Le ragazze di Barbiana. La scuola al femminile di don Milani

Il 25 novembre scorso, fra le tantissime iniziative dedicate alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è svolto un incontro di notevole interesse, legato al tema in modo originale e significativo.

Il comune di Massa Cozzile (Pistoia), il circolo Arci di Margine Coperta e il coordinamento donne Spi Cgil Pistoia hanno organizzato la presentazione di un libro davvero illuminante che al numeroso pubblico ospitato nella saletta del circolo Arci ha aperto gli occhi e ha svelato un aspetto praticamente sconosciuto della nobile attività condotta da don Milani a Barbiana: il coinvolgimento nella sua famosa scuola di bambine e donne. Il volume è stato scritto da Sandra Passerotti, qui affiancata per una scelta di letture da Marisa Schiano, e si intitola Le ragazze di Barbiana. La scuola al femminile di don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, 2019.

L’autrice, prima di entrare nel merito, ci ha spiegato il perché e il come della sua ricerca, nata in modo quasi casuale; Sandra è una casalinga che ha il diploma di ragioneria e certo non pensava di diventare scrittrice in età matura, anche se le sarebbe sempre piaciuto. Nel 2016 tuttavia si era messa a riflettere sulla figura di don Milani e sul suo operato parlandone con il marito Fabio Fabbiani che ne era stato allievo. Era infatti successo che da ragazzo non fosse uno studente modello e fu bocciato senza poter prendere la licenza dell’avviamento professionale; il 16 giugno 1964 la mamma lo accompagnò a Barbiana, decisa a fargli completare gli studi. Don Milani li accolse e promise che l’anno successivo Fabio ce l’avrebbe fatta, intanto ebbero modo di verificare come si lavorava in quella scuola, dove si studiava 365 giorni l’anno, dove i grandi insegnavano ai più piccoli, dove si scriveva collettivamente e non si assegnavano voti, dove si praticava l’inclusione e si sperimentava di continuo. Quel giorno, ad esempio, si affrontavano alcuni articoli della Costituzione e ci si soffermava su ogni singola parola, cercandola sul dizionario per comprenderne esattamente il senso. Fabio, nel periodo in cui, con gli scarponi, la pila, il mantello, raggiungeva ogni giorno quel minuscolo borgo isolato in un bosco del Mugello, partendo all’alba e rientrando a buio, vide e provò di tutto, facendo esperienze illuminanti. Con il cannocchiale si osservavano i pianeti e le costellazioni, sui libri d’arte si “leggevano” nel dettaglio dipinti e sculture, nell’officina si imparava a maneggiare strumenti, si approfondivano le notizie grazie ai quotidiani, si studiavano le lingue: inglese, francese, tedesco, spagnolo. Se si presentava qualche personaggio esterno, se ne approfittava perché certamente avrebbe portato idee e novità, come quando, chissà come, arrivò un cuoco cinese che si mise a fare gli spaghetti tipici (e tutti li dovettero assaggiare). Il 6 gennaio è nevicato, quindi si va a sciare! Pratica utilissima in una località altrimenti irraggiungibile. Con la bella stagione, via nel vascone realizzato apposta per imparare a nuotare, visto che i corsi d’acqua nei dintorni potevano essere invitanti, ma pericolosi. Finita questa annata straordinaria Fabio naturalmente fu promosso. Dal dialogo della coppia venne fuori un libro, uscito nel 2017, intitolato Non bestemmiare il tempo. Dopo la morte improvvisa del marito e di un altro allievo di don Milani, Sandra incontra per caso una donna che si presenta come ex-allieva della scuola di Barbiana; si accende dunque una lampadina. Allora non c’erano solo “i ragazzi”, ma anche le ragazze e le educatrici! Da quel momento con una sorta di passaparola Sandra incontra una per una diverse donne, ormai anziane, che le hanno dato mille informazioni e hanno testimoniato questo aspetto di fatto ignoto e modernissimo della vita e della missione del priore.

Don Milani, è risaputo, veniva da una famiglia molto ricca, illustre e istruita; si chiamava Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti ed era nato a Firenze il 27 maggio 1923, quindi quest’anno se ne celebra il centenario della nascita; morì il 26 giugno 1967 a causa del linfoma di Hodgkin e si fece seppellire nel piccolo cimitero di Barbiana.

Tomba di don Milani

I suoi, agnostici e anticlericali, possedevano 24 poderi, case, terreni, automobili, ma anche opere d’arte, libri e reperti archeologici; le donne erano libere, emancipate, indipendenti, quindi per lui fu una scoperta dolorosa verificarne altrove le condizioni di sottomissione, ignoranza, miseria, sfruttamento, in famiglia e sul lavoro. Conosceva lingue moderne, come inglese, francese, tedesco e spagnolo, ma anche lingue antiche come ebraico e latino, pur essendo stato uno studente vivace ma poco diligente. Quando, durante la guerra, vivevano a Milano, si iscrisse all’Accademia di Brera perché amante della pittura, ma nel 1943, dopo la conversione al Cattolicesimo e aver ricevuto i sacramenti, entrò in seminario a Firenze. Ordinato sacerdote, nel 1947 fu mandato prima a Montespertoli, poi a San Donato di Calenzano dove si avvicinò a una realtà industriale e comprese subito la necessità di creare una scuola serale per lavoratori e lavoratrici. Qui apportò, come raccontano le testimoni Paola e Giuseppina, modifiche sostanziali alle usanze: ad esempio eliminò le processioni e pure le inutili conferenze che una nobildonna periodicamente dedicava alle donne locali, al contempo inaugurò l’uso dell’abito da comunione uguale per tutte le bambine, per non creare discriminazioni. Si stava organizzando per fare attività teatrale allo scopo di favorire la socialità e far stare insieme ragazze e ragazzi, quando, nonostante le proteste della popolazione e una raccolta di firme, la curia decise di mandarlo (come punizione per le sue idee ribelli e fuori schema) in un luogo talmente isolato che l’ultima parte di strada era sterrata: Barbiana, nel comune di Vicchio (Firenze), alle pendici del monte Giovi, solo qualche casa sparsa e una chiesa. Qui scriverà quel testo pedagogico straordinario che è Lettera a una professoressa (1967), qui nacque il suo motto: I care, contrapposto al qualunquismo fascista di “Me ne frego”, qui elaborò il suo pensiero relativo all’obiezione di coscienza che gli causò un processo, da cui nacque il libro L’obbedienza non è più una virtù (1965), mentre Esperienze pastorali (1958) fu ritirato dal commercio poco dopo la pubblicazione.

La realtà di Barbiana era veramente misera, si trattava di una frazione lontana e in totale abbandono, dove qualche possidente dettava legge, coadiuvato da un fattore imbroglione e profittatore. Ascoltiamo allora le testimonianze di Fiorella e di Roberta che, nella piccola comunità della scuola, avevano imparato a ragionare, a non chinare la testa, a difendersi e, pur ancora ragazzine, sapevano perorare i propri diritti contro le prepotenze. Il priore infatti raccomandava alle bambine di essere intelligenti, indipendenti, aperte di mente, e voleva che avessero un lavoro per contare su sé stesse. Se Fiorella ebbe il coraggio di rispondere per le rime al fattore, mentre il padre restava muto, Roberta a 15 anni entrò in fabbrica, sentendosi sicura, emancipata, più istruita delle compagne e presto si iscrisse al sindacato e partecipò alle lotte operaie. Graziella e Fiorella imparano, come tutti gli allievi e le allieve, il francese e il tedesco; Carla, che sa anche l’inglese, nel 1965 è la prima ad andare all’estero, a Londra, dove farà la ragazza alla pari, un’esperienza per l’epoca assolutamente eccezionale. Don Milani si preoccupa di farla arrivare in totale sicurezza e di farla poi rientrare in aereo; dal pubblico allora è stato chiesto all’autrice come era possibile reperire fondi, visto che il priore viveva nella massima povertà, sempre abbigliato con la sua modesta e usurata tonaca nera e gli scarponi ai piedi. Dobbiamo dunque aprire una parentesi tutta al femminile, a proposito delle donne adulte che gravitavano intorno a quella scuola e a quella esperienza umana e sociale, e smentire assurde voci sulla presunta misoginia del priore. Ci ha infatti spiegato Sandra Passerotti che credevano in questa realtà “alternativa” delle benefattrici generose, in particolare una della famiglia Cirio e una della famiglia Pirelli, sempre disposte a dare un aiuto concreto e a finanziare le spese extra. A Barbiana don Lorenzo fu poi supportato da una seconda mamma: Eda, che lo aveva seguito nell'”esilio” e lo accudiva materialmente, ma si occupava anche della cucina, dell’aula scolastica, delle mille esigenze di allievi e allieve, dell’ospitalità di chi magari si presentava all’improvviso in quel mucchietto di povere case. Insieme alla madre Giulia, è seppellita accanto al priore, a cui rimarrà vicina per sempre.

Lapide a Firenze

A Firenze naturalmente lo attendeva con amore la mamma, l’ebrea triestina Alice Weiss, allieva di Joyce e cugina di quell’Edoardo Weiss che introdusse in Italia gli studi di Freud. Fu fra le sue braccia che spirò a soli 44 anni, dopo aver tentato di rimanere il più possibile a Barbiana, nella sua comunità, per dare l’ultimo insegnamento: come si fa a morire.

Altre donne a lui vicine furono anche Adele, nel ruolo di insegnante, e Gina, una semplice contadina di grande saggezza, i cui consigli erano preziosi. È emerso poi un altro nome significativo, che meriterebbe un approfondimento: Fioretta Mazzei, di cui quest’anno cade il centenario della nascita.

Celebrazioni in onore di Fioretta Mazzei

Era nata infatti a Firenze il 26 settembre 1923 e dopo la laurea entrò in politica, come consigliera comunale della Dc, nel 1951, all’epoca del sindaco La Pira che le affidò importanti incarichi; più volte assessora, fu la prima in Italia all’assessorato alla Cultura. Rimase in Consiglio fino al 1995. Persona colta e dotata di spirito caritatevole, operò per il bene dei quartieri più poveri della città come l’Oltrarno e San Frediano dove realizzò un doposcuola per bambini e bambine bisognose. Salvò dalla chiusura l’albergo popolare che oggi porta il suo nome e fu persino disposta ad aprire la propria casa in città a chiunque chiedesse aiuto e quella di Vallombrosa a chi non poteva permettersi neppure un giorno di vacanza. Una figura del genere non poteva che essere vicina alle idee e alle attività del priore che invece le gerarchie ecclesiastiche osteggiarono in ogni modo, arrivando anche a minacce; si sa che il cardinale Florit non volle mai riconoscere le doti umane e la dedizione al prossimo di don Milani, mentre papa Francesco, come si ricorderà, è andato a pregare sulla sua tomba, il 20 giugno 2017.

«Tu sai che il mio scopo principale è di fare la scuola per le bambine piccole e queste sono 6 o 7. Voglio educarle in tutti i modi per farne delle figliole intelligenti, furbe, sveglie, capaci di difendersi, di guadagnarsi il pane, di mandare avanti la famiglia, ecc…» (da una lettera di don Lorenzo Milani a Eugenia Pravettoni del 23.7.1959).
Con l’emancipazione femminile e la consapevolezza maschile dei comuni doveri e diritti si contribuisce a combattere la violenza contro le donne: ecco come l’operato di don Milani costituisce ancora oggi un concreto esempio da seguire.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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