Himiko. La prima regina del Giappone

Tra il 189 e il 240, quando il Giappone era ancora suddiviso in piccoli regni tribali in continua lotta tra loro, visse Himiko, figura importantissima per il popolo giapponese in quanto fu la prima regina sacerdotessa del Paese. All’epoca l’arcipelago era conosciuto come “Terra di Wa”, ovvero “terra del piccolo popolo”, nome assegnatogli dai cinesi. È da loro che ci giungono le informazioni riguardo la regnante, citata in opere come La Cronaca di Wei e Storia dei Tre Regni; questo perché la scrittura nell’arcipelago nipponico iniziò a essere utilizzata relativamente tardi, intorno al 552 d.C. Di conseguenza, la sovrana non è una figura ben conosciuta all’estero e anche in Giappone è ancora avvolta nel mistero.

Quello che ci è dato sapere è che Himiko (lett. “figlia del sole”) visse nel suo palazzo senza mai entrare in contatto con l’esterno, servita da mille ancelle e un solo uomo, probabilmente un consanguineo, che faceva da intermediario tra lei e l’esterno.

Il regno Yamatai si colloca storicamente nella prima metà del III secolo, molto prima che le isole giapponesi diventassero un’unica entità politica; l’arcipelago era disseminato di centinaia di clan-nazioni collegati tra loro da confederazioni regionali. Quest’epoca è considerata sia nella storiografia che in ambito archeologico come una “era di transizione” tra i periodi Yayoi (300 a.C.-300 d.C.) e Kofun (250-538 d.C.), da qui la sovrapposizione delle date. Himiko governò su tale regno che, grazie a lei, fu il più prospero e potente tra tutti i feudi in cui era suddivisa la Terra di Wa.

La regina era molto apprezzata dal suo popolo; come viene riportato nei resoconti storici cinesi, fu scelta come sovrana e guida spirituale dopo anni di guerra tra le varie tribù dell’arcipelago, poiché a quel tempo le sciamane erano assai stimate nella religione popolare in quanto, secondo il proto-scintoismo dell’epoca, esse erano in grado di bandire gli spiriti maligni e comunicare con quelli benevoli. Inoltre, inviò i suoi diplomatici almeno quattro volte presso l’imperatore della Cina, che riconobbe la legittimità del regno di Wa e lo dichiarò amico della dinastia Wei attraverso il dono di un sigillo d’oro e oltre cento specchi cerimoniali di bronzo. D’altra parte, la regina durante una missione diplomatica donò all’imperatore cinese due pezzi di stoffa lunghi venti piedi e l’offerta fu ben apprezzata. Da questo possiamo dedurre che durante il regno di Himiko si era sviluppato un artigianato di alto livello.

A una prima analisi appare controverso il fatto che la donna venga menzionata in documenti cinesi e che non si parli apertamente di lei in quelli giapponesi come il Kojiki (composto nell’VIII secolo) e il Nihon shoki (terminato nel 720), tuttavia approfondendo la questione vi è una ragione ben precisa: studiosi e studiose affermano infatti che il silenzio nelle ricerche storiche riguardo alla regina di Wa fosse dovuto al fatto che, quando furono scritti i primissimi documenti, il Giappone volesse emulare gli ideali e le tradizioni patriarcali cinesi, quindi le donne di alto rango e soprattutto le imperatrici vennero automaticamente escluse dai protocolli reali. Nel frattempo, anche l’avvento del buddismo e del confucianesimo non aiutarono l’elevazione dello status sociale delle donne.

La figura di Himiko venne apertamente nominata nei documenti giapponesi nel periodo Edo (1600-1868), grazie al lavoro del filosofo e statista Harai Hakuseki e dello studioso Motori Norinaga. Tra i due nacque una delle controversie più antiche e accese dell’erudizione giapponese: dov’era collocato il territorio di Yamatai?

Hakuseki respinse le storie giapponesi ritenendole imprecise, sostenne la veridicità dei documenti cinesi e affermò che tale territorio si trovava nel cuore del Giappone, nella regione di Kyoto-Osaka-Nara conosciuta come la pianura del Kinai. Norinaga, d’altra parte, respinse le informazioni rinvenute dai documenti cinesi in quanto inaccurate, sostenne la veridicità dei racconti giapponesi, che collocavano Yamatai nel Kyushu settentrionale, e arrivò al punto di affermare che il regno di Himiko aveva semplicemente ingannato il governo cinese facendogli credere che fosse il clan dominante. Il punto di vista di quest’ultimo divenne prevalente nei decenni successivi, dall’era Meiji fino alla fine della Seconda guerra mondiale, perché durante tale periodo le domande sul reame di Himiko si intrecciarono con la politica nazionalista-imperialista dell’epoca: con l’imperatore consacrato come divino, il rifiuto delle antiche vicende giapponesi poteva essere visto come un attacco al sistema imperiale in generale. Per tale motivo alcuni/e storici e storiche che rifiutarono di conformarsi, persero tutto, in conseguenza delle leggi sulla censura. Uno di questi professori fu Naka Michiyo, che dal 1878 fino alla fine della sua vita criticò continuamente la cronologia delle storie antiche e confutò le affermazioni di Norinaga su Yamatai.

Nel dopoguerra, gli studi ripresero da dove Naka Michiyo aveva interrotto, scavando nei testi antichi e in vari siti archeologici. Tra il 1955 e il 1964, una serie di scoperte archeologiche accese il dibattito sull’ubicazione di Yamatai, incluso lo scavo di una tomba vicino a Kyoto con numerosi specchi di bronzo forse risalenti al III secolo. Gli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta furono testimoni di ciò che la stampa proclamò come un “boom Yamatai” quando il dibattito divenne un’ossessione nazionale tra le rivendicazioni per Kyushu e Kinai.

Nel 2009, archeologi e archeologhe giapponesi dichiararono ai media di tutto il mondo la scoperta della tomba della regina Himiko vicino la città di Sakurai, nella prefettura di Nara. L’aspetto del sepolcro trovato ricorda effettivamente la descrizione che abbiamo di essa nei documenti, i quali ci dicono fosse almeno cento passi di diametro, un tumulo di dimensioni senza pari per quell’epoca. La datazione al radiocarbonio permise di appurare che alcuni manufatti organici trovati in seguito a piccoli scavi appartenessero proprio al periodo del regno Yamatai. Tuttavia, la sensazionalità della scoperta fu frenata dalla famiglia imperiale giapponese che proibì di proseguire con le ricerche poiché, essendo Himiko un’antenata della famiglia reale, era severamente vietato secondo la legge riesumare i suoi resti.

Per quanto riguarda la posizione religiosa di Himiko, ella è una figura estremamente importante per il suo popolo poiché si ritiene che la struttura sociale del regno Yamatai fosse un retaggio del periodo Jomon (10000 a.C.-300 a.C.), in cui si veneravano divinità femminili e vi era una sacerdotessa ai vertici della gerarchia sociale e religiosa.

Himiko, dunque, è considerata oggi una kami, cioè uno spirito-divinità della religione shintoista, la cui esistenza testimonia che l’organizzazione sociale del Giappone delle origini aveva una struttura matriarcale, successivamente eliminata con il sopraggiungere dell’influenza religiosa e burocratica del continente. In altre parole, la posizione di questa regnante non era un’anomalia. Fu semplicemente la prima antenata rilevante all’interno di una forte tradizione di leader religiose femminili (sacerdotesse nello Shintoismo) e leader politiche (imperatrici) nella storia giapponese. Nel corso del tempo i ruoli delle donne potrebbero essere passati da iniziatori attivi ad assistenti sia nel regno spirituale che in quello secolare. Ma Himiko costituisce un brillante esempio che rappresenta simbolicamente molte altre donne (ora anonime), anch’esse leader delle loro comunità.

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Articolo di Chiara Ausilia Sicurelli

Laureata in Mediazione linguistica e culturale nel 2021 presso l’Università per Stranieri di Siena, frequenta la magistrale di Scienze linguistiche per la comunicazione interculturale presso la medesima università, con laurea prevista per il 2024. Specializzata in cinese e giapponese, si interessa di gender studies in Asia.

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