La Casa delle donne di Milano è una fucina ininterrotta di eventi, corsi, iniziative culturali e artistiche… Lunedì 13 Novembre si è tenuto un recital con i testi e la narrazione di Giuliana Nuvoli e le musiche di Virginia Sutera.
Lo spazio, ricavato dalle aule della scuola civica messa a bando per le associazioni dal comune, organizzato per poter interagire con creatività ed empatia con piccoli tavoli e sedie sparse, è subito riempito dalle parole intense dei testi e della musica della giovane violinista, in una suggestiva interazione tra racconti e note di violino, che affascina e coinvolge. Risulta da subito evidente il feeling tra Giuliana e Virginia, consolidatosi nel tempo in un comune lavoro di ricerca, che traspone in commento musicale il messaggio delle figure messe in scena: una sorta di “raddoppio di voce” che fissa emozionanti storie di donne, ancora terribilmente vicine.


Giuliana comincia a scrivere per il teatro nel 2009 con un monologo su Ortensia e la prima orazione tenuta nel senato romano da una donna. Lo stesso anno nasce Dante a teatro, col quale porta in scena il poema dantesco e figure letterarie e temi sempre legati, strategicamente, al mondo d’oggi: l’arte è la lente migliore per comprendere il mondo in cui stiamo vivendo. La figura femminile è centrale in questo percorso che, anno dopo anno, sottolinea come proprio la donna sia l’anima vitale e la custode del genere umano.
Le donne di Manzoni sono nove monologhi di quattro donne della vita dello scrittore e di cinque figure protagoniste delle sue opere. La prima è Giulia Beccaria, la madre, motore della famiglia e demiurgo della storia di Alessandro; Giulia è a Parigi e scrive all’amica Charlotte, chiedendo notizie della sedicenne Enrichetta Blondel, che potrebbe essere un’ottima moglie per Alessandro e una figlia per lei. La seconda figura femminile è proprio Enrichetta Blondel, la prima moglie adolescente, chiusa in una vita severa tra gravidanze e malattie. Mancano pochi giorni a quel Natale in cui lei saluterà per sempre questo mondo: ne è consapevole, e il suo addio ad Alessandro e ai figli è pieno di malinconia e di una consapevole rassegnazione. Segue Teresa Borri, la seconda moglie colta, dispotica e ipocondriaca, che parla a pochi giorni da un parto in cui ha messo al mondo e subito perso due gemelline… e pensare che i medici ignoranti avevano diagnosticato il gonfiore del ventre come dovuto a un tumore! La quarta è Clara Maffei, padrona del più celebre e importante salotto dell’Ottocento milanese, che propiziò, nel 1868, l’incontro fra Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi: mondana, brillante, intelligente, Clara si avvale, nel suo monologo delle lettere che Manzoni, Verdi e Giuseppina Strepponi le avevano inviato.
A queste quattro figure femminili che appartengono alla biografia dello scrittore, seguono cinque personaggi tratti dalle sue opere. La prima è Ermengarda, dalla tragedia Adelchi, protagonista di un amore assoluto e senza speranza «tremendo amore è questo»; la figlia di Desiderio, ripudiata da Carlo, ottiene dal padre di ritirarsi in convento: e qui, in preda a un dolore squassante che la porterà nella tomba, chiede solo di essere sepolta vicino a Carlo, in modo che egli possa visitarla e, così, mantenere la sua memoria. La narrazione è toccante, e la voce di Ermengarda potrebbe essere quella di tutte le donne capaci di un amore incondizionato in cui la sofferenza crea ulteriore passione lasciando da parte rancori, desideri di rivalsa e di vendetta.
Agli antipodi si colloca la vecchia del castello, carceriera di Lucia nel XX capitolo del romanzo: la violentata e vessata per tutta la vita. La vecchia è emblema, come ricorda Giuliana Nuvoli, di coloro che hanno subito angherie dalla vita e non le sanno accettare accumulando rabbie e rancori: e la sua rabbia si sfoga anche contro quel Dio che ha provato a pregare e non l’ha mai ascoltata. È lontana, dunque, da Ermengarda così come dalla madre di Cecilia, emblema di tutte le madri che, di fronte alla morte del figlio, l’accettano con dignità e fierezza. Fra le righe, in questo testo, un’allusione a tutte le “pestilenze” dapprima negate e minimizzate dalle autorità e che, invece, poi dilagano seminando morte e distruzione.

Impossibile, in questo caso, non ricordare il magnifico commento di Virginia Sutera alle narrazioni: il “filato” del violino è un lungo lugubre ed emozionante gemito, affatto simile al pianto trattenuto della madre. Virginia è violinista eclettica, diplomata al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e specializzata all’Accademia Chigiana di Siena: in questo recital la sua improvvisazione si alterna con una base meditata e armoniosamente integrata coi testi di Giuliana.
I due ultimi personaggi sono i più famosi del romanzo: Gertrude e Lucia. Introducendo la monaca di Monza, Giuliana Nuvoli mostra come i meccanismi di violenza esercitati su di lei siano affatto simili a quelli ancor oggi in atto: il predatore/abusatore fa terra bruciata intorno alla sua vittima e la convince di essere l’unico che può salvarla: questo è stato il comportamento del padre di Gertrude (e prima ancora del principe di Leyva), causa prima della tragica vita della figlia. Gertrude, in questo monologo, è chiusa nella sua stanza, guardata da una megera che la controlla a vista. È sola, trattata da paria e sente che non riuscirà più a lungo a sopportare l’isolamento: cederà, acconsentirà a farsi monaca per non morire di disperazione: anche lei, come la vecchia del castello, ha provato a pregare Dio, che non l’ha mai ascoltata.
L’ultima figura è quella di Lucia Mondella, la giovane donna del popolo che, armata solo della sua innocenza e della sua fede, riesce prima a commuovere, poi a spingere alla conversione, un criminale di lungo corso e di indiscusso potere come l’Innominato. La voce di Lucia si alza nella grande, fredda stanza in cui è stata portata dopo il suo rapimento. Non comprende perché sia stata condotta in quel castello; vorrebbe sua madre vicina e ha un tenero pensiero anche per Renzo lontano… È impaurita, ma non disperata: la sua fiducia nel soccorso della Vergine è assoluta e fa voto di dedicarsi a lei e di dimenticare il promesso sposo. La sua fede riesce a quietare le paure e un sonno ristoratore prenderà il sopravvento. I monologhi sono intensi e appassionati e, soprattutto, potentemente legati al quotidiano di tutte noi. Sono voci che arrivano alla mente e all’anima con forte impatto e mostrano come le tipologie umane restino, nel tempo, immutate. Ma, al di là dei soprusi e delle violenze subite; al di là dei destini avversi e delle calamità naturali, emerge, sempre, la forza delle donne. Quella di Lucia, di Giulia, della madre di Cecilia, ma anche quella di una fragile Ermengarda, “vinta” in apparenza, ma capace di una passione tremenda, quella che – come Giuliana ricordava – temono gli uomini e teme il loro potere.
La figura di Manzoni esce, nei primi quattro monologhi, con una insolita carica di umana fragilità: le quattro donne scelte dall’autrice ne parlano con affetto e venerazione, avvicinando la sua figura all’ascoltatore. E la rilettura dei personaggi delle sue opere, frutto di un’attenta e rigorosa reinterpretazione, crea una galleria di donne da ammirare, compatire, ma sempre da comprendere.

Emozionante, ripetiamo, è stato il dialogo fra la narrazione e la musica: Virginia raccoglie il messaggio di queste storie e la sua musica lo interpreta con una intensità pari a quella delle parole. Un magnifico dialogo fra donne anche questo: da non perdere.
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Articolo di Maria Rosa Del Buono

Di formazione classica, filosofica, psicologica, iscritta all’Albo degli psicologi della Lombardia, sono stata docente dalla scuola secondaria di I grado all’Università e mi sono dedicata alla formazione docenti in ambito istituzionale e associativo, con particolare attenzione ai temi delle Pari Opportunità e della Differenza di Genere. Sono membro del direttivo della Casa delle Artiste.
