È uscito da poco nella traduzione italiana di Mariagiulia Castagnone (Garzanti, 2024) un libro difficilmente catalogabile in un genere, di cui tutta la stampa parla: Le figlie di Saffo (After Sappho), dell’attivista e critica letteraria americana Selby Wynn Schwartz; nata nel 1975, è docente di Scrittura creativa presso l’Università di Stanford, California, dopo un dottorato in Letterature comparate all’Università di Berkeley, attualmente residente a Palermo per la promozione europea del suo lavoro e per scrivere la sua seconda prova narrativa, ambientata nell’Italia meridionale.
Dichiara a Io Donna (23-3-24) di aver sentito l’esigenza di cimentarsi con questa materia «per sensibilità personale. Io sono una scrittrice transfemminista bisessuale» interessata a «esplorare i legami particolari che si sono instaurati tra queste donne e che sono rimasti più o meno nell’ombra». Afferma pure di trovarsi molto vicina al movimento italiano “Non una di meno”, di cui condivide pienamente lo slogan «Insieme siamo partite, insieme torneremo». Un’opera prima acclamata dalla critica, il migliore fra i libri dell’anno per il New York Times Books Review, inserito nella longlist del Booker Prize secondo The Guardian e The Independent, e si potrebbe continuare con giudizi entusiasti anche da parte del pubblico. Un romanzo (ammesso che sia la giusta definizione) necessario, originale, che riguarda le gesta di numerose pensatrici, artiste, scrittrici coraggiose, inserite nel cammino del femminismo perché rifiutarono le regole del loro tempo e lottarono per la propria affermazione. Troveremo fra queste pagine Virginia Woolf, Sarah Bernhardt, Gertrude Stein, Isadora Duncan e molte altre, partendo dal 630 a.C. e dal modello iniziale per tutte: Saffo, madre, sorella, amica. Colpisce fra i nomi eccellenti una presenza, praticamente ignota anche alle lettrici più attente: Cordula (Lina) Poletti, di cui l’autrice ha parlato in una recente intervista (la Repubblica, 22-3-24).

Intorno a questa figura ruota il libro, scritto alla prima persona plurale e, come vedremo, suddiviso in tanti frammenti, proprio come le poesie di Saffo giunte a noi, in cui realtà e fantasia si mescolano abilmente, in un arco temporale preciso: dal 1895, anno di nascita di Poletti a Ravenna, al 1928, anno in cui escono Orlando di Woolf e Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, che fanno scandalo. Poletti sembrerebbe una figura marginale, ma la scrittrice spiega di averla conosciuta affrontando la narrativa italiana del Novecento e di esserne rimasta colpita, sia per la scarsità di notizie su di lei, a cui si doveva in qualche modo rimediare, sia per i suoi intensi legami con Eleonora Duse e Sibilla Aleramo, delle quali fu amante e musa. Nella finzione letteraria Lina diventa antifascista, «un’attivista moderna. Un faro»; d’altra parte si sa che a Roma fu tenuta sotto osservazione dal regime insieme alla sua compagna di vita, la nobildonna e imprenditrice Eugenia Rasponi Murat, con cui condivideva l’interesse per le dottrine teosofiche e la filosofia. L’assenza quasi totale di uomini nel romanzo viene spiegata all’intervistatrice Clotilde Veltri con un po’ di cattiveria! Era l’ora che queste grandi donne parlassero di sé e da sole, senza interferenze maschili ingombranti, siano mariti, padri, figli o amanti. Esiste però un’eccezione: nel testo compare infatti Ibsen che svela il suo senso di colpa per aver “rubato” l’idea di Casa di bambola e del personaggio di Nora a un’amica dalla vita infelice, la scrittrice Laura Kieler che gli aveva sottoposto il manoscritto della sua biografia, da lui inizialmente rigettata, per farne in seguito il proprio capolavoro. In compenso vengono puntualmente ricordate le leggi che via via, dal XIX al XX secolo, hanno reso più difficile il cammino delle donne, costellandolo di nuovi pericolosi ostacoli da superare, o solo raramente hanno introdotto qualche mutamento significativo. L’ultima domanda a Schwartz riguarda l’evidente attenzione a figure femminili colte, famose, privilegiate, a scapito di quelle donne modeste che di fatto sono sempre state un pilastro della società e della Storia. L’autrice spiega di «non aver voluto inventare una figura magica che incarnasse quella diversità», ma ricorda di aver dedicato un intero capitolo, il 18, a una di loro: Berthe Cleyrergue, che adorava ballare e «che osservava tutto con i suoi intelligenti occhi verdi», tutta la vita cuoca, sarta e cameriera al servizio della scrittrice americana Natalie Barney, detta l’Amazzone, conosciuta nel 1927, e poi autrice lei stessa di una autobiografia, pubblicata solo nel 1980. «Gli altri ritratti sono intrecciati tra loro, questo capitolo invece è tutto suo».

Un altro punto che in varie occasioni viene rilevato, ad esempio nell’intervista di Alessandra Sarchi (Corriere della Sera, 3-3-24), riguarda la struttura corale dell’opera e l’utilizzo inusuale del “noi” che si spiega come il coro delle tragedie greche e che ha il potere di commentare e interferire negli eventi e nell’evoluzione dei personaggi, visto che molte giovani donne di cui si tratta scelgono in autonomia una loro strada artistica, oppure da lettrici appassionate e curiose diventano a loro volta narratrici, acquistando una voce propria. Immergersi nella lettura significa fare una esperienza del tutto nuova e richiede di abbandonarsi felicemente alla narrazione che, come dicevamo, unisce documenti, citazioni, racconti in una fusione di fatti realmente accaduti, di vite davvero vissute, di libri pubblicati con episodi inventati, con luoghi e personaggi rivisitati con la fantasia, iniziando proprio con Cordula Poletti, bambina irrequieta e originale. Di frammento in frammento, a cui fanno spesso compagnia i brevissimi versi a noi pervenuti di Saffo, incontriamo Rina Faccio, prima che diventi Sibilla Aleramo, alla cui gioventù violata fanno da contrappunto le novità introdotte in Italia dal Codice Pisanelli. È quindi la volta di Anna Kuliscioff, ricordata non solo per la passione politica ma anche per la sua laurea in Medicina rivolta soprattutto allo studio delle febbri puerperali e alla prevenzione delle infezioni dopo il parto, che all’epoca portavano via tante madri nell’indifferenza della classe medica, tutta al maschile. Un filo lega queste donne straordinarie con un’altra rivoluzionaria che fa una scelta senza ritorno: Nora, in Casa di bambola, e con la sua interprete per eccellenza: Eleonora Duse, mentre Cordula, divenuta Lina, fa un incontro fatale con Sibilla, ormai scrittrice affermata. Insomma i fili di intrecciano, si dipanano, si avvolgono e si collegano agli eventi storici, ai mutamenti sociali, ai convegni femminili, ai pregiudizi di Lombroso, alle inutili richieste del diritto di voto alle donne, mentre “noi” «vogliamo che la donna diventi umana, ossia libera, autonoma e attiva, quanto fu sinora soggetta, oppressa ed inerte», come scrisse Aleramo nel 1902. Così procede il libro, ma non si spaventino le potenziali lettrici: si tratta senza dubbio di una lettura per palati fini, per persone acculturate, per chi conosce la letteratura al femminile e ne sa apprezzare le mille sfumature, per chi ama la poesia greca, conosciuta magari sui banchi di scuola, all’epoca sbuffando… fra un aoristo e un accento sbagliato. Tuttavia le pagine scorrono veloci, senza pesantezze e lungaggini, grazie proprio alla struttura mossa, vivace, alla stesura rapida, persino ironica e al lessico volutamente non ricercato, chiaro e semplice. Si procede volendo saperne di più, cercando legami e indizi, trovando parallelismi, amicizie, personaggi nuovi che, a loro volta, creano nuovi agganci e richiami, in una sorta di grande, affascinante mosaico.
Proseguendo la lettura si incontrano figure originali, come il gruppo che fa capo a Parigi, con Natalie Barney, Renée Vivien, Liane de Pougy e l’irrequieta Eva, dai meravigliosi capelli lunghi come un manto, che incrociano le loro esistenze, le loro letture, i variegati amori in una sorta di idylle saphique; non possono mancare Sarah Bernhardt con le sue stravaganze, perdonate in nome della sublime arte, la danzatrice Isadora Duncan e ancora la nostra Duse, in varie fasi della vita. Via via scopriamo dettagli sulla citata Lina che ci ha incuriosito parecchio, per esempio sappiamo che, pressata dai genitori, trovò un marito compiacente, un gentile bibliotecario che morirà sepolto sotto le macerie e gli amati libri durante un bombardamento. Quando era ancora Cordula, viveva a Ravenna, proprio vicino alla tomba di Dante, amava recarsi per approfondire i propri interessi alla Biblioteca Classense, ma pure nei caffè letterari dove chiedeva di poter fumare e si presentava polemicamente annodandosi la cravatta; aveva tre sorelle “da sistemare” con il matrimonio, all’epoca problema non indifferente e, nonostante la famiglia non fosse particolarmente agiata, riuscì a frequentare studi classici e l’università a Bologna, compagna di corso di Pascoli, laureandosi nel 1907 con una tesi sulla poesia di Carducci. Dopo le relazioni tormentate con Aleramo e Duse, trovò con Eugenia Rasponi un rapporto stabile, durato un quarantennio, fino alla morte della contessa, avvenuta nel 1958. In seguito continuò a dedicarsi alla letteratura, alla critica, ma anche all’archeologia e alla causa dell’emancipazione femminile. Morì a Sanremo il 12 dicembre 1971. Volendo approfondire si raccomandano i saggi della studiosa Alessandra Cenni che in più occasioni ha indagato su di lei.
Così come Schwartz costruisce la sua trama, alternando luoghi e figure, queste donne nei primi anni del XX secolo cercano la propria strada, vogliono affermarsi, si scambiano lettere e messaggi, superano pregiudizi e ostilità, spesso affrontano con impegno lo studio della lingua greca per impadronirsi in prima persona della poesia di Saffo, riconosciuta modello di vita, di arte, di passione, di libertà, in cui identificarsi totalmente, nonostante dei suoi nove libri sopravvivano solo scarsi frammenti.

Quando l’azione si sposta a Capri, se possibile, si fa ancora più affascinante e fa emerge qualcosa a cui forse non avevamo mai pensato: perché Oscar Wilde si trasferì in Italia dopo la prigione? perché varie signore, appartenenti alla schiera delle «saffiste, invertite, tribadi, amazzoni, virago, attrici, delinquenti», come le Wolcott-Perry, vi si stabilirono? Semplice, perché il Codice Zanardelli «si era dimenticato di menzionarci», donne e uomini. Un altro luogo preferito sarà ancora una volta Parigi perché pure il Codice napoleonico si era scordato di noi, aggiunge Schwartz descrivendo creatività e gesti plateali di artiste come Eileen Gray e Romaine Brooks e una quotidianità fatta di letture, scrittura, cinema e teatri. Gli anni passano, però, arrivano nuove forme di progresso, come le automobili, ma pure tempi bui con le conquiste coloniali e ben presto la Grande Guerra, quindi il fascismo. «Con gran fretta si proclamò che non esisteva un solo omosessuale in tutta Italia; la razza italiana non l’avrebbe ammesso. In quell’ora virile c’erano soltanto uomini; ai loro piedi, supine, le donne italiane destinate ad amarli: amo dunque sono». Volgendo al termine, sulle pagine si susseguono nomi famosi e personaggi meno noti, che confondono i loro pensieri, le loro opere, le loro esistenze: Colette, Stein, Hall, Maud Allan, Sackville-West; scandali, processi, noie con la censura e i benpensanti, ma l’ultima parola del libro spetta a Virginia Woolf, che finalmente ha fatto stampare Orlando; è il 1928. «Un esperimento alchemico, un’autobiografia, un pezzo lungo tratto dalla vita del momento»? Romanzo, fantasia, manifesto? Ci si domanda. E così si conclude: «Ora chiudete la porta della vostra stanza e tentate voi stessi di scrivere la storia di Chloe e Olivia. Per prima cosa, cambiate loro i nomi, per sentire la storia come vostra».
In copertina: Selby Wynn Schwartz. Credit Shakespeare & Co, Paris.

Selby Wynn Schwartz
Le figlie di Saffo
Garzanti, Milano, 2024
pp. 264
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
