Ogni persona, quando pensa al viaggio, si proietta in un proposito di evasione, di stacco dalla routine, dalle responsabilità, dalle scadenze. Viaggiare presuppone non solo progettare, ma decidere di seguire il pifferaio magico dell’immaginazione verso un ignoto che alletta e scintilla. Non c’è nulla di più democratico dell’immaginazione, né nulla di più soddisfacente che poter concretizzare ciò che – mentre ci appaga – ci slega temporaneamente dai pesi quotidiani. È uno specchio individuale, dove vedere riflesso un quadro diverso per ognuno e ognuna: un volo mozzafiato su una mongolfiera in Cappadocia, schiuma di latte e pain au chocolat fragrante in un bistrot in riva alla Senna, snorkeling nei pressi di fondali marini brulicanti di vita, cieli tersi e acque limpide, foreste lussureggianti, animali esotici, culture contadine da scoprire, grandi metropoli frenetiche in cui perdersi fra visi, voci e insegne al neon o – delle volte – anche solo un paese attiguo e mai visitato. Il viaggio ci cambia, sempre. Tutto ciò che circonda l’aura della partenza reca con sé – com’è giusto – tanta esaltazione quanto timore. Cercando di riflettere su come venga guardata una donna che viaggia da sola nel 2023, mi sono sentita tenuta a occuparmi del tema dell’uscire da sole insieme a quello del viaggiare da sole, perché, nel rispondere alle mie domande, una fetta delle donne partecipanti alla ricerca affermava che da sola aveva viaggiato pochissimo, in passato, per obbligo lavorativo o che sbrigava solamente commissioni. Ho trovato stimolante la possibilità di affrontare questa riflessione da un punto di vista più ampio. Vale la pena notare che benché “non viaggiare da sole” possa significare viaggiare con: figli/e, amicizie, famiglia, gruppo studio, campo scuola, parrocchia, centro per attività sociali… e chi più ne ha più ne metta, molte hanno interpretato la mia espressione come “viaggiare senza un uomo” concludendo con specifiche di questo tipo: «comunque non credere, anche se sono con il mio ragazzo non mi sento completamente al sicuro» Angela, 27 anni. Ci troviamo in un momento storico in cui – benché ci sia giunta notizia di quasi uno stupro a settimana – gli aggressori sono ancora evocati come “mostri eccezionali” e spesso trattati col guanto di velluto, persino dalle giudici. L’opinione pubblica, muovendosi per motti, si configura come un novello Esopo della fiaba: adatta in terza persona il discorso dello scorpione che – inoculato il veleno sul dorso della rana – ci dice ineluttabilmente: «è la sua natura». Come dire: i predatori ci sono, tu non farti preda. Media e governo, infatti, ammoniscono le donne affinché siano responsabili e morigerate. In questo panorama si fa largo il mio tema sognante del viaggio, inevitabilmente incrinato da tre interrogativi inevasi: se l’esterno è percepito come irto di pericoli, quante donne escono e/o viaggiano da sole nonostante tutto? Come si pongono di fronte a potenziali avversità od opportunità? Come vengono percepite dalle altre persone? Ho cercato di dare parziale risposta a tutto questo avvalendomi di un questionario anonimo, da me redatto e aperto a un campione eterogeneo di volontarie di tutte le età, provenienze, etnie, estrazioni sociali, professioni, abilità. Il risultato è andato oltre le mie aspettative, portando alla luce che viaggiare o no da sole, uscire o no da sole, non dipende esclusivamente dal giudizio altrui o dalla propria volontà. Perciò, molte di queste generose testimonianze verranno qui riportate, avvalendomi di nomi di fantasia cambiati a ogni intervento, ma conservando parole testuali ed età reali. Le 50 volontarie del campione analizzato hanno tra i 21 e i 63 anni e provengono prevalentemente da centro Italia (48%) e sud Italia (38%). La maggior parte di esse è lavoratrice (64%), dunque indipendente economicamente per poter decidere di uscire in autonomia e affrontare un viaggio se vuole. Vi sono margini residuali di studenti (18%), studenti lavoratrici (10%) e senza attuale occupazione (8%). Queste tre categorie, presumibilmente, incontrano differenti difficoltà nell’organizzare uscite e viaggi. Tra le lavoratrici, la maggior parte opera in ambito benessere, salute e turismo (40%), in ambito artistico (36%), formatrici e pedagoghe (14%), lavori amministrativi, statali o da ufficio (10%). Le studenti appartengono esclusivamente a corsi di studio artistici e letterari.



Ecco la lista completa delle difficoltà dichiarate sui questionari, in ordine di ricorsività.
· Orari limitati dei mezzi pubblici e senso di pericolo nelle stazioni, alle fermate e sui mezzi stessi.
· Mancanza di un mezzo proprio per potersi autogestire (specialmente di sera).
· Taxi esosi, scarsi e con tassisti che a volte mi infastidiscono (specialmente di sera).
· Difficoltà a ricevere aiuto nel momento del bisogno.
· Paura di non essere aiutate in caso di difficoltà.
· Timore di aggressione fisica.
· Timore di furti.
· Barriere architettoniche.
· Difficoltà a comunicare in un’altra lingua.
· Difficoltà di organizzazione famigliare per avere del tempo solo mio.
· Sguardi indiscreti maschili che generano sensazione di pericolo.
· Catcalling che mi genera disagio col mio corpo e i vestiti che ho scelto per sentirmi carina.
· Uomini che mi seguono.
· Mancanza di tempo.
· Salario insufficiente a realizzare ciò che vorrei.
· Paura della solitudine.
· Difficoltà a orientarmi.
· Paura o confusione nel prendere l’aereo.
· Timidezza.
· Pigrizia.
· Ansia.
· Per dovermi tutelare non mi rilasso (non posso bere da sola, devo controllare se il telefono ha abbastanza batteria, finire un drink magari costoso prima di andare in bagno per non lasciarlo incustodito, controllare se il percorso è illuminato, se ci sono taxi, portare abbastanza soldi per il taxi ma non troppi per non rischiare furti, ecc. Quindi alla fine non mi va più).
Riporto le prime testimonianze in merito alle difficoltà contestuali.
«Ho paura di camminare in luoghi isolati o paura che le persone non mi aiutino in caso di difficoltà. Per tutelarmi evito di soffermarmi troppo negli sguardi delle persone se percepite come un pericolo (peccato, perché di solito lo scambio comunicativo con persone nuove, anche solo con lo sguardo, può portare qualcosa di bello, nuovo e stimolante), e soprattutto, se di notte, cerco di tenere le chiavi o qualcosa di appuntito tra le mani con cui eventualmente difendermi. In alcune situazioni ho fatto gruppo con persone appena conosciute per arrivare a destinazione con meno ansia di esser sola». Eleonora, 30 anni.
«Se con uscire si intende per divertimento, non esco mai sola o per lo meno se lo faccio è per incontrarmi con qualche amica. Sì, mi piacerebbe molto uscire sola e fare nuove esperienze in solitaria. Non ho mai viaggiato sola, mi piacerebbe molto farlo, spero di riuscirci entro un anno, le destinazioni a cui penso sono principalmente in Europa del Nord. Sono molto timida in primis anche se tendo a fare amicizia facilmente ho un po’ di ansia sociale, in più ho paura di prendere i mezzi pubblici da sola di notte nella città in cui studio. Nel mio paese di origine non ci sono mezzi pubblici, quindi le possibilità che io esca da sola sono più alte perché lì ho a disposizione una macchina. Per ciò che riguarda uscire come ho già detto il problema maggiore sono i mezzi pubblici. Le strade e i luoghi in cui non sono presenti, per me, sono da evitare. Come protezione spesso l’unica cosa che ho con me sono le chiavi di casa e il telefono sempre acceso con la localizzazione attiva». Miriam, 22 anni.
Il problema dell’autonomia di spostamento sembra una discriminante che capeggia al primo posto per tutte le fasce d’età, soprattutto nei grandi centri urbani italiani – dove le distanze vengono decuplicate – e ci si sente meno protette che nei paesi o in alcuni luoghi esteri. Stando sempre al campione intervistato, nei paesi italiani, si avverte meno il rischio dell’uscire da sole, ma molto di più il giudizio delle persone.
«Sono originaria di un piccolo paese del sud Italia, ma mi sono trasferita da anni all’estero, in UK per l’esattezza. Esco da sola e viaggio da sola. Se viaggio verso il mio paese d’origine sicuramente avverto il giudizio della gente. Le persone, soprattutto quelle del sud, giudicano il mio viaggiare solo in relazione al mio essere madre. Ai loro occhi – essendo una madre – non dovrei lasciare le mie figlie a casa con il padre e viaggiare sola. Mi autotutelo non dando importanza a ciò che viene detto. Per quanto riguarda altre mete non ho mai riscontrato difficoltà. In altri posti, soprattutto all’estero, non ho quasi mai percepito giudizio ma piuttosto curiosità». Maria, 33 anni.
«La maggior parte delle persone ritiene strano che io viaggi da sola benché io non sia single ma sposata, ma io lo ritengo un mio diritto in quanto non è giusto annullarsi nella coppia e fare obbligatoriamente tutto insieme. Ci sono cose che voglio fare e luoghi che voglio vedere che non interessano a mio marito (e la cosa è reciproca, quindi anche lui fa esperienze da solo). Ho viaggiato anche in luoghi ritenuti pericolosi come il Sud-est asiatico, ma non mi sono mai sentita a disagio né in pericolo, mentre per questo le persone mi ritengono incauta. Altre persone, invece, mi invidiano perché vorrebbero avere lo stesso coraggio e le mie possibilità di viaggio anche se, in realtà, io lavoro per pagarmi le bollette e col resto viaggio. Non sempre le altre persone mancano della mia stessa possibilità economica, è solo che non rinunciano alle cene fuori, i vestiti firmati, l’automobile nuova…». Penelope, 45 anni.
«Credo che spesso mi invidino per la mia libertà ma più spesso mi giudichino incauta. Io ho sempre viaggiato e sono sempre uscita da sola per esercitare il mio diritto di fare delle cose e divertirmi senza aspettare altre persone, però mi piace molto condividere le cose quando è possibile. Durante il mio primo viaggio da sola, guardando la Sagrada Familia, a Barcellona, pensavo quanto fosse bella e mi mancava poterlo dire a qualcuno. Col tempo ho imparato a fare amicizia sulla via». Milena, 34 anni.
«A volte mi hanno guardata con stupore per il fatto di aver viaggiato sola, altre volte soprattutto da persone più grandi di me mi sono sentita giudicata per la libertà che mi sono presa (essendo fidanzata da anni e ora sposata)». Rita, 39 anni.
«Credo che le persone sconosciute che incontro per strada quando sono sola non mi considerino o alcune credo mi giudichino forte e determinata anche se a volte si nota negli sguardi qualche senso di “stranezza”, soprattutto quando ti siedi a mangiare da sola. Le persone conosciute, invece, che vedono tramite i social che esco/viaggio da sola credo mi giudichino fuori di testa e criticano la solitudine come una dimensione da sfigata. Altre coraggiose invece mi hanno detto di essersi sentite stimolate e stimare la mia forza e determinazione nel fare ciò che voglio anche se da sola». Francesca, 30 anni.
Qui si scoperchia un altro vaso di Pandora. In tantissime mi hanno scritto che la cosa che genera loro più difficoltà nella gestione delle opinioni altrui, non è affrontare una lingua diversa, prendere un aereo, farsi fare un visto o rimediare alla perdita di documenti in una qualche Ambasciata, bensì affrontare sguardi e atteggiamenti della gente nell’atto di sorbire bevande o consumare pasti da sole in luoghi pubblici.

«Ogni santa volta che mi siedo da sola al tavolo di un locale, quando dopo un po’ si capisce che non aspetto nessuno, inizia un viavai di uomini che si avvicinano o si siedono al mio tavolo senza permesso, indipendentemente che sia in tiro o in tuta. Nessuno intorno gli dice nulla anche se dimostro fastidio. Qualche volta vanno a pagare per me senza dirmelo e questo mi fa arrabbiare perché non siamo usciti insieme, quindi non è una cosa carina, è un ricatto per farti dare confidenza. Se sono uscita da sola i soldi per pagarmi la consumazione li ho (e in realtà anche se esco con un uomo)». Elisabetta, 34 anni.
«Quando vado in un ristorante da sola i camerieri mi ignorano per tantissimo tempo. Danno per scontato che io aspetti qualcuno e non prendono il mio ordine se non attiro la loro attenzione diverse volte». Flavia, 30 anni.
«Raramente sono uscita a mangiare da sola e ho cercato comunque compagnia ascoltando audio arretrati di amiche e rispondendo». Diana, 32 anni.
«Quando mangio fuori da sola mi sento giudicata perché penso che gli altri possano pensare io sia strana o triste». Federica, 32 anni.
«Esco principalmente di giorno e in luoghi con molta gente. Di sera vado al cinema. Pensavo avrei avuto paura in viaggio da sola a NYC invece sono stata tranquillissima e non ho provato mai timore. Non sento il giudizio degli altri ma per esempio non vado a cena al ristorante o pizzeria da sola perché è l’unica situazione in cui mi sento sfigata». Lisa, 41 anni.
«Strana, credo questo sia l’aggettivo più comune. Sembra strano per chi è abituato a fare sempre gruppo che ci sia qualcuna che ami passare del tempo da sola. Mi è anche capitato di sentirmi apprezzata per questo, per il coraggio nel farlo. Spesso altre donne non hanno il coraggio di farlo per vergogna. Il famoso “chissà poi che pensa la gente di me”». Flora, 31 anni.
«Io credo che gli altri possano essere divisi nella categoria del “quanto è coraggiosa, beata lei” e del “è una sprovveduta, vuole farsi ammazzare” non c’è una via di mezzo». Sara, 21 anni.
«Il giudizio dipende molto dell’educazione con cui sono cresciute le persone con cui mi interfaccio, per esempio per mia madre sono fin troppo coraggiosa a fare tanti km da sola in macchina, per una donna del nord (dove spesso c’è più autonomia) è normale fare le cose da sole, anche cose che magari al sud sono considerate “da maschi”». Gisella, 38 anni.
Dunque – stando al campione intervistato – il nord Italia è percepito come più scevro da giudizi in merito a una cosiddetta “divisione dei ruoli di genere” e gestione del tempo individuale, mentre l’estero percepito come più sicuro rispetto alla grande città italiana, ma meno rispetto al piccolo borgo italiano. Le difficoltà riscontrate per le donne che vivono esperienze in solitaria sono molte, ma ritorna spesso una lamentela sulla vacuità dei trasporti pubblici, il senso di pericolo procurato dalle attenzioni maschili indesiderate e il timore di non ricevere aiuto in caso di necessità. Mentre l’aspetto che più di tutti genera disagio, solitudine e significativo senso di giudizio è il consumare i pasti sedute al tavolo da sole.
Fatte queste rapide premesse e gettando un occhio ai grafici possiamo evincere che le donne – anche se con frequenze diverse – malgrado tutto, escono da sole (80%) e viaggiano da sole (76%) e gli esiti – com’è ipotizzabile – sono plurimi.


«Un aneddoto dei tempi di inflazione galoppante in ex Jugoslavia. Stavo andando da sola a trovare un’amica nella città a sud, lontana qualche ora di viaggio. Le corse delle corriere erano ridotte. Ero arrivata alla città che fungeva da snodo in cui avrei dovuto prendere la corriera che portava alla destinazione del viaggio. Ma per via dell’inflazione galoppante il prezzo del biglietto era aumentato notevolmente (nell’inflazione galoppante i prezzi cambiano anche di ora in ora) e mi mancavano i soldi. Stavo riflettendo cosa fare e nel mentre si avvicina un ragazzo che chiedeva i soldi spicci per il biglietto. Preoccupata, gli rispondo: “Lascia perdere, non so neanche come pagare io il biglietto”. Lui mi chiese: “Quanto ti manca?” e mi diede la cifra esatta prendendo dai soldi che aveva racimolato. Se ne andò e io, grata per la soluzione arrivata dall’ultima persona a cui potevo pensare come possibile fonte d’aiuto, di fretta andai a comprare il biglietto per evitare che aumentasse ancora (anche perché da lì a poco era prevista la partenza)». Mirjana, 54 anni.
«Non mi sentivo a mio agio sulle grandi distanze da percorrere in auto, ma per motivi di lavoro fui costretta. Inizialmente mi mancava il fiato e avevo il respiro corto, nonché un peso al petto. Stavo quasi per tornare indietro, poi mi guardai intorno e vidi il mare e quei paesi incastonati tra i monti. Ne fui attratta così tanto che me ne innamorai. E scoprii la costiera Amalfitana… un incanto! Superate le criticità personali non ho più avuto remore e l’istinto è stato mio alleato validissimo». Emilia, 61 anni.
«Quando ero più piccola mi piaceva uscire e fare delle passeggiate da sola nei parchi vicino casa mia. Dopo un po’ mi fermavo e ascoltavo la musica con le cuffiette. Una volta ho raccontato a mia madre cosa facevo e si è spaventata tantissimo, dicendo che era pericoloso non sentire cosa succedeva intorno a me e di dover essere sempre vigile. Continuo a fare le passeggiate ma non sento più la musica e mi manca molto». Federica, 23 anni.
«Viaggiavo in Nord Europa da sola. Una sera sono andata in un pub e ho conosciuto una ragazza del posto. Lei ha chiamato due amici, abbiamo bevuto tutti insieme e mi hanno chiesto di andare con loro a una festa. Ho risposto di sì ma il fidanzato della prima ragazza non si sbrigava, lei era arrabbiata e ci ha chiesto di salire un momento a casa con lei. Sul momento l’ho fatto senza pensarci. Una volta a casa lui non c’era, hanno messo della musica, mi hanno detto che dovevamo aspettarlo. Sono andata in bagno e quando sono uscita li ho visti ridere… Ho capito che parlavano di me nella loro lingua e per la prima volta ho avvertito il pericolo. Ho chiesto cosa stessero dicendo e ridendo mi hanno detto: “dicevamo che avremmo potuto stuprarti e rapinarti, sei pazza a salire da sconosciuti così?!” E io:”ma… voi non lo farete, no?” “No!!!” E ci siamo messi a ridere e ascoltare musica italiana. Il ragazzo di lei non è mai arrivato. Mi hanno accompagnata a piedi fino al portone del mio alloggio e hanno atteso che entrassi». Lidia, 34 anni.
«La volta che ricordo di essermi sentita più spiazzata è stata quando viaggiando di notte mi sono trovata sola sia in treno che nello scompartimento. Un signore prese posto nella mia cabina, tirò fuori una corda e legò la porta. Anche se poi non mi ha fatto del male non ha detto nulla. Io ero terrorizzata, non ho chiuso occhio e non mi sono mossa tutta la notte, neppure per fare pipì». Lara, 39 anni.
«A San Francisco la guida diceva che la città è sicura ma consigliava di evitare il quartiere di Tenderloin. Il primo giorno che sono arrivata di sera ho sbagliato strada e sono capitata subito come prima cosa in questo quartiere. E dopo una decina di giorni avevo l’ostello esattamente in quel quartiere. In realtà, con le normali cautele che adotterei in qualunque luogo del mondo compresa casa mia, non mi sono sentita mai in pericolo. E nell’ostello in cui alloggiavo c’era un murales che tradotto diceva: “qualsiasi città che non abbia un Tenderloin non è affatto una città”». Nadia, 45 anni.
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Articolo di Roberta Russo Vizzino

Attrice, modella d’arte e scrittrice di origine calabro-campana. Dopo un’esperienza di vita in Lettonia, attualmente abita tra Roma e Firenze. Terminata la formazione attoriale ha intrapreso un percorso universitario in Discipline, arti e scienze dello spettacolo presso l’Università “La Sapienza” di Roma e pubblicato il suo primo libro Io sono onda di mare nel 2023.
