Paleoclimatologia: leggere il passato per prevedere il futuro

Che il clima stia cambiando a una velocità senza precedenti non è una teoria, ma un’affermazione supportata dai dati. Persino chi si ostina, per miopia o interesse economico, a negare l’evidenza, è costretto a disquisire non sul se esista il fenomeno, ma a limite sulle cause: la responsabilità diretta o meno dell’uomo. Le frasi tipo: “Ma quale riscaldamento globale, è stato un marzo freddissimo” e simili, non funzionano più.
Ma come fanno gli scienziati a sapere che il clima attuale sta cambiando e lo sta facendo a una velocità senza precedenti? La risposta si trova nel passato, negli archivi naturali del pianeta: anelli degli alberi, carote di ghiaccio, sedimenti lacustri e marini, coralli. Questi “registratori” naturali raccontano storie climatiche di migliaia, a volte milioni di anni fa.

Ellen Mosley-Thompson

La paleoclimatologia è la disciplina che studia il clima del passato, molto prima dell’era delle misurazioni strumentali. La capacità di registrare temperatura, piovosità e altri parametri climatologici è giovane, un tempo trascurabile rispetto alla vita della Terra. Ricostruire il clima è come un’indagine poliziesca: bisogna raccogliere indizi, interpretarli e immaginare una scena che nessuno ha potuto osservare direttamente.
A raccogliere questi dati e ad analizzarli per interpretarne il significato sono spesso scienziate, che dagli anni ’60 in poi si sono dedicate a questi affascinanti studi.
Proprio negli anni ’60 Willi Dansgaard, un ricercatore danese, ha dimostrato come il rapporto tra isotopi dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio potesse rivelare le temperature del passato. Il suo lavoro ha aperto la strada a scienziate come Ellen Mosley-Thompson, che ha dedicato la sua carriera allo studio delle carote di ghiaccio prelevate dai ghiacciai tropicali. Ellen ha dovuto combattere contro il pregiudizio che le donne non fossero adatte al lavoro sul campo in condizioni estreme. «Quando ho iniziato, mi dicevano che una donna non poteva sopportare le altitudini elevate o il freddo intenso», ha raccontato in un’intervista. «Ho dimostrato il contrario trascorrendo più di 25 stagioni sul campo, spesso a oltre 5.000 metri di altitudine».

Tra le figure di spicco della paleoclimatologia contemporanea c’è Valerie Masson-Delmotte, climatologa francese e co-presidente del Gruppo di lavoro I del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Masson-Delmotte ha dedicato la sua carriera allo studio delle carote di ghiaccio antartico, che conservano bolle d’aria intrappolate migliaia di anni fa. Analizzando la composizione di queste bolle, è possibile determinare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera del passato.
«Le carote di ghiaccio sono come macchine del tempo», spiega Masson-Delmotte, «Ci permettono di viaggiare indietro fino a 800.000 anni fa e di osservare come il clima rispondeva a diversi livelli di CO₂. Quello che vediamo oggi è senza precedenti: la concentrazione attuale di CO₂ è più alta di qualsiasi altro momento degli ultimi 3 milioni di anni».

Barbara Stenni

In Italia, Barbara Stenni dell’Università Ca’ Foscari di Venezia è una delle principali esperte nell’analisi degli isotopi dell’ossigeno nelle carote di ghiaccio. Il suo lavoro ha contribuito a ricostruire la variabilità climatica dell’Antartide negli ultimi millenni, fornendo un contesto fondamentale per comprendere i cambiamenti attuali.
«Quello che rende il lavoro in Antartide così affascinante è il contrasto tra l’ambiente estremo e la precisione richiesta per la ricerca», racconta Stenni. «Lavoriamo in condizioni di -30°C, ma dobbiamo maneggiare campioni con una precisione al millesimo di grammo».
Un altro archivio climatico fondamentale è quello costituito dagli anelli di accrescimento degli alberi. Questi anelli si formano ogni anno grazie all’attività del tessuto che produce nuovo legno: quello estivo è di colore chiaro, mentre il legno che si forma di inverno è più scuro. La larghezza varia in base alle condizioni climatiche: anelli più larghi indicano stagioni favorevoli, mentre quelli più sottili segnalano periodi di siccità o stress ambientale. Analizzando la sequenza e le caratteristiche degli anelli, i paleoclimatologi possono ricostruire la storia del clima di una regione anche a distanza di secoli o millenni. Gli anelli possono essere anche investigati con il metodo isotopico del C-14, che ne permette la datazione assoluta.

Anelli di accrescimento nel legno

Rosanne D’Arrigo ha dato contributi significativi a questa scienza. D’Arrigo, dell’Osservatorio della Terra Lamont-Doherty, ha utilizzato gli anelli degli alberi per ricostruire le temperature degli ultimi millenni, dimostrando come il riscaldamento attuale sia anomalo rispetto alle variazioni naturali.
«Gli alberi sono testimoni silenziosi», afferma D’Arrigo, «Ogni anello racconta una stagione di crescita, influenzata dalle condizioni climatiche. Studiando alberi molto vecchi o legno conservato in condizioni particolari, possiamo ricostruire il clima di migliaia di anni fa».

Carote in sedimenti marini

Se gli alberi e i ghiacci sono archivi preziosi, i sedimenti lacustri e marini sono vere e proprie biblioteche del clima. Le varve lacustri, strati di sedimenti annuali, registrano informazioni climatiche attraverso la composizione biochimica e la struttura degli strati stessi: variazioni nella concentrazione di pigmenti, elementi chimici (come calcio o manganese) e materiale organico riflettono parametri meteorologici stagionali come temperature, precipitazioni e intensità dei venti. Ad esempio, inverni miti favoriscono una maggiore stratificazione del lago e la formazione di calcite, mentre eventi di rimescolamento delle acque lasciano tracce specifiche nei sedimenti.
I sedimenti marini, invece, conservano testimoni climatici insostituibili, i gusci dei foraminiferi, microorganismi che assorbono elementi chimici dall’acqua circostante. L’analisi degli isotopi dell’ossigeno in questi gusci permette di stimare temperature oceaniche e volumi dei ghiacci, mentre il radiocarbonio fornisce datazioni assolute.

Dorothy Peteet, paleoecologa della Nasa, ha dedicato la sua carriera allo studio delle torbiere e dei sedimenti lacustri, estraendo informazioni sul clima del passato attraverso l’analisi dei pollini, delle spore e di altri resti organici che permettono di ricostruire la composizione della vegetazione di un’area e, di conseguenza, di dedurre le condizioni climatiche che la caratterizzavano.
«I sedimenti sono come libri impilati uno sull’altro», spiega Peteet. «Ogni strato rappresenta un periodo di tempo, e i fossili contenuti in esso ci raccontano quali piante e animali vivevano in quell’epoca, permettendoci di ricostruire il clima».
Il lavoro di queste scienziate non è solo di interesse storico. Comprendere come il clima ha risposto a cambiamenti nel passato è fondamentale per prevedere cosa ci aspetta nel futuro.

Dorothy Peteet

Kim Cobb, paleoclimatologa del Georgia institute of technology, utilizza i coralli per ricostruire la variabilità climatica degli ultimi secoli. «I coralli crescono depositando strati di carbonato di calcio, simili agli anelli degli alberi», spiega Cobb. «Analizzando la composizione chimica di questi strati, possiamo determinare la temperatura dell’oceano e altre variabili climatiche». Il suo lavoro ha rivelato come fenomeni come El Niño, che influenzano il clima globale, siano cambiati nel tempo. «Quello che stiamo osservando oggi è un’intensificazione di questi eventi estremi, coerente con le previsioni dei modelli climatici».

Kim Kobb da https://x.com/coralsncaves

Amy Leventer, geologa marina specializzata nei sedimenti dell’Oceano Antartico, aggiunge: «I sedimenti marini ci mostrano come i ghiacciai antartici hanno risposto a periodi caldi nel passato. E quello che vediamo non è rassicurante: anche piccoli aumenti di temperatura possono causare ritiri significativi dei ghiacci polari».
Mentre le temperature globali continuano a salire e gli eventi meteorologici estremi diventano più frequenti, il lavoro di queste detective del clima passato diventa sempre più cruciale. Leggendo gli archivi naturali della Terra, ci offrono una finestra su mondi passati e un’anteprima di ciò che potrebbe attenderci. E forse, proprio come hanno sfidato i pregiudizi di genere nella loro disciplina, ci mostreranno anche come possiamo sfidare un destino climatico che sembra già scritto.

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Articolo di Sabina Di Franco

Geologa, lavora nell’Istituto di Scienze Polari del CNR, dove si occupa di organizzazione della conoscenza, strumenti per la terminologia ambientale e supporto alla ricerca in Antartide. Da giovane voleva fare la cartografa e disegnare il mondo, poi è andata in un altro modo. Per passione fa parte del Circolo di cultura e scrittura autobiografica “Clara Sereni”, a Garbatella.

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