È celebre l’episodio dell’Odissea nel quale Ulisse si trova in incognito alla corte dei Feaci. Quando un aedo cieco, per intrattenere gli invitati, inizia a cantare della guerra di Troia e delle imprese dello stesso Ulisse, l’eroe si nasconde il volto e piange. Il re dei Feaci, commosso dal pianto dell’uomo, chiede la sua identità e lui si presenta come Odisseo, figlio di Laerte.
Dall’episodio emerge che ogni identità, per essere riconosciuta come tale, necessita di un nome. Eppure, nei poemi omerici come nei romanzi contemporanei, ci sono identità di cui autrici e autori narrano le storie, pur non riconoscendo loro un nome. Queste figure non solo esistono, ma costituiscono un chi considerevole. Sono corpi di carta che abitano i libri con la forza delle loro storie. Non personaggi, non personaggi femminili, bensì personagge.
Questo termine è stato utilizzato per la prima volta da Maria Vittoria Tessitore durante una riunione del direttivo 2009-2011 della Sil (Società italiana letterate) ed è stato oggetto del convegno nazionale Sil a Genova, nell’ottobre 2011. Nei generi della grammatica italiana è prevista la possibilità della declinazione al femminile del termine personaggio, anche se si è sempre ovviato alla questione, preferendo le espressioni personaggi femminili o personaggi donna. Personaggia, dunque, è rimasta a lungo una possibilità latente, il nome per un chi dall’identità reale, sebbene subalterna al personaggio vero e proprio. Infatti, la desinenza al femminile mette subito in campo la differenza di genere, configurandosi come marca rispetto a un maschile considerato neutro. In un contesto del genere, sottolineare il femminile vuole essere un modo per liberarsi dalle catene di un maschile che si professa imparziale, ma che in realtà annulla al suo interno le diversità.
Le personagge sono in debito non solo con chi ha dato loro vita, autrici e autori, ma soprattutto con chi le ha sapute guardare per la prima volta, di fatto, riscoprendole: le lettrici. Le lettrici guardano le personagge e scoprono qualcosa di sé, delle loro identità in quanto donne. Tracciano così una genealogia femminile che permette loro di riconoscersi attraverso la conoscenza dell’altra, di quelle identità di carta, che prendono vita nella loro mente. Necessaria però per l’esistenza della personaggia è anche la persona che la concepisce. Il fatto che la personaggia nasca dalla mente di una scrittrice o di uno scrittore non è irrilevante. Il corpo che scrive, infatti, è sempre un corpo sessuato, perciò è importante tenere a mente il genere di chi scrive, poiché questo influenza la relazione che l’autrice e l’autore stringono con le loro personagge e personaggi. Così come l’atto di lettura per le donne non è stato qualcosa di naturale, ma una facoltà conquistata, allo stesso modo la scrittura assume un significato particolare nel momento in cui è un corpo di donna a scrivere. Quando scrivono, le donne si riappropriano di un femminile fino ad allora imprigionato negli stereotipi propri dello sguardo maschile, di una società che le veste dell’abito di figlia, sorella, moglie o madre.
Un’autrice che nei suoi romanzi declina un universo al femminile, composto da relazioni ed equilibri tra personagge in perenne movimento, è Alba de Céspedes (Roma, 1911 – Parigi, 1997). Nell’agosto del 1949 Mondadori pubblica il suo romanzo Dalla parte di lei. Nell’opera, de Céspedes affronta un dibattito a lei contemporaneo: l’ingresso delle donne nella magistratura; tema riguardo al quale l’autrice si era già espressa in una lettera di risposta al Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg, pubblicato nel 1948 sulla rivista Mercurio. Il romanzo, infatti, è un lungo racconto in prima persona nel quale Alessandra, la protagonista, narra, in un climax ascendente di sofferenza e frustrazione, una serie di eventi che la condurranno verso un ultimo gesto estremo: sparare alla schiena di suo marito, Francesco. Per questo motivo, nelle battute finali del romanzo troviamo Alessandra in tribunale, mentre subisce l’interrogatorio di una giuria di soli uomini, ai quali però le è impossibile spiegare le motivazioni che l’hanno portata a un gesto così estremo, perché, proprio in quanto uomini, non le comprenderebbero.
Fin dalle pagine iniziali, il romanzo si popola di personagge. All’interno delle mura del condominio in via Paolo Emilio, nel quartiere Prati di Roma, oltre ad Alessandra troviamo la madre Eleonora, Lydia e Fulvia Celanti (rispettivamente madre e figlia), la domestica Sista e la medium Ottavia.
Interessante è notare come Alessandra venga introdotta nella narrazione quasi fosse una protagonista scomoda, un’inquilina indesiderata nella pagina scritta. Nell’incipit, infatti, il primo personaggio citato è l’uomo del quale lei si innamorerà, Francesco Minelli, subito seguito da Alessandro, il fratello morto a soli due anni, del quale le viene imposto il nome alla nascita. Storia di un errore dunque, storia di una compensazione per difetto, in quanto controparte femminile del fratello morto, è l’inizio della vita di Alessandra.
Oltre al forte legame con il fratello mai conosciuto, nel romanzo la giovane è influenzata da due importanti figure, la madre Eleonora e la Nonna, che vanno a costituire una genealogia al femminile nel segno della quale si inscrive l’educazione sentimentale della protagonista.
Eleonora è una creatura fuori dal comune, la donna del mito, che fa vivere ad Alessandra l’infanzia sospesa in una favola. Votata al sogno d’amore, Eleonora riconosce nella sua sensibilità un sintomo di debolezza, debolezza che teme possa trasmettersi di madre in figlia, come fosse una malattia endemica. Stretta in un matrimonio infelice, dal quale però non può fuggire, Eleonora non vede altra soluzione che negarsi alla vita, pur di non vivere contro la sua natura. Nel suo gesto estremo è racchiusa la rivolta di una donna che non possiede nulla al di là del proprio corpo, corpo che non esita a sacrificare per liberarsi dalle catene del suo uomo.
Se da una parte Alba de Céspedes fa vivere nel romanzo Eleonora, personaggia stretta dalla morsa della dialettica forza–debolezza, dall’altra introduce una figura che ne è l’antitesi: la Nonna. Proprietaria terriera, la Nonna è una donna autoritaria, una matrona imponente, che governa non solo i terreni ma anche le persone che appartengono alla sua famiglia e che con lei vivono. La donna proviene da una genealogia di donne forti, che da sempre si sono imposte sugli uomini. Il privilegio di essere più potenti degli uomini per queste donne è derivato dalla consapevolezza che solo loro detengono il potere di tramandare la vita, potere che nella società contadina si afferma come il più importante. Non a caso, è proprio la Nonna l’unica personaggia a riconoscere la forza di Alessandra, che si spoglia dall’abito di debolezza e sofferenza ereditato dalla madre, e per la prima volta grazie allo sguardo della donna si vede forte.
Questo triangolo di relazioni, tra Alessandra, Eleonora e la Nonna, è solo uno dei tanti rapporti di forza, di spinte e controspinte al femminile, che muovono le personagge all’interno del romanzo. Ciò avviene perché nel narrare la storia di formazione di una donna, in questo caso di Alessandra, è inevitabile che si passi attraverso il racconto di molte altre identità femminili, ognuna delle quali rappresenta un possibile modo di stare al mondo per le donne.
Bisogna però riconoscere che, se non si scegliesse di fuggire dalla trappola del linguaggio nominando la personaggia, queste figure resterebbero sullo sfondo delle pagine dei romanzi. Nominare è un atto politico, necessario per riconoscere dignità a queste inquiline subalterne della letteratura, e muoversi dunque con maggiore consapevolezza nel campo della critica letteraria.
Qui il link alla tesi integrale: https://toponomasticafemminile.com/sito/images/eventi/tesivaganti/pdf/245_Quadri.pdf
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Articolo di Francesca Quadri

Laureata in lettere moderne, attualmente frequenta il corso di Editoria e scrittura alla Sapienza. Avida lettrice, si interessa di letteratura scritta da donne, con l’obiettivo di dar loro risonanza.
