Louise Elisabeth Glück. Nobel per la letteratura

Premio Nobel per la letteratura 2020 «Per la sua inconfondibile voce poetica, che con la sua austera bellezza, rende universale l’esistenza individuale».

Nata a New York il 22 aprile del 1943 da una famiglia di origini ebreo-ungheresi, è cresciuta in un ambiente culturalmente attivo. Lei stessa ricorda che da bambina il suo gioco preferito con la nonna era quello di far gareggiare e confrontare tra loro libri diversi. E fu proprio in famiglia che si innamorò della bellezza delle favole e della mitologia greca, ma è anche la famiglia, il conflitto con sua madre e l’anoressia, a segnare la sua vita, tanto da essere costretta ad abbandonare il liceo e, in seguito, anche gli studi alla Columbia University.

Foto di Louise Elisabeth Glück
Diploma del Premio Nobel di Louise Elisabeth Glück

Alternando periodi di fermento a depressione, grazie alla psicoanalisi, superò quei conflitti e quando il suo secondo marito, John Dranow, investì denaro in una scuola di chef, lei disse: «Mia madre era una cuoca spettacolare! Mi mancava il cibo e sono stata felice di riaccoglierlo nella mia vita». Divenne madre single, attenta e generosa col figlio Noha (che le ha dato due nipotine gemelle) rimasto l’unico, anche dopo un ventennio di vita col marito da cui poi ha divorziato.
Oggi insegna Poesia all’Università Yale di New Haven, Connecticut.

Il presidente Barack Obama consegna la National Humanities Medal alla poetessa Louise Elisabeth Glück durante una cerimonia nella East Room alla Casa Bianca

Autrice da tempo molto apprezzata in patria e all’estero, ha un cursus honorum singolare: Premio Pulitzer per la poesia (1993), Premio Bollingen per la poesia (2001), National Book Award (2014), poeta laureata degli Stati Uniti nel 2003, Nobel nel 2020.
Oggi viene collocata in una illustre e nobile stirpe di poeti e poete, tra le donne più grandi, accanto a Emily Dickinson, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Anne Sexton e Anne Carson.
Dal 1968 a oggi ha pubblicato quattordici libri di poesia e alcuni saggi.
L’ultimo, Ottobre, edito durante la pandemia in corso, contiene riferimenti alla tragedia dell’11 settembre a New York perché – lei dice – è normale che la scrittura risenta dei drammi che abbiamo vissuto e ci scaraventano nel buio del dolore, ma è importante il come sappiamo uscirne.

Fin dalla prima lettura, la poesia di Louise Glück porta a interrogarsi sul senso dello stare al mondo. In pochi versi raccomanda: «finché non si fa esperienza non si può raccontare nulla, per scrivere devi soffrire». E aggiunge, nel saggio Contro la sincerità, che il lettore è come Psiche: giace ogni notte con l’amato ma non lo conosce e una notte accende una candela per vedere chi c’è. Così chi legge si avvicina alla poesia con la candela in mano per scoprire chi c’è dall’altra parte.
La sua scrittura si nutre molto della mitologia classica e dei personaggi biblici, che sono per lei i pilastri a cui afferrarsi nel caos della vita e da cui attingere. Ad esempio, la figura di Achille nella silloge Il trionfo di Achille è un personaggio di grande umanità, che comprende la propria caducità di fronte agli Dei dell’Olimpo, e non si dispera.

I temi di fondo della sua scrittura sono quelli che nascono dalla vita realmente vissuta e, in specie, dal fallimento delle relazioni. Anche la forma presenta ripetizioni quasi ossessive, frasi spezzate, sincopate, segno della ricerca di profondità ed essenzialità espressiva. La silloge Iris selvatico ci trasporta in un giardino dove, mentre l’autrice dialoga coi fiori (l’iris, la rosa, il papavero rosso, il trifoglio, le margherite), ci racconta della sua famiglia e delle sue esperienze. Spesso il suo soliloquio col suo Io poi diventa dialogo con un Dio intimo, astratto, alcune volte severo, altre generoso.

Nel riferirsi a Adamo e Eva, «Quando vi ho fatti, vi amavo. / Ora vi compatisco» dice Dio. Alla fine è Louise che cerca un dialogo con il padre irraggiungibile fino alla sua risposta appena percettibile, in Tramonto. È come se parlando attraverso l’iris mettesse in luce la materia del suo poetare per darsi una nuova possibilità: ciò che torna dalla dimenticanza serve a ritrovare qualcosa.
Altra silloge tradotta in italiano è Averno (2006), in cui troviamo molti degli elementi già citati, ma centrale diventa il racconto dell’Ade e di Demetra con la figlia Persefone, e delle tante allegorie. Averno è un viaggio agli inferi, un percorso costellato da ciò che non è, caratterizzato da una costante sottrazione per giungere al nulla: «forse già il non essere basta del tutto, / per quanto sia difficile da immaginare». Qui c’è la vera poeta, nello scrivere ciò che è difficile da immaginare, ciò che è passato, presente e futuro, quel che resterà dopo la morte. Il percorso negli inferi è pieno di blu, di spazi neri, e in esso Louise fissa le tappe della propria esistenza e quella della sua famiglia: invoca il buio, del «non vedere» che è al contempo richiamo alla luce; il “ghiaccio”, emblema del «non sentire» per cercare di difendersi: «Cielo blu, ghiaccio blu, / strada come un fiume ghiacciato / stai parlando / della mia vita / lei mi disse».
Averno è dunque un viaggio nel buio delle dimenticanze e nel blu della cancellazione, descritto con frasi e punteggiatura sincopate, essenziali, cosa che si accorda con il continuo togliere dell’autrice in cerca dell’anima. Offre così un modello di comprensione per gli innumerevoli cambiamenti che costellano l’esistenza di ognuno di noi.

Con molta naturalezza e senza drammatizzare scrive: «la morte non può farmi male / più di quanto mi abbia fatto male tu / amata vita mia».
La silloge forse più nota è Ararat (1990).
Nella Bibbia, Ararat è il monte della salvezza di Noè. Qui Glück ripercorre con lucidità e durezza le relazioni che secondo Freud sono all’origine di tutti i traumi: quelle familiari. La vicenda che narra è quella di una famiglia, ma i protagonisti in realtà sono i membri della sua famiglia. Si trovano qui tutti i temi essenziali del poetare di Glück: l’esistenza, le ferite prodotte da sentimenti incoerenti, i grandi misteri, la vita, la morte, ma anche le prove da affrontare, il desiderio di amore e attenzioni.

Dallo sguardo d’insieme della sua opera (che include, oltre queste tre sillogi trattate, altre 11 pubblicazioni fino all’ultima Ottobre edita a marzo 2021) è palese che Louise Glück è veramente una grande Maestra nel raccontare l’animo umano e una grande poeta.
In una intervista fatta subito dopo aver vinto il Nobel ci regala la sua idea di poesia: «Quello che tento di fare nelle poesie è stupire me stessa e – mi auguro – anche il lettore» e aggiunge che quando si accorge che il lettore potrebbe procedere verso un finale immaginabile, lei cambia rotta, perché vuole che chi legge sia destabilizzato e provi meraviglia».
«La scrittura serve per mantenere lo stupore. La prima regola che insegno ai miei studenti di poesia è dividere le parti vive da quelle morte (che sarebbero i versi prevedibili), perché la poesia “viva” è quella che ti porta in un posto che prima non conoscevi».

Tordo

… per me penso che il mio senso di colpa significhi che non ho vissuto tanto bene.
Qualcuno con me non evade.
Penso che per un po’ dormi. Poi scendi nel terrore dell’altra vita solo che l’anima assume qualche forma diversa, più o meno
cosciente di prima, più o meno avida.
Dopo molte vite, forse qualcosa cambia.
Penso che alla fine quello che vuoi sarai in grado di vederlo.
Allora non hai più bisogno di morire e ritornare ancora.

Qui il link alla traduzione francese, inglese, spagnola e ucraina.

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Articolo di Giulia Basile

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Fondatrice della Sezione Comunale Avis di Noci (Bari) ed ex sindaca dello stesso Comune, si dedica con tenacia, da sempre, al difficile compito della formazione. Convinta attivista sociale, collabora con molte associazioni territoriali e nazionali. La creatività espressa in molte sue pubblicazioni di poesia e prosa e la cura nel trasmettere l’amore per la cultura sono il fiore all’occhiello del suo percorso.

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