Nei primi anni di vita, trascorsi nella quieta bellezza di Porto Ceresio, sulla sponda italiana del lago di Lugano, il mondo femminile era per me sostanzialmente rappresentato da mia madre e da una sua amica, chiamata familiarmente zia Ninni, anche se non aveva legami parentali con la mia famiglia e se il suo vero nome era Hermine.
Ogni tanto – magari quando le donne di casa desideravano stare sole, o lo desideravano mia madre e mio padre, che ci raggiungeva da Milano il venerdì sera per poi ripartire il pomeriggio della domenica – venivo mandato in un’altra abitazione, decisamente più povera della nostra, dove venivo accudito da una donna della quale ho perso il nome, pur avendone ben presenti il viso e le fattezze, e dalla figlia di lei, grazie alla quale scoprii precocemente il rock&roll attraverso alcuni dischi, per me bambino fonte di novità e stupore. Anche là, lo ricordo benissimo, l’uomo di casa era spesso assente.
Ho capito, molti anni dopo, che quell’uomo di casa era violento e alcolizzato e che il resto della famiglia era sollevato dalla sua assenza; la moglie, non ancora anziana ma piegata dalla sofferenza e dalla fatica, faceva dei lavoretti per noi: un po’ di pulizie, delle commissioni, e il saltuario mio babysitteraggio.
Sradicato dal mio territorio e portato nella grande metropoli lombarda a cinque anni, in seguito alla riunificazione della famiglia, il mio orizzonte sul femminile è stato nuovamente ristretto.
Per la scuola elementare i miei genitori avevano scelto una scuola privata, con classi rigidamente separate: niente bimbe, tutti maschietti. Separate al punto che le bimbe erano collocate in un altro settore del complesso, perfino con ingressi diversi. Solo raramente, durante trasferimenti tutti compostamente in fila per due, capitava di incrociare un’analoga fila, quella delle bambine: quando capitava, io, puntualmente, portavo a casa una nota sul diario.
Non ce la facevo proprio a resistere.
Uscivo indisciplinatamente dalla fila, cercando con lo sguardo le trecce più a portata di mano. Fulmineamente ne tiravo una, prima che una mano severa mi bloccasse: a fare lo stesso con la seconda non facevo in tempo.
Mi dispiace di aver spaventato e, a volte, fatto piangere qualcuna di quelle bimbe, colpevole solo di mostrare, al mio sguardo, bisognoso in qualche modo oscuro di un rapporto con il femminile, l’irresistibilità di una treccia.
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Articolo di Roberto Del Piano

Bassista (elettrico) di estrazione jazz da sempre incapace di seguire le regole. Col passare degli anni questo tratto caratteriale tende progressivamente ad accentuarsi, chi vorrà avere a che fare con lui è bene sia avvertito.
