La surrealista Bona de Mandiargues in mostra a Orani

Orani è una cittadina sarda, in provincia di Nuoro, che ospita nell’antico lavatoio un importante museo dedicato al grande scultore Costantino Nivola (Orani 1911-Long Island 1988) di cui abbiamo scritto anche su Vv (vedi n. 233).

Interno del museo

Non deve quindi meravigliare se in una località poco nota e minore (ma che offre notevoli motivi di interesse) si è aperta una mostra rara e preziosa, dedicata a una donna geniale, dalla vita avventurosa, sfuggita all’attenzione della critica e non pienamente esplorata dalla storia dell’arte, come ha affermato Paolo Curreli su La Nuova Sardegna (16-9-23).

Locandina della mostra

La rassegna Bona de MandiarguesRifare il mondo è stata inaugurata sabato 16 settembre, alla presenza delle curatrici Giuliana Altea, Antonella Camarda, Caterina Ghisu, del curatore Luca Cheri e della figlia Sibylle Pieyre de Mandiargues, e rimarrà aperta fino al 5 febbraio 2024; si è dato il via anche al programma incentrato sulla creatività dal titolo Contemporanea 23 – L’immaginazione al potere. Nella medesima circostanza è pure stato assegnato alla tedesca di origine iraniana Nairy Baghramian il prestigioso Premio Nivola per la scultura che viene a riprendere una consuetudine interrotta per diverso tempo; a lei sarà dedicata una ampia mostra prevista per l’estate del prossimo anno e che la scultrice ha accolto con grande piacere, dopo aver apprezzato le opere di Nivola sul territorio sardo, ma anche a New York, a testimonianza del respiro internazionale dell’artista, messaggero di bellezza e di armonia. Una pittrice che proclamava: «faccio con la mente, penso con le mani», aveva evidentemente una personalità originale; sempre lei affermava: «La mia ricerca è alchemica, voglio fare dell’oro a partire dagli escrementi. […] Rifaccio il mondo: là sono altrove, vedo le cose da più lontano» e si identificava con un animale ermafrodita e ambivalente: la lumaca, incarnazione della metamorfosi e dell’informe surrealista.

La coquille et le clergyman

Visto che questa a Orani è la prima grande retrospettiva di Bona de Mandiargues, italiana a dispetto del cognome acquisito, la cui esistenza e il cui percorso artistico non sono stati fino ad oggi adeguatamente ricostruiti, si devono spendere alcune parole per conoscerla meglio e legarla alle contemporanee figure della francese Dora Maar, della spagnola Remedios Varo e di altre surrealiste. Era nata a Roma il 12 settembre 1926 e si chiamava Bona Tibertelli de Pisis, nipote da parte di padre del celeberrimo pittore Filippo de Pisis. Trascorse la giovinezza a Modena e iniziò presto a dipingere; nel 1939 si iscrisse all’Istituto d’arte, ma a causa della guerra dovette interrompere gli studi, anche se continuò a lavorare con costanza. Alla morte del padre, nel 1946, si trasferì a Venezia dove viveva lo zio di cui divenne allieva ed entrò all’Accademia di Belle arti.

Man Ray, Ritratto di Bona

L’anno seguente insieme lasciarono l’Italia per Parigi dove frequentavano il mondo intellettuale e artistico. Quanto mai bella, appassionata e affascinante, Bona sposò nel 1950 lo scrittore André Paul Edouard Pieyre de Mandiargues che l’aveva introdotta nel gruppo del Surrealismo, rappresentato fra gli altri da André Breton, Max Ernst, Man Ray, ma anche da artiste come Meret Oppenheim, Leonora Carrington, Dorothea Tanning, la cui attività non era facile in un universo professionale dominato dagli uomini, sia in Francia che in Italia e Spagna.

Con la morte dello zio, Bona, dopo essere precipitata in una crisi creativa e nell’inquietudine esistenziale, cominciò a esprimersi attraverso decalcomanie, utilizzo di tessuti tagliati e ricuciti, materiali poveri assemblati su tela in forme astratte che espose in Messico, dove si recò per un lungo soggiorno nel 1958. In questo periodo avvenne una svolta, personale e artistica, perché si separò dal marito, intrecciò nuove relazioni, effettuò viaggi in luoghi esotici, dal Nepal all’Afghanistan, da Ceylon all’India, che le portarono con le loro culture ispirazioni nei colori, nei soggetti, nelle tematiche. Nei primi anni Sessanta si dedicò a ulteriori sperimentazioni, ad esempio utilizzando il patchwork con cui riproduceva volti di personaggi noti, ma proseguiva anche con le più tradizionali tecniche dell’incisione, del disegno, della pittura, raffigurando creature immaginarie, sogni erotici, fantasie magiche.

Intanto portava avanti le riedizioni dei libri dello zio e scriveva lei stessa; talvolta accompagnava con propri disegni o testi opere altrui, ad esempio di Octavio Paz, che la amò con passione, e di Ungaretti e Calvino. Nel 1967 avvenne la riconciliazione con il marito e nacque la figlia Sibylle. La sua ricerca professionale prese strade inedite: dai disegni allusivi alla sessualità ai soggetti neo-metafisici, dal ritratto all’uso dell’assemblage di stoffa che vede come tema principale la lumaca, creatura al tempo stesso mite e viscida, sgradevole e tranquilla, proiezione del suo animo inquieto. Nel 1977 pubblicò una autobiografia, Bonaventure, e un’altra uscirà postuma, nel 2001, Vivre en herbe, entrambe in francese. Nel 1985 e nel 1988 vengono stampate due raccolte di poesie: I lamenti di Serafino e À moi-même, mentre era uscito in Francia il romanzo La Cafarde (1967), tradotto in Italiacon il titolo La Nottivaga (1981), storia di una licantropa, tema caro al Surrealismo. Fra le numerose opere del marito, significativo critico letterario, poeta e narratore, ha tradotto il romanzo Clorinda (1985) e il dramma in due atti Isabella Morra (1990). Bona de Mandiargues muore a Parigi il 25 agosto 2000.

La mostra che si è aperta a Orani vede esposte 71 opere che vanno dal 1950 al 1997 ed è il frutto di accurate ricerche d’archivio e di prestiti dalla collezione degli eredi, da altre collezioni private, da raccolte pubbliche di Roma, Ferrara, Modena. «Il percorso, aperto da un gruppo di preziosi dipinti che segnano l’avvicinamento dell’artista all’immaginario surrealista, prosegue con i fantastici paesaggi infuocati del 1955-56, influenzati da un viaggio nell’Alto Egitto, e le opere astratte dalle paste spesse e materiche dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino ai primi Sessanta, quando la suggestione della cultura messicana aggiunge nuovi elementi al suo immaginario» (dalle note informative presenti sul sito del Museo Nivola). Opere significative di questa fase sono Il trittico delle nascite (1967), i collage tessili, La Diana cacciatrice e cacciata (1968); seguono omaggi a De Chirico, Magritte e Savinio con quadri di gusto metafisico, e poi ritratti e autoritratti tipici degli anni Ottanta e Novanta in cui l’artista procede alla propria scomposizione e alla rappresentazione simbolica di sé con i dipinti La Femme Montagne e Ma Main. Evento dunque da non perdere per chi si trova in Sardegna o intende fare un viaggio nel cuore della Barbagia, dove è appunto Orani, vicino al capoluogo Nuoro che è sede di importanti musei e si sta arricchendo di nuovi spazi espositivi, ultimo in ordine di tempo il Museo della Ceramica. Alla Barbagia e alla Sardegna interna viene dato molto rilievo anche in recenti trasmissioni televisive, documentari, reportage, curati fra gli altri da Mario Tozzi (Sapiens – puntata del 25-6-22) e da Federico Quaranta (Il Provinciale – 18-2-21 e 17-9-23); il fascino di queste località selvagge e impervie, dove la natura domina indisturbata e crea continue occasioni di meraviglia, cattura chi si mette in cammino con lo spirito giusto e lascia volentieri le pur splendide coste. La terra barbara e isolata, con la cattiva fama del banditismo, si è fatta sempre più ospitale e offre oggi tante opportunità in ambito eno-gastronomico, ricreativo, culturale, artistico di cui la ricca attività del Museo Nivola è solo un aspetto.
In copertina: La femme montagne.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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