Mileva Maric nacque il 19 dicembre 1875 nella città serba di Titel, che all’epoca apparteneva all’impero asburgico. Era una bambina dall’intelligenza vivace e dai molteplici interessi. Il padre ben presto si rese conto della sua eccezionale intelligenza e le fornì un’istruzione di gran lunga superiore a quella delle donne dell’epoca; nel 1892 ottenne per lei dal Ministero della cultura il permesso di frequentare, senza tuttavia poter conseguire il diploma, un istituto superiore di fisica riservato agli uomini.

In seguito, per poter proseguire gli studi, la giovane ragazza decise di trasferirsi in Svizzera, dove le università erano aperte anche alle donne e quell’anno fu l’unica a superare gli esami di ammissione al Politecnico di Zurigo, la quinta fino a quel momento. Qui avvenne l’incontro che le avrebbe cambiato la vita: suo compagno di corso era Albert Einstein e fra i due giovani nacque subito una grande intesa, basata sulla comune passione per la fisica.
Albert e Mileva condividevano volentieri lo studio. Oggi diremmo che i loro stili cognitivi erano perfettamente complementari: lei, diligente e analitica, era bravissima in matematica e nella fisica sperimentale, lui originale, intuitivo e profondo, si sarebbe ben presto rivelato il genio che tutti conosciamo.

All’inizio del secondo anno, Maric decise di frequentare un semestre presso l’università di Heidelberg, a quel tempo una delle più prestigiose d’Europa nel campo della fisica. Qui seguì le lezioni del professor Lenard, che nel 1905 avrebbe ottenuto il premio Nobel per le sue ricerche sui raggi catodici, e si appassionò allo studio della teoria cinetica dei gas. Purtroppo, però in quella università le donne non godevano degli stessi diritti degli uomini e Mileva era stata ammessa solo come uditrice. Alla fine del semestre tornò a Zurigo senza alcun riconoscimento dei suoi studi in Germania e Albert la aiutò a preparare gli esami dei corsi del secondo anno, che lei aveva frequentato solo per un quadrimestre.
Nel frattempo, i due giovani si erano innamorati e avevano cominciato a progettare una vita in comune, ma il loro matrimonio era fermamente avversato dalla famiglia di lui, che impose ad Albert di non sposarsi prima di aver ottenuto l’indipendenza economica. Nel luglio del 1900 si tennero gli esami finali al Politecnico: nonostante gli ottimi voti di ammissione, non inferiori a quelli di Einstein, Mileva non superò l’esame finale. Senza perdersi d’animo, decise di tentare di nuovo l’anno successivo.
Per la giovane coppia di fisici cominciò un periodo molto difficile. Albert, pur ottenendo il diploma, fu l’unico del suo corso al quale non fu offerto un incarico accademico al Politecnico e passarono due anni prima di ottenere un impiego presso l’Ufficio brevetti di Berna.
La studente aveva tentato nuovamente di ottenere la sua laurea. Quando si presentò all’esame era incinta. Oltre che con i soliti pregiudizi di genere, ingigantiti dallo stato in cui si trovava, dovette fare i conti col grave senso di prostrazione che le procurava il rifiuto di Albert di sposarla prima di avere ottenuto un impiego sicuro. Fu nuovamente bocciata e rinunciò definitivamente a laurearsi. Di lì a pochi mesi nacque una bambina, che fu chiamata Lieserl e affidata a una balia: non si sa con certezza quale sia stato il destino. Forse fu data in adozione o più probabilmente morì di scarlattina nei primi anni di vita.
Finalmente, ottenuto l’impiego all’Ufficio brevetti, Albert e Mileva si sposarono nel 1903. Nonostante l’isolamento dal mondo accademico e l’impegno di lavoro a tempo pieno, per Einstein cominciò un periodo molto fecondo, durante il quale pubblicò una serie di articoli che rivoluzionarono la storia del pensiero scientifico. Nel 1905, spesso indicato dagli storici della fisica come annus mirabilis, Einstein, che aveva appena 26 anni, pubblicò i tre seguenti lavori:
Un punto di vista euristico sulla produzione e la trasformazione della luce, in cui si dava un’interpretazione dell’effetto fotoelettrico che dimostrava la natura corpuscolare della luce, per il quale nel 1921 otterrà il premio Nobel.
Il moto di piccole particelle sospese in liquidi in quiete, secondo la teoria cinetico-molecolare del calore, che per la prima volta, attraverso la spiegazione del moto browniano, dimostrava la validità del modello cinetico.
Poi, con Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento e L’inerzia di un corpo dipende dal contenuto di energia?, si gettavano le basi della relatività ristretta.
Durante questi anni Mileva collaborò strettamente col marito nei suoi studi. Ci sono varie testimonianze del fatto che ogni sera, nella cucina della loro casa e dopo una giornata di lavoro di lui all’ufficio brevetti e di lei nelle faccende casalinghe, i due elaboravano e sviluppavano quelle teorie fisiche su cui avevano meditato fin dai tempi dell’Università.
Non sappiamo con certezza quanto sia stato determinante il suo contributo, ma sappiamo lei accettò che fosse solo lui a raccogliere i frutti del lavoro comune. Ormai aveva definitivamente rinunciato alla sua carriera accademica: «Siamo entrambi una sola pietra», era solita affermare.
È probabilmente solo una leggenda il fatto che Einstein avesse difficoltà in matematica, ma è pur vero che più tardi, per elaborare la teoria della relatività generale, si sarebbe avvalso dell’aiuto di grandi matematici, come Grossman e Levi Civita. Certamente in quegli anni, nei quali il grande fisico gettò le basi delle idee che avrebbero rivoluzionato la fisica del ‘900, fu la moglie a fungere da “cassa di risonanza” per l’elaborazione delle sue idee.
In una lettera del 1903 scrive: «Ho bisogno di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici».
E in un’altra, rivolgendosi a lei: «Anch’io sono molto contento dei nostri nuovi lavori. Adesso devi proseguire la tua ricerca». E ancora: «Come sarò felice e orgoglioso quando avremo terminato con successo il nostro lavoro sul moto relativo! Quando osservo le altre persone, apprezzo sempre di più le tue qualità!».

Finalmente, nel 1910, Einstein ottiene una cattedra al politecnico di Zurigo. Ormai è diventato famoso, ma la sua unione con Mileva entra in crisi. Sarà un divorzio molto sofferto. Una delle clausole stabilisce che se Albert vincerà il Nobel, il premio in danaro andrà a Maric, e così avverrà nel 1921. Mileva dedicherà il resto della sua vita alle cure del figlio minore, ammalato di schizofrenia, e morirà di ictus nel 1948, all’età di 73 anni.
L’oblio nel quale è rimasta la figura di Mileva Maric per molti anni si è dissolto solamente dopo il 1986, quando nel caveau di una banca in California furono ritrovati una serie di manoscritti di Einstein, fra cui alcuni appunti su cui erano presenti annotazioni o correzioni scritte di pugno da lei, e una raccolta di lettere, fra le quali la corrispondenza fra Albert e Mileva nel periodo giovanile, che testimoniano non solo della passione che li univa, ma anche dell’abitudine a studiare e discutere di problemi di fisica insieme.
Non possiamo valutare il peso effettivo del contributo di Mileva al lavoro comune negli anni di Zurigo e di Berna. Probabilmente non sarà mai possibile, ammesso che abbia un senso chiederselo. Tuttavia, la biografia di questa fisica brillante quanto sfortunata è una testimonianza preziosa, perché dimostra quanto il cammino che hanno dovuto percorrere le donne che nel corso della storia si sono distinte come scienziate, sia stato disseminato di discriminazioni, pregiudizi, stereotipi negativi.
Queste difficoltà non sono solo un ricordo del passato. Sono ancora presenti, a volte in maniera più sottile, ma proprio per questo più subdola, a volte in modo del tutto palese. La memoria storica delle grandi donne della scienza, oltre a dimostrare che ogni donna ha le stesse potenzialità di un uomo, può aiutarci a riconoscere ed eliminare queste e ogni altra forma di discriminazioni.


Per saperne di più:
Einstein Albert, Maric Milena, Lettere d’amore, Torino, Bollati Boringhieri 1993.
Walker Evan Harris, Mileva Marić’s Relativistic Role, «Physic Today», febbraio 1991
Dinitia Smith, Dark Side of Einstein Emerges in His Letters, «The New York Times», 6 novembre 1996.
Ann Finkbeiner, The debated legacy of Einstein’s first wife, «Nature», marzo 2019.
Paolina Gagnon, The Forgotten Life of Einstein’s First Wife, «Scientific American», dicembre 2016.
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Articolo di Maria Grazia Vitale

Laureata in fisica, ha insegnato per oltre trent’anni nelle scuole superiori. Dal 2015 è dirigente scolastica. Dal 2008 è iscritta all’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF) e componente del gruppo di Storia della Fisica. Particolarmente interessata alla promozione della cultura scientifica, ritiene importanti le metodologie della didattica laboratoriale e del “problem solving” nell’insegnamento della fisica.

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