accanto alla moschea si può ammirare il possente minareto; purtroppo solo i nostri tre uomini hanno potuto visitare l’interno della moschea, dopo essere stati ricoperti da un mantello bianco, mentre a noi donne non è rimasto che percorrere il porticato. 

A fare da guardiano alla jeep, mentre visitavamo la moschea, è rimasto un vecchietto vestito di tutto punto col cappotto di lana, perché a suo dire dal caldo ci si deve difendere con la lana. 

Il forno in terra Creta per il pane
La moschea di Kairouan
Il guardiano della jeep

Tra gli importanti resti romani in Tunisia si trova a El Jem, un anfiteatro del terzo secolo dopo Cristo, molto ben conservato e inferiore solo al Colosseo di Roma e all’Arena di Verona, adibito ai giochi con belve e gladiatori. Il nostro viaggio proseguiva sempre con pernottamenti in tenda in campeggio libero, facendo provviste nei mercati lungo le strade, avendo sempre la preoccupazione del rifornimento di acqua. Ricordo che un giorno abbiamo perso ben due taniche d’acqua che si erano schiantate a terra perché non erano state ben legate alla jeep; da quel momento solo mio marito si sarebbe dovuto occupare della sistemazione delle taniche. 
La direzione ci portava all’oasi di Tozeur e per raggiungerla ci siamo imbattute in una strana distesa bianca che sembrava neve, ma che, data la situazione, di certo neve non era. Siamo scese dalla jeep io e le mie due amiche e abbiamo verificato che quella immensa distesa bianca era sale, era il lago salato Chott El Djerid. 

Il lago salato di Chott el Djerid
L’oasi di Tozeur

Ci è venuta voglia di ballare come fossimo al pattinaggio su ghiaccio sotto un sole rovente; era così paradossale! Ma eccoci a Tozeur, dove saremmo rimasti qualche giorno; è un’importante città culturale e religiosa nel cuore della regione del Jerid, nel sud-ovest tunisino e a breve distanza dall’Algeria con spettacolari paesaggi dai profili increspati, tra il giallo della terra brulla e il verde delle palme da dattero, una vera perla. La città di Tozeur sorge in un’immensa oasi il cui palmeto è considerato uno dei più estesi al mondo.

È un microcosmo perfetto per l’abbondanza di frutti e fiori che crescono all’ombra delle palme, tra giochi di luce e il mormorio dell’acqua sorgiva, che una rete di canali distribuisce in tutta l’oasi. Già nel XII secolo c’era stato un intervento con la messa a punto di un funzionale sistema di irrigazione, che ha consentito al palmeto di sopravvivere nei secoli, espandersi e garantire una costante produzione di datteri… i migliori di tutta la Tunisia! La città vecchia di Tozeur, con i suoi passaggi coperti e i vicoli color sabbia su cui si affacciano abitazioni dalle pareti decorate in rilevo, è unica nel suo genere. L’albero re della regione, la palma, fornisce il legno delle travi e dei pavimenti delle case, mentre mattoni di argilla disposti artisticamente, alcuni sporgenti ed altri rientranti, creano stupefacenti motivi geometrici sulle facciate. 

Motivi tipicamente berberi, che si ritrovano anche nei tappeti prodotti in questa zona, molto complessi e ricchi di colore. 

 Noi abbiamo sistemato le nostre tende dove lo sceriffo dell’oasi ci ha indicato; lui, molto cordiale, era il responsabile del luogo e ci ha suggerito di cospargere di benzina il perimetro di ogni tenda per tener lontani gli scorpioni. Mi ha regalato uno scorpione in un vasetto di formalina da lui catturato, che ancora conservo. Lo spettacolo meraviglioso accanto all’oasi sono le cascate dove abbiamo potuto farci il bagno; queste cascate naturali e i paesaggi mozzafiato che offrono sono incastonate tra montagne desertiche. 

L’incontro di una ragazzina nell’oasi di Tozeur
Montagne da cui sgorgano le cascate

Benché le temperature fossero più basse che in pieno deserto, nell’oasi c’era molta umidità che ci affaticava. Alla sera abbiamo acceso delle lampadine, avendo avuto l’attacco di corrente elettrica, e quindi abbiamo potuto preparare una bella cena a cui lo sceriffo è stato invitato e al quale abbiamo posto tante domande sulla vita di quello strano luogo. Ci ha detto che nell’oasi c’è una scuola con due insegnanti che si stabiliscono lì per diversi mesi. 
Verso mezzanotte abbiamo visto arrivare due luci da lontano; erano i fari di una macchina con una coppia di francesi e la loro bambina di tre anni. Quale esperienza per questa bambina di Parigi che oggi ha più di quarant’anni! Li abbiamo invitati a unirsi alla nostra tavola. 

Cuccioli di volpe del deserto, fennec

Il giorno dopo ci aspettava la visita allo zoo del centro della città di Tozeur. Animali mai visti tipici del deserto: fennec, la volpe del deserto con i suoi cuccioli, scimmie di vario genere, serpenti che il guardiano prendeva in mano in modo disinvolto e poi i leoni. Io e mio marito abbiamo potuto prendere in braccio un piccolo di leone di uno o due mesi che era come un peluche. 
Fuori dallo zoo vivono liberi i camaleonti che loro chiamano omelbuia. Ne abbiamo presi due da portare a casa in Italia, ma che poi con i nostri freddi non sono sopravvissuti. 

Un leoncino nello zoo di Tozeur
Un camaleonte nero di rabbia o di paura

Da Tozeur alla frontiera con l’Algeria il tratto non era lungo e soprattutto io ho insistito perché si provasse a entrare. Questa seconda parte del viaggio in terra algerina sarà il racconto dell’ultimo articolo di questa rassegna. 

In copertina: gente tunisina molto accogliente. 

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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.

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