Sulla maternità basta, vi prego

Quanto affermato nel titolo è quello che mi è capitato di pensare negli ultimi tempi, a seguito delle dichiarazioni sulla maternità da parte di esponenti del Governo o di sue sostenitrici.
Tutto è iniziato con le affermazioni della senatrice di Fratelli d’Italia, Lavinia Mennuni: «[…] Devi ricordare sempre che hai l’opportunità di fare ciò che vuoi, ma non devi mai dimenticare che la tua prima aspirazione deve essere quella di essere mamma». Potremmo partire da questa frase per (ri)scrivere intere enciclopedie o antologie su quanto sia riduttivo credere di poter avere, in quanto femmine, solo una massima aspirazione e che questa debba coincidere, indistintamente per tutte, con l’essere madre. In effetti, di scritti e di esperienze in merito ce ne sono già tantissime; eppure, ci ritroviamo a dover ribadire che questo tipo di dichiarazioni restano inaccettabili.
«[…] non dobbiamo dimenticare che esiste la necessità, diciamo, la missione, […] di mettere al mondo dei bambini che saranno i futuri cittadini italiani […].  Dobbiamo aiutare le Istituzioni, il Vaticano, le associazioni, la maternità a diventare di nuovo cool, cioè noi dobbiamo far sì che le ragazze vogliano sposarsi e vogliano mettere al mondo famiglia, poi lo Stato verrà dietro». Praticamente, non appena scopriamo di essere femmine inizia la nostra missione: procreare. Tutto il progresso compiuto fino a ora non è che deviante rispetto al punto di partenza e di arrivo, secondo la senatrice, della nostra esistenza: la maternità. Cool perché non passerà mai di moda (nel senso che non riusciremo mai a superarla).

Com’è possibile che si continui a fare di tutto perché il nostro utero non resti inutilizzato? Lo Stato, anziché “andare dietro” alle donne con prole, dovrebbe andare ed essere avanti alle donne, avanti a tutte e tutti, per garantire quei diritti fondamentali, reclamati dalla nostra Costituzione, minati continuamente da politiche che puntano al ribasso.
La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di gennaio, ha ribadito: «[…] Sono Presidente del Consiglio dei ministri, sono forse la donna considerata, oggi, tra le più affermate in Italia e, se lei mi chiedesse cosa sceglierei tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e mia figlia Ginevra, io non avrei dubbi, come qualsiasi altra madre […] perché la maternità ti regala qualcosa che nessun altro traguardo ti può regalare». Ci chiediamo: se siamo in grado di comprendere che la Presidente Meloni può avere questa opinione, perché non si riesce, in generale, a comprendere che possono esistere madri con opinioni completamente diverse dalla sua senza essere, per questo, meno valide? La presunzione di credere che una madre non possa avere dubbi sull’anteporre l’esercizio della maternità a qualsiasi altra aspirazione è un insulto a tutte le donne che legittimamente scelgono l’autorealizzazione attraverso percorsi alternativi e molteplici. È evidente che resta ancora misconosciuto, o volutamente ignorato, il fenomeno delle madri pentite, di quelle madri cioè che, se potessero tornare indietro, non sceglierebbero di nuovo di diventare madri e che ammettono di averlo fatto per una serie di circostanze dettate anche dalle pressioni sociali. Inoltre, tra i traguardi che la maternità regala dovrebbero essere inclusi e menzionati pure i conflitti, interiori e non solo, di cui non si discute abbastanza, alimentati da affermazioni di questo tipo e per cui le donne vengono continuamente colpevolizzate.
«[…] Il concetto che io non condivido e non condividerò mai è che un traguardo debba toglierti l’opportunità dell’altro. Molto spesso […] ci è stato detto che le politiche per la maternità e per la natalità sono nemiche del lavoro delle donne. Non lo accetto. E il modello non sono io, si citava prima Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, sette figli; Roberta Metzola, Presidente del Parlamento Europeo, quattro figli. Si può fare, si può fare!».

Ci sono tanti punti che potrebbero essere contestabili, anzitutto le vite, e quindi le esperienze, non sono tutte uguali e non conducono sistematicamente agli stessi risultati. L’ascesa politica di Ursula von der Leyen ha suscitato non poche polemiche, anche nel suo Paese, poiché il continuo richiamo alla maternità come l’espressione del massimo successo di una donna richiama anche l’ideologia nazista. Oltre a essere madre di sette fra figli e figlie e a riconoscerle tutti i meriti derivanti dalle cariche politiche ottenute, non va dimenticato che appartiene a una delle famiglie più influenti della classe dirigente tedesca (è figlia del politico Ernst Albrecht) e che il titolo presente nel cognome ‘von der’ sta a indicare il titolo nobiliare acquisito con il matrimonio con Heiko von der Leyen. Possiamo quindi ipotizzare che la scelta di mettere al mondo sette figli non sia stata dettata esclusivamente da un’aspirazione: certamente ha potuto permettersi questa scelta indipendentemente da incentivi politici di tipo economico e sociale, cose che invece restano indispensabili per la stragrande maggioranza delle donne: sussidi economici o congedi parentali fanno la differenza.
Restando nell’ambito della carriera politica, nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia delle dimissioni di Francesca Dell’Aquila, assessora al comune di Monza. La motivazione principale fornita è che, non essendole stato concesso di partecipare alle sedute del consiglio comunale da remoto, non è riuscita a conciliare l’impegno della maternità con la carriera politica. L’assessora ha infatti una bambina di quattro mesi.

Nella nuova legge di bilancio è stato introdotto, in via sperimentale per il solo 2024, il “bonus mamme” per le mamme lavoratrici assunte a tempo indeterminato. Ben venga qualunque tipo di sussidio però siamo ancora lontane dal poter considerare queste azioni sufficienti a incoraggiare la maternità. Si calcola che questo incentivo riguarda solo il 6% del totale delle lavoratrici ed è rivolto alle mamme che hanno già un contratto in essere mentre è noto che la maternità diventa causa di riduzione dell’orario di lavoro, di sottoscrizione di contratti precari, di dimissioni e fuoriuscita dal mercato del lavoro. Oltre il sussidio di maternità, si potrebbero incentivare nidi gratuiti, estensione del tempo pieno scolastico in tutta Italia, obbligatorietà della scuola dell’infanzia, tutela legale in caso di separazione di coppie omogenitoriali, congedi parentali retribuiti al 100%, per dirne alcuni. In chiusura, non possiamo tralasciare le parole pronunciate da Maria Alessandra Varone, ricercatrice di Filosofia all’Università di Roma Tre, relatrice del convegno antiaborto tenutosi alla Camera dei deputati organizzato dal deputato leghista Simone Billi.
«La legge 194 attualmente, di fatto, concede più di quello che dichiara. […] Questa legge va effettivamente riscritta, però non in modo da estendere la possibilità di procedere con la pratica, ma di restringerla […]. Il caso di stupro è un finto problema […] non si tratta di un dilemma morale, perché in entrambi i casi non c’è uno che perde e l’altro che guadagna perché il feto perde e la madre guadagna. […] Nulla toglie che questo bambino poi possa essere dato in adozione, nulla toglie che questa madre poi possa non portare avanti la sua vita con lui, ma questo non la autorizza a ucciderlo perché di questo si tratta».
Parole che farebbero perdere pazienza e speranza a chiunque, soprattutto alle donne che hanno condotto innumerevoli lotte per ottenere il diritto di scelta sul proprio corpo e la propria vita.

A proposito della possibilità di poter affidare in adozione il feto, la diffusione del video delle telecamere dell’ospedale di Aprilia in cui viene ripresa una donna che lascia incustodito un neonato ci ricorda quanto la gogna pubblica sia sistematicamente attuata.
L’ultimo censimento dei consultori in Italia, risalente al 2019, evidenzia che negli ultimi 4 anni sono state chiuse 300 strutture.
Il titolo di questo articolo può ingannare, si tratta in realtà di una provocazione. La disperazione espressa nell’augurarsi che non si parli più di maternità, ci richiama semmai alla realtà di dover continuare a parlarne, al compito di «non abbassare la guardia, non si sa mai».

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Articolo di Michela Di Caro

Originaria di Matera, vivo a Firenze da 15 anni. Studente, femminista, docente di sostegno di Scuola Secondaria di II grado, fisioterapista libera professionista e mamma di tre piccole donne.

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