Femministe si nasce, e io nacqui!

La mia mamma diceva sempre: vedi passare una fila di maschi e in fondo c’è lei che corre!
Da piccola boomer ero quello che si definiva “un maschiaccio”.
Seconda tra due fratelli maschi da cui mi distanziano 18 mesi ciascuno, poi arriva l’ultimo fratellino quando avevo 11 anni, ma tante cose che abbiamo combinato, lui se l’è perse. Da piccoli abitavamo in una palazzina dove ero l’unica bambina tra tanti maschietti; quindi, per me era naturale giocare con loro.
La mia mamma cercava di esprimere le sue doti di ottima ricamatrice che ho poi apprezzato in età adulta, cucendomi bellissimi abitini e gonne ricamate… a cui rompevo l’orlo in modo maldestro per farmi mettere i pantaloni dei miei fratelli.
Ma la conquista dell’appellativo la femminista, è arrivata quando andavo alle medie.
L’invenzione della lavastoviglie è approdata in casa dei miei dopo che io ero già andata per la mia strada; quindi, prima i piatti si lavavano a mano.
Ci eravamo trasferiti in un paesino dove erano sorte decine di villette bifamiliari della cooperativa, in quella fase era vera edilizia economico/popolare e soprattutto molto basica: case semplici, strade larghe, famiglie numerose che si aiutavano a vicenda, un’auto per famiglia che usavano i papà per andare a lavorare e il sabato per fare la spesa con la mamma. La maggior parte delle mamme non aveva la patente.
La sera d’estate la strada senza traffico (i genitori erano tornati dal lavoro e se uscivano facevano un giro in bici) si riempiva di squadre di bambini e bambine che tracciavano coi mattoni i riquadri sull’asfalto e vai di partite a palla base finché non veniva intimato il rientro a casa con numerosi appelli dei genitori.
Per me quel paradiso ludico si apriva dopo aver finito di lavare i piatti, attività in cui mi alternavo a mia madre o a mio padre quando lei era di turno in ospedale.
E qui il lampo di genio: nei turni dei piatti dovevano essere inclusi i miei fratelli! Durante una cena ho presentato fiera la mia proposta che devo dire è stata accolta con una sola clausola: dovevo occuparmi io di scrivere i turni sul calendario perché i miei non ne volevano sapere di sedare liti quotidiane su chi avesse la sgradita incombenza!
Da quella sera e per anni, ogni mese ho compilato il calendario con la sequenza “P/M – D – L – A” e la turnazione ha sempre funzionato senza intoppi.
La pregevole iniziativa mi è valsa, da parte dei miei fratelli, l’appellativo di femminista, che vivevo con un certo (inconsapevole) orgoglio.

***

Articolo di Marialuisa Ravarini

Tecnica della prevenzione in materia ambientale, ho lavorato in Azienda sanitaria occupandomi di igiene edilizia, urbanistica e opere pubbliche; ora lavoro ai controlli ambientali delle attività produttive in Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Lombardia. Partecipo attivamente alla vita associativa melegnanese, dove ho esercitato la delega di Assessora ai Lavori Pubblici e Ambiente.

Un commento

  1. Sì, sicuramente “ci sei nata” e tuttavia, se capisco bene, in famiglia i piatti li lavava anche tuo padre; e avevi una mamma che lavorava fuori casa: una gran brava mamma, direi; e un bravo padre.

    Un orgoglio pienamente consapevole è un minimo sindacale. Complimenti.

    "Mi piace"

Lascia un commento