La cultura della corda. Il gioco della matassa e nodi famosi. Parte quarta

Ricordo ancora il “gioco della matassa”, o Ripiglino, con cui passavo il tempo all’asilo e alle elementari. Consisteva nel prendere una cordicella, annodarla facendone un cerchio e poi intrecciare con le dita della mano e, talvolta, con la bocca delle “figure”. Alcune volte ci giocavo da sola, provando a ottenere figure complesse e sempre diverse, altre volte ci giocavo con un’amica che, una volta che io avevo ottenuto una figura (dopo una mossa o due), prendeva la cordicella intrecciata — da cui il nome italiano di Ripiglino — e la trasformava a sua volta in un’altra figura.

Fate che giocano a Ripiglino: le fate giocano a cat’s cradle solo che cercano di inserire nella “culla” anche gatti veri. Illustrazione della canzone “I-tawt-i-taw-a-puddy-tat” (“I thought I saw a pussy cat” ovvero “Mi è semblato di vedele un gatto”) presa da un cortometraggio animato dei Looney Tunes (Titty contro Silvestro)

Il gioco era divertente e per certi versi agonistico quando si giocava in due o anche più bambine, ma anche giocandoci da sola mi divertivo a cercare delle figure note negli intrecci e nei nodi che via via andavo creando. Ovviamente all’epoca non avevo la più pallida idea di star giocando ad uno dei giochi più antichi dell’umanità e del suo profondo significato culturale, tutti attributi che erano scomparsi nelle nebbie della storia.
Il gioco della matassa o Ripiglino (in veneto zogo del tiramola) si chiama in inglese cat’s cradle e berceau du chat in francese (culla del gatto) dove il gatto in questione è un gatto Schrödingeriano, se mi è concessa la battuta e poi vedremo perché. I tedeschi lo chiamano comunemente Fadenspiel (gioco del filo), o, più raramente, Katzenwiege (culla del gatto), ma anche Hexenspiel (gioco della strega), termine usato in alcune regioni per le figure più complesse.

È conosciuto in Europa anche come gioco dell’abbrivio, gioco dell’intreccio o gioco delle streghe. In giapponese il gioco è chiamato ayatori, i Maori lo chiamano whai e gli Inuit del Rame ajarautit.
I “nodi” hanno sempre affascinato la mente umana fin dall’alba della preistoria, sia per la loro funzione di legare che per la loro possibilità di diventare inestricabili o labirintici. Tuttavia a causa della natura effimera delle figure-con-la-corda, le prime prove reali dell’esistenza di questo gioco sono scarse, anche se le rappresentazioni a forma di rete, che ricordano i disegni delle figure-con-la-corda, sono comuni nelle testimonianze artistiche di ogni tempo e luogo.

Jacob’s ladder o Scala di Giacobbe, una delle figure più diffuse
del gioco della matassa

La più antica opera d’arte incisa conosciuta, rinvenuta nella grotta di Blombos, in Sudafrica, e realizzata dai primi Homo sapiens circa 73.000 anni fa, raffigura un motivo molto simile alle comuni figure-con-la-corda fatte di stringhe di quadrati intrecciati come la cosiddetta Jacob’s ladder o Scala di Giacobbe (Henshilwood C. S., d’Errico F., et al. 2018). Motivi a scala, recinzione e cesto sono comuni nell’arte rupestre del Paleolitico superiore europeo (Bahn P. G., Vertut J. 1997) e potrebbero persino estendersi a un possibile motivo a scala neandertaliano risalente al 64.800 a.C. nella grotta di La Pasiega, nel nord della Spagna. Motivi simili a figure di corda sono documentati anche nella ceramica del Bell Beaker (Sarauw T. 2008) risalente al 2000 a.C. circa.

Pietra di ocra rossa con motivo rete di quadrati, Blombos Cave, Sudafrica 70.000 a. C. circa (Wikimedia Commons); a dx una figura di corda polinesiana del tipo “guscio di tartaruga”

Un antico esempio più strutturato di nodi e legami può essere il sigillo a cilindro in lapislazzuli trovato nelle Tombe Reali di Ur (2600-2500 a.C.) o quello trovato nella House of Tiles di Lerna (2200 a.C.) o il sigillo a stampo di un ignoto mercante dell’Anatolia del 1700 a.C.

Sigillo a cilindro di Ur, Iraq Museum
Sigillo di Lerna trovato durante gli scavi della American School of Classical Studies nel 1952-58
Sigilli a stampo Anatolia, British Museum

In ambito classico certamente la storia più famosa riguardante corde e nodi è quella del “Nodo di Gordio”. Plutarco nella sua opera Vite parallele (Βίοι Παράλληλοι) racconta: «Quando [Alessandro Magno] conquistò Gordio — nel marzo del 333 a.C. — che si diceva fosse la dimora dell’antico re Mida, vide il celebre carro fissato al giogo con la corteccia di un corniolo e ascoltò la leggenda creduta da tutti i barbari, secondo cui il destino aveva decretato che l’uomo che avesse sciolto il nodo sarebbe diventato il sovrano del mondo intero. Secondo la maggior parte degli scrittori, i legacci erano così intricati e avvolti l’uno sull’altro che le loro estremità erano nascoste: di conseguenza Alessandro non sapeva cosa fare e alla fine sciolse il nodo tagliandolo con la spada, dopodiché le numerose estremità apparvero alla vista. Ma secondo Aristobulo, egli lo sciolse abbastanza facilmente rimuovendo il perno che fissava il giogo al palo del carro e poi estraendo il giogo stesso».
Come vediamo vi è uno stretto legame tra nodi, divinazione, magia e/o stregoneria.
A quel che risulta la prima testimonianza scritta di nodi e figure-con-la-corda risale a Heraklas, medico greco del I secolo d.C. che discusse 16 diversi nodi e imbracature chirurgiche, inclusa la prima testimonianza scritta conosciuta di una figura-con-la-corda descrivendoli in dettaglio. Le sue annotazioni sono giunte fino a noi grazie al medico di Giuliano l’Apostata, Oribasius di Pergamo (325-400 d.C.), che le riportò nel libro 48 delle sue Raccolte mediche (Ἰατρικαὶ Συναγωγαί, Iatrikai Synagogai) a loro volta salvate dal medico bizantino Nicetas nel X secolo, il cui Codice fu portato in Italia alla caduta di Bisanzio.

Il Plinthios Brokhos, una figura con i fili descritta dal medico greco Heraklas nella sua monografia del I secolo sui nodi e le imbracature mediche. Si tratta della più antica descrizione scritta conosciuta di una figura con i fili. Questo esempio è stato realizzato utilizzando la traduzione inglese delle istruzioni greche riportate nel libro Quipus and Witches’ Knots di Cyrus Day. Lo scopo descritto per la fionda era quello di fissare e legare una mascella fratturata. In pratica, i quattro anelli sarebbero stati allungati per poter essere legati sopra/dietro la testa del paziente con il mento al centro della figura
Il nodo di Leonardo (1496 circa)

Nodi, legami e corde hanno sempre avuto un fascino particolare; riporta il Vasari che «[Leonardo da Vinci] dedicò molto tempo alla realizzazione di un disegno regolare di una serie di nodi in modo che il cordone potesse essere tracciato da un’estremità all’altra, riempiendo l’intero spazio circolare. Esiste un’incisione di questo disegno molto difficile, al centro della quale sono riportate le parole: Leonardus Vinci Academia» (Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, In Fiorenze, Appresso i Giunti, 1568, parte Terza p.3).

Anche Albrecht Dürer si interessò al disegno di nodi e intrecci e fu influenzato dall’opera di Da Vinci. Benché non si conoscessero personalmente, Dürer e Leonardo avevano un’amicizia in comune, Luca Pacioli, che aveva stampato a Venezia il libro De Divina Proportione dove spiegava le teorie delle proporzioni di Leonardo e proprie. Dürer disegnò degli intrecci ispirati e simili a quello di Da Vinci, incisioni che chiamò Die sechs Knoten (“I Sei Nodi”). L’opera esemplifica l’intricato lavoro di progettazione tipico del periodo e mette in mostra la grande attenzione ai dettagli di Dürer e il suo fascino per i concetti matematici e geometrici. L’opera stessa presenta un affascinante intreccio di linee che formano un complesso motivo a nodo. È interessante che questo tipo di motivi in qualche modo riprendevano quelli “moreschi”, detti anche arabeschi, che chiunque vivesse nella Venezia del 1500 vedeva costantemente.

Die sechs Knoten di Albrecht Dürer (1505 – 1507), British Museum.

L’interesse di Leonardo e Dürer per nodi, labirinti e intrecci era certamente oltre che matematico e geometrico, anche esoterico. Nel pensiero esoterico medievale e rinascimentale alcune figure geometriche erano associate a poteri magici e venivano chiamate “piede della strega” o “piede del drudo”.
I nodi erano tutt’altro che oggetti profani: essi erano simboli di potere e venivano usati in rituali magici per “legare” o “sciogliere” energie, influenze o persino volontà. Io stessa ricordo che, se qualcuno aveva improvvisi e/o inspiegabili problemi di salute o di lavoro, alle volte gli veniva suggerito di aprire il cuscino o il materasso dove dormiva (una volta erano di fiocchi di lana o piume) e cercare se all’interno vi fossero nodi o palle di lana o piume o fili annodati che non avevano motivo di esserci. Se ne veniva trovato uno, era chiaro che era stata fatta una “fattura” maligna e bisognava eliminarla. Ammetto che io stessa ho usato dei pezzi di filo di lana nero o rosso annodati a caso e lasciati in punti strategici nei confronti di un condomino molesto che era molto superstizioso. Funzionò, potenza dell’antropologia!

Nodo di Eracle, periodo ellenistico (300 a. C. circa), The Al Thani Collection
Nodo di Salomone, basilica di Aquileia

Un elemento di particolare rilievo nella simbologia dei nodi, tanto nel Medioevo quanto nel Rinascimento, è il loro stretto rapporto con la geometria sacra. Le complesse configurazioni generate dal gioco del Ripiglino richiamano forme archetipiche quali il nodo di Eracle, il nodo di Salomone e i labirinti, tutti considerati rappresentazioni dell’unità cosmica e dell’ordine universale. In ambito alchemico, il nodo assume una valenza metaforica significativa, simboleggiando l’unione degli opposti, la congiunzione tra materia e spirito, nonché il processo di trasmutazione interiore. Nel pensiero rinascimentale, esso si configura come un tramite tra il mondo sensibile e quello intelligibile: ogni intreccio diventa narrazione, passaggio, enigma. Alcuni filosofi neoplatonici, infine, interpretavano il nodo come espressione della catena dell’essere, in cui ogni entità è connessa all’interno di un ordine divinamente strutturato. Per questo artisti come Dürer e Leonardo da Vinci studiarono intrecci e nodi come esercizi di simmetria, ma anche come rappresentazioni dell’ordine nascosto del mondo.
Ovviamente non sono stati solo gli Europei a caricare i nodi e il gioco della matassa di significati rituali o magici.

In copertina: bambine che giocano al “gioco della matassa” (Cat’s cradle), New Jersey, 1971.

Continua.

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Articolo di Flavia Busatta

Laurea in Chimica. Tra le fondatrici di Lotta femminista (1971), partecipa alla Second World Conference to Combat Racism and Racial Discrimination (UN Ginevra 1983) e alla International NGO Conference for Action to Combat Racism and Racial Discrimination in the Second UN Decade, (UN Ginevra 1988). Collabora alla mostra Da Montezuma a Massimiliano. Autrice di vari saggi, edita HAKO, Antrocom J.of A.

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