Annamaria Gremmo, classe 1981, è una medica libera professionista biellese e fotografa per passione. Vive e lavora a Biella, ai piedi delle montagne, con suo marito Marco e la sua amata e numerosa famiglia a quattro zampe, che chiama con affetto e orgoglio il suo Branco.
Da sempre appassionata di montagna e natura, si dedica alla fotografia naturalistica nelle sue varie declinazioni, con un’attenzione particolare per la grande causa della Conservazione sulle nostre Alpi, e dell’Africa dove ritorna appena può.
Ho avuto il piacere di conoscerla in occasione di una camminata in difesa del Vallone delle Cime Bianche in Val d’Ayas, organizzata da lei, da Marco Esse e Francesco Sisti. Il mio compagno di vita e cammini, Marco Peccenati, aveva già partecipato a una serata organizzata da loro, su invito del Cai di Milano, in difesa di questo luogo splendido. Il Vallone delle Cime Bianche è uno dei nostri «luoghi del cuore». Abbiamo la fortuna di frequentare la Valle d’Aosta da 20 anni e lo percorriamo con la stessa meraviglia in ogni stagione: ora è minacciato da un progetto scellerato di collegamento funiviario con la Valtournenche, che stravolgerebbe la bellezza dell’ultimo vallone selvaggio del Monte Rosa.
Da allora mi sono appassionata anch’io alla causa della sua difesa, che negli anni ha unito sempre più persone, sia della Valle d’Aosta che di altre parti d’Italia. Ho ascoltato lo slancio e la competenza di queste tre meravigliose persone impegnate nell’attivismo, nel corso di una serata organizzata nella sede della Sezione Cai di Melegnano di cui sono socia.

Foto di Marta Mocellin
Annamaria Gremmo è stata premiata, unica donna, con un grande riconoscimento: il Premio Marcello Meroni del Cai-Sem, dedicato a chi, in ambito montano, riesce a essere un esempio positivo. Il Premio Meroni è attribuito alle persone, o gruppi di persone, che si sono particolarmente prodigate con discrezione, dedizione, originalità, valenza sociale, solidarietà, particolari meriti etici e culturali e in modo volontaristico per la difesa e la promozione della montagna. La XV edizione del premio intitolato alla memoria di “Marcello Meroni” è stata promossa dalla Scuola di Alpinismo e Scialpinismo “Silvio Saglio” della Sezione SEM del CAI con il consenso e il sostegno della famiglia di Marcello e con il patrocinio della Scuola Regionale Lombarda di Alpinismo, del Comune di Milano, di Arcus dell’Università Statale di Milano e dell’Università della Montagna Unimont, in collaborazione con il Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano.
Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato a questa instancabile attivista per la Sezione Ambiente il 28 ottobre 2023, nella splendida sala Alessi di Palazzo Marino a Milano. Ascoltare il suo intervento, quel giorno, davanti a un uditorio attento e commosso da tanta passione è stata un’emozione molto forte. Come ha affermato Annamaria Gremmo nel suo discorso, del Vallone l’aveva colpita «da subito la sua immensità: un ambiente ancora integro, uno degli ultimi baluardi di wilderness montana, perché se la wilderness sulle nostre Alpi ancora può esistere e resistere seppur in spazi sempre più confinati, il Vallone ne è certamente simbolo. L’ultimo della Val d’Ayas a essere ancora privo di piste da sci, impianti di risalita, strade, strutture abitate, bacini per l’innevamento artificiale, nonché di qualsiasi struttura invasiva per l’ecosistema», una zona fino a ora preservata da quell’Assalto alle Alpi di cui ha scritto recentemente Marco Albino Ferrari.
Ho pensato di condividere con i lettori e le lettrici di Vitamine vaganti il bellissimo progetto di attivismo ambientale per il Vallone delle Cime bianche con questa intervista.

Come è nato il progetto fotografico di Conservazione dell’ultimo Vallone selvaggio “In difesa delle Cime bianche”?
Il progetto nasce grazie a una escursione di molti anni fa. Era il 28 ottobre del 2017 (veramente una bella coincidenza quella dell’assegnazione del premio a Gremmo proprio nella stessa data del 2023 n.d.r.) quando salimmo per la prima volta insieme nel Vallone Francesco Sisti (nostro carissimo amico e sensibile fotografo di montagna, nonché profondo conoscitore della Valle d’Aosta), Marco Soggetto (allora mio compagno e ora mio marito, autore di libri di storia, di guide sulla Val d’Ayas, la Valle che l’ha visto crescere) e io. Marco conosceva molto bene questo posto e si occupava già da alcuni anni di divulgare come meglio poteva, tramite il suo sito e la sua pagina Facebook Varasc.it, il grave pericolo che questo gioiello stava e sta tuttora correndo: una Zona di Protezione Speciale europea afferente alla Rete Europea Natura 2000, minacciata da un anacronistico progetto di collegamento funiviario volto a creare uno dei comprensori sciistici più grandi al mondo.
Quella salita ebbe il sapore di una vera e propria «chiamata». Il Vallone ci si presentò in tutta la sua unica e selvaggia bellezza: fu una folgorazione. In quella luminosa giornata autunnale lo percorremmo interamente e tornammo a casa consapevoli che avremmo dovuto fare qualcosa tutti e tre insieme per perorare la sua causa di Conservazione. Il nostro Progetto Fotografico L’ultimo vallone selvaggio. In difesa delle Cime Bianche nacque così, in maniera molto spontanea, con lo scopo di raccontare uno degli ultimi baluardi intatti delle nostre Alpi attraverso il grande potere comunicativo della fotografia.
Un’ultima roccaforte che, pur circondata da grandi comprensori, ha resistito indomita alla crescente, tracotante pressione e oppressione antropica che oggi, proprio nelle immediate vicinanze, ci spinge addirittura a usare ruspe sui ghiacciai morenti. Da quell’ottobre 2017 seguirono innumerevoli ritorni nel Vallone, in tutte le stagioni, anno dopo anno. Possiamo dire di sentirci ormai parte di quel luogo straordinario fuori dal tempo.
Come si è evoluto nel tempo il Progetto fotografico?
Fin dai primi reportage pubblicati a mezzo social, ci accorgemmo che molti erano interessati alla causa del Vallone delle Cime Bianche. Era un argomento che possiamo definire sensibile. L’intento, per noi sempre più importante e anzi urgente, era pertanto riuscire a raggiungere il più alto numero di persone, sensibilizzando e coinvolgendo l’opinione pubblica nazionale, esportando la causa al di là dei confini regionali valdostani, toccando le coscienze. In Conservazione questo viene considerato il primo e fondamentale step: si dice «to raise and spread awareness», far sorgere, aumentare e diffondere la consapevolezza su un determinato problema. Sapevamo che la strada che avevamo scelto di percorrere avrebbe presentato delle difficoltà, ma mai una volta abbiamo pensato di abbandonarla.
Il punto chiave fu iniziare a proporre serate fotografiche divulgative pro bono. Tenemmo la prima nel febbraio 2019 proprio a Biella, città mia e di Marco. L’auditorium quella sera era stracolmo, al di sopra di ogni nostra aspettativa. Ecco, quello credo sia stato un punto di svolta. Iniziammo a pubblicare articoli su varie riviste anche a diffusione nazionale, a ricevere richieste per replicare la serata in varie sedi del Club Alpino Italiano. Uscì qualche mese dopo il nostro libro, la prima monografia interamente dedicata al Vallone, totalmente autofinanziata, di cui Francesco e il grande Alessandro Gogna firmarono la prefazione.
Quali altre azioni di attivismo ambientale avete realizzato per coinvolgere l’opinione pubblica?
Abbiamo lanciato una petizione internazionale sul sito Change.org, che attualmente sta sfiorando le 20.000 firme certificate.
Abbiamo poi iscritto il Vallone a “I luoghi del cuore del Fai” e, con grande soddisfazione, nelle ultime due edizioni è arrivato addirittura primo nella classifica regionale valdostana, conquistando anche un ottimo piazzamento a livello nazionale.
Che cosa è cambiato in questi ultimi anni nel vostro impegno per il Vallone? Come si è arricchito il vostro Progetto?
Sono passati gli anni e il Progetto è maturato e cresciuto e noi con lui. Siamo sempre noi tre a portarlo avanti, con un bagaglio emotivo ed esperienziale sulle spalle sempre più ricco. Siamo arrivati alla ventesima serata divulgativa in giro per l’Italia: la passione e l’emozione nel presentare la causa del Vallone sono sempre le stesse, anzi, mi correggo, forse si sono amplificate con il tempo. Il Vallone è amatissimo, è sentito come un patrimonio di tutti e tutte, un Bene Comune alla cui integrità le persone non hanno intenzione di rinunciare. Questo sentimento è palpabile durante i nostri incontri pubblici, durante le partecipatissime salite pubbliche estive che organizziamo e che si tengono a Saint Jacques (punto di partenza per salire nel Vallone delle Cime Bianche lato Val d’Ayas) da tre anni a questa parte.
Qual è l’ultima azione di attivismo ambientale che avete organizzato?
Siamo giunti ad un ulteriore punto di svolta fondamentale quest’anno, con la raccolta fondi per la tutela legale del Vallone lanciata a maggio 2023, promossa dal Comitato che abbiamo fondato insieme a dei/delle coraggiose attiviste e attivisti valdostani, nostri cari amici e amiche. Lo abbiamo chiamato “Insieme per Cime Bianche”. Grazie ai fondi raccolti, ora è al nostro fianco una professionista di alto profilo, l’avvocata Emanuela Beacco, che si occuperà della difesa del Vallone con Sophia Mercuri, sua collega. Abbiamo avuto l’onore e il piacere di presentarle proprio il 29 novembre 2023 in conferenza stampa ad Aosta: il Vallone è in ottime mani.
A ottobre 2023 siamo saliti sul prestigioso palco del “Premio Marcello Meroni” per ritirare il riconoscimento per la Sezione Ambiente.
Io ero presente alla premiazione, in cui hai ottenuto anche il Premio del Pubblico. Che effetto ti ha fatto ricevere questo ulteriore riconoscimento, in una giornata in cui tra le persone premiate c’erano figure carismatiche e molto note, tra cui Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera?
Il Premio Meroni per me è stato un traguardo meraviglioso, condiviso, una gioia immensa. Un vero punto di ripartenza. Ma il Premio del pubblico è stata una sorpresa bellissima, una spinta a continuare nella nostra opera di attivismo ambientale.
Ci piace pensare che ogni persona, ogni associazione che ci supporta in questa battaglia ambientale sia parte attiva della nostra cordata, che ha come meta finale la salvezza del Vallone. Insieme è la parola simbolo di questa campagna di tutela ambientale, una parola forte, evocativa. Il cammino si fa sempre più erto, è vero, ma siamo assolutamente determinati e determinate a portare avanti la causa e a vincerla. Lo dobbiamo a tutti/e coloro che ci sostengono da anni, lo dobbiamo al Vallone cui abbiamo fatto una promessa.
Ho avuto modo di apprezzare il vostro libro fotografico e la bellezza delle immagini che contiene. Il libro però è anche ricco di parole di Maestri e Maestre come Rigoni Stern, Dian Fossey, John Muir, Emily Bronte e ogni fotografia è commentata con descrizioni accurate della montagna e della natura nelle loro varie forme, con un linguaggio che mi sento di definire “poetico”. Durante le tue serate in difesa delle Cime bianche parli spesso di “speranza attiva”. Vuoi spiegare bene perché hai scelto questa espressione e a che cosa ti riferisci?
Una delle mie più profonde fonti di ispirazione in questo lungo, impegnativo cammino per la tutela del Vallone è Jane Goodall, icona della Conservazione. Jane da sempre ispira generazioni di conservazionisti/e, di attivisti/e e lancia dei messaggi molto precisi a ciascuno di noi, alle nostre coscienze, invitandoci ad essere parte attiva di un cambiamento positivo, a fare ciascuno la propria parte, a decidere responsabilmente che tipo di differenza fare nel nostro personale percorso di vita per un mondo migliore. Si parla giustamente spesso di “cittadinanza attiva”, ma Jane formula un concetto ancora più articolato e profondo, parlando di Speranza Attiva. Per Jane la speranza non è qualcosa di astratto, è «una qualità che si può coltivare, una sorta di determinazione ostinata nel perseguire i propri obiettivi». La Speranza non è un’illusione, ma è «una scelta che si aggancia all’azione» una vera «strategia per agire, costruire un nuovo futuro».
É dall’azione supportata dalla Speranza che si può arrivare a una crescita in termini individuali, etici, culturali, sociali e quindi a un agognato cambiamento su ampia scala. Jane ci dice: «Hope, Act, Grow, Change».
Se non avessimo la Speranza di salvare il Vallone delle Cime Bianche, se non lo credessimo possibile, non avremmo potuto portare avanti tutte le iniziative di cui vi abbiamo parlato. Avremmo desistito, ci saremmo fermati forse molti anni fa. La Speranza invece alimenta tuttora e più che mai la nostra volontà di agire, ispira le nostre azioni per raggiungere un determinato risultato: la salvezza del Vallone delle Cime Bianche.

Jane Goodall è davvero una grandissima Maestra, oltre che una etologa e antropologa. L’esempio di una donna che può essere ispiratrice di altre donne, perché le donne che tracciano strade sono le strade per le altre donne. La sua frase mi fa pensare alla fine di quel film-documentario importantissimo, An unconvenient truth, con cui Al Gore sensibilizzò l’opinione pubblica sul tema del riscaldamento globale raccontando del suo attivismo per cui vinse il Premio Nobel per la pace insieme all’Ipcc nel 2007. Una serie di proposizioni che invitano a prendere parte, a impegnarsi, a essere parte della soluzione, da subito, quello che un po’ ci chiede l’articolo 2 della nostra Costituzione per poter cambiare in meglio il mondo, invitandoci alla responsabilità dovuta al nostro comune destino. Vuoi condividere con i nostri lettori e le nostre lettrici le parole di Jane Goodall che hanno tanto emozionato il pubblico in occasione del conferimento del Premio Marcello Meroni?
Ho concluso così il mio intervento, citando le parole di questa grande attivista ambientale: «Nel suo straordinario The Book of Hope, Jane scrive così:
‘Penso a tutti i luoghi che sono ancora selvaggi e bellissimi e che la lotta per salvaguardarli deve essere ancora più determinata.
E penso a tutti i luoghi che sono stati salvati grazie ad azioni comuni. Sono quelle le storie che le persone hanno bisogno di sentire: storie di battaglie vinte, di persone che ce l’hanno fatta perché non hanno voluto arrendersi.
Di persone che se perdono una battaglia, si preparano alla prossima’».
Tu sei una grande frequentatrice delle montagne. Quando è nata questa grande passione?
Ho ricominciato a frequentare la montagna dopo una lunga pausa, quando sono tornata a vivere a 35 anni nella mia città natale, Biella, lasciandomi alle spalle la grande città. Ho riscritto un intero capitolo della mia vita, abbandonando un percorso che sembrava ormai stabilito, ma che non mi calzava più e anzi mi era sempre più stretto. Karen Blixen scrisse che «Bisogna avere coraggio per essere felici». Qui, sulle mie montagne biellesi, ho conosciuto mio marito. Ho ripreso a camminare per sentieri con lui, ho iniziato a dedicare molto tempo alla fotografia, passione condivisa col mio compagno di vita che è anche compagno di fotografia. Fotografare è diventato il mio modo per raccontare la Natura, mia unica Musa. Mi ha aiutato per certi versi a riconnettermi con il mondo naturale, ponendo attenzione ai dettagli, insegnandomi a osservare. Nelle Alpi, come negli infiniti spazi africani che frequento appena posso con sincero senso di meraviglia, trovo scenari di ampio respiro che letteralmente ridimensionano la nostra figura umana, troppo concentrata su se stessa, malata di antropocentrismo. In entrambi questi ambienti, ricerco un dialogo autentico con i vari elementi naturali. Dico sempre che la Natura non ha mai smesso di parlarci: siamo noi a dover recuperare una predisposizione all’ascolto.
La frequentazione della Montagna, in tutte le stagioni, è per me esperienza di vita e allo stesso tempo una sorta di filosofia di vita. Ti insegna a rallentare quando necessario, ad ascoltare e apprezzare i silenzi più profondi, a prendere coscienza dei tuoi limiti, a rispettare certi ritmi. Quale maestra più grande e saggia potremmo avere?
Individuarsi riuscendo a essere se stesse/i, al di là delle aspettative di chi ci avrebbe voluto diverse/i è un compito difficile. Spesso le nostre scelte non sono capite. Ma seguire il proprio cuore e le proprie passioni è l’unico modo che abbiamo per fare emergere chi siamo e dare quindi il meglio di noi stesse/i alla società. E tu lo stai facendo on grande generosità. Vuoi raccontarci del tuo amore per gli animali?

Foto di Marco Soggetto
Abbiamo il grande privilegio di condividere il nostro cammino personale e familiare con i nostri cani. Quando raccontiamo che ne abbiamo sei, le persone a volte non ci credono. Vedono camminare me e Marco in montagna con sei cani al seguito e ci chiedono se siano davvero tutti nostri. Anche questa è stata una scelta di vita che ci rappresenta pienamente, una scelta forse anticonformista, certamente molto sentita, che ci ha permesso di esplorare il nostro mondo con occhi nuovi, da nuove prospettive. I nostri cani hanno tutti una storia, una personalità spiccata, unica. Nessuno di loro, ne siamo certi, è arrivato “per caso”. Abbiamo capito anzi che molto più spesso di quanto possiamo immaginare sono loro ad accudirci dal punto di vista emozionale ed emotivo, insegnandoci cosa voglia dire dedizione, amore incondizionato, purezza di spirito. Soprattutto ci riportano sempre all’unico tempo che davvero vale la pena vivere e su cui noi umani e umane facciamo così fatica a focalizzarci, angosciate/i dal futuro e incatenati/e al passato. Parlo del Presente. I cani, come in fondo gli animali tutti, sono anch’essi dei grandi maestri. Ci sentiamo molto fortunati ad averli al nostro fianco: sono il nostro amatissimo Branco.
Grazie Annamaria per il tuo impegno e per la tua passione. Il concetto di speranza attiva è bellissimo e mi ha fatto pensare a un libro, che mi è da poco capitato di leggere, della filosofa Giorgia Serughetti dal titolo provocatorio, La società esiste. In questi anni di individualismo esasperato, questa grande Maestra ci invita alla speranza e all’azione nel nome della solidarietà, parola bellissima che risuona spesso nelle vostre serate di presentazione del Progetto sulle Cime bianche, attraverso una parola preziosa, la parola “insieme”.
Arrivederci presto sui sentieri dell’Ultimo Vallone Selvaggio. Mi piace chiudere l’intervista, che è stata anche un bellissimo confronto tra donne che ha richiamato parole di donne, con la frase conclusiva del tuo intervento alla consegna del Premio Meroni: «Lunga vita al Vallone delle Cime Bianche e a tutte le sue meravigliose creature, che come noi hanno diritto di vivere e prosperare».
In copertina: Annamaria Gremmo al cospetto del Matterhorn. Foto di Marco Soggetto.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Eterna apprendente, le piace divulgare quello che sa. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.
