«Non rimango tranquilla in un luogo, sono in perpetuo movimento», scrive Ida Laura Reyer Pfeiffer in una lettera del 1852. L’esploratrice e geografa nasce a Vienna nel 1797 ed è conosciuta anche per essere stata la prima donna europea ad attraversare la parte interna dell’isola del Borneo. Fa parte di una famiglia numerosa e dedita al commercio, e riceve un’educazione simile a quella impartita ai suoi cinque fratelli maschi, nonostante fosse consuetudine del suo tempo riservare un trattamento diverso alle femmine. Disinteressata allo studio del pianoforte o al cucito, pratiche che cercarono di imporle, preferisce dedicarsi alla lettura dei racconti di viaggio e a immaginare luoghi lontani e sconosciuti. Nel 1810, tuttavia, le viene assegnato un istitutore per soddisfare la volontà della madre, che desiderava un’educazione più tradizionale per la sua unica figlia. Del precettore Ida si innamorerà, ma le verrà impedito di unirsi in matrimonio con lui. Solo a causa dell’insistenza materna, nel 1820 sposa l’avvocato Mark Anton Pfeiffer e descrive così questo periodo: «Dio solo sa quello che ho dovuto sopportare per diciotto anni di matrimonio […] Dovevo occuparmi di ogni cura della casa, soffrivo il freddo e la fame, lavoravo di nascosto per guadagnare qualcosa […]». Conduce dunque per molto tempo una vita ordinaria, adempiendo ai doveri imposti derivanti dal suo ruolo di donna, moglie e madre, rinunciando a coltivare le proprie passioni. Con la crescita di figli e figlie e con la morte del marito, cambia completamente vita: avviene ora la rinascita, la seconda esistenza che la porterà lontano, a spingersi sempre un po’ più in là. L’illuminazione arriva durante un viaggio di famiglia a Trieste, dove per la prima volta vede il mare e rintraccia dentro di sé il desiderio di viaggiare ed esplorare che aveva a lungo sopito. Nel 1842, all’età di quarantacinque anni, Ida intraprende il suo primo viaggio che la porterà in Terrasanta, probabilmente perché il pellegrinaggio era allora per una donna l’opzione di spostamento e l’itinerario più facilmente giustificabile. Da questa prima partenza fino alla morte, accumula più di 140mila miglia marine e circa 20mila miglia inglesi per via terra, diventando la più grande viaggiatrice del pieno Ottocento. Nell’arco di nove mesi discende in battello a vapore il Danubio, giunge in Turchia, Libano e Palestina, per poi proseguire verso l’Egitto attraverso l’istmo di Suez, Malta e Italia, che risale passando da Trieste. Questa prima avventura finisce in un diario di viaggio pubblicato l’anno dopo con il titolo Reise einer Wienerin in das Heilige Land (Viaggio di una viennese in Terra Santa). Nel 1845 è la volta di Islanda, Norvegia e Svezia a seguito di una preparazione in campo scientifico e linguistico, supportata dalle competenze geografiche che le erano state fornite dal precettore nominato in precedenza, Joseph Franz Emil Trimmel. Allo studio teorico Ida unisce uno sguardo intrinsecamente socio-antropologico, che le permette di indagare usi e costumi dei popoli che incontra e con i quali entra in contatto. Anche da questo viaggio scaturisce una pubblicazione, dal titolo Reise nach dem skandinavischen Norden (Viaggio nel nord scandinavo).

Il terzo viaggio la impegna da maggio 1846 a novembre 1848; inizia da Amburgo, arriva a Rio de Janeiro, doppia Capo Horn, giunge a Valparaiso, Tahiti, Macao, Hong Kong, Canton, Singapore, Ceylon, Benares, Mar Nero, Costantinopoli, Grecia, Vienna. Il diario di questo primo giro del mondo esce nel 1850: Eine Frauenfahrt um die Welt (Il viaggio di una donna intorno al mondo).
Ci sarà un secondo giro nel senso opposto della durata di quattro anni, da Londra a Città del Capo fino all’arcipelago della Sonda e al Borneo, Giava e Celebes, la California; il resoconto avviene in quattro volumi: Meine zweite Weltreise (Il mio secondo viaggio intorno al mondo). La porzione di viaggio che la vedrà attraversare ed esplorare le isole dell’Oceano Indiano e del Pacifico, rappresenta certamente una delle sue imprese più coraggiose e affascinanti. Partendo da Amburgo, infatti, si dirige verso l’Oceano Pacifico attraverso il Capo di Buona Speranza.
La sua prima tappa è l’Isola di Giava, la più grande dell’arcipelago indonesiano. Giava, con la sua ricca storia e le sue tradizioni culturali, offre a Ida Pfeiffer l’opportunità di esplorare città costiere come Batavia (l’odierna Giacarta) e le regioni montuose dell’entroterra tra cui i Monti Bromo e i Monti Dieng. Qui, ha modo di incontrare le tribù locali e di conoscere la vita quotidiana del popolo dell’isola, sviluppando un pensiero e un’analisi preziosa in merito a usi e costumi.

Da Giava si dirige verso le Molucche, un altro gruppo di isole indonesiane oggi considerato parte sia dell’Asia che dell’Oceania e noto per la produzione di spezie come il chiodo di garofano o la noce moscata. Visita le isole di Ternate e Tidore, situate nella parte settentrionale dell’arcipelago, immergendosi nei mercati locali delle città coloniali e nei villaggi indigeni di Ternateños e Tidoreños, abbracciando la ricca cultura delle Molucche. Successivamente, il suo viaggio la porta alle Isole Salomone, un arcipelago situato nell’Oceano Pacifico meridionale, a est della Papua Nuova Guinea. Ci parla di Guadalcanal, che oggi ospita la capitale Honiara, e Bougainville; anche durante la sua permanenza alle Isole Salomone, entra in contatto con tribù indigene e impara le loro usanze e tradizioni riguardanti caccia, pesca, agricoltura. Da lì, Ida Pfeiffer si dirige verso le spettacolari Isole Fiji, che comprendono oltre trecento isole vulcaniche nell’Oceano Pacifico meridionale e sono state oggetto di esplorazioni e colonizzazioni europee; esplora Viti Levu, Vanua Levu e Taveuni, oltre a numerose isole minori. Trascorre del tempo immersa nella cultura fijiana, partecipando a cerimonie tribali, osservando le danze tradizionali ed esplorando le bellezze naturali dell’arcipelago. È doveroso ricordare anche che durante il suo soggiorno nelle isole del Pacifico, Ida Pfeiffer affronta molte difficoltà, tra le quali le malattie tropicali e le tempeste in mare aperto. Nonostante le disavventure, riesce a completare il suo viaggio e a rincasare in Europa nel 1854. Al ritorno è ormai famosa e riceve anche riconoscimenti importanti da parte della Società geografica di Parigi, che ricordiamo essere stata la prima a consentire l’accesso alle donne. Proprio nella capitale francese si recherà nel luglio del 1856 per preparare un viaggio in Madagascar per il quale si imbarcherà e dove verrà coinvolta in un complotto contro la regina malgascia e in seguito espulsa. Torna a Vienna malata e lì muore nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1858; sarà il figlio Oscar a curare la pubblicazione, nel 1861, del diario dell’ultimo viaggio.

I riconoscimenti che la viaggiatrice ottiene in vita sono parecchi e tra questi si ricordano quelli di Humbolt, che attribuiva a Ida un importante merito nella divulgazione del sapere geografico. Sarebbe ingiusto non nominare però i numerosi ostacoli che incontra in quanto donna e le riflessioni che lei stessa sviluppa in merito, denunciando l’assurdità dell’esclusione del genere femminile da certi ambienti scientifici e accademici. Nonostante ciò, i suoi resoconti sono considerati come i più geografici della letteratura odeporica femminile ottocentesca, senza tralasciare, contestualizzando, i segnali contraddittori di eurocentrismo e razzismo derivanti dall’immersione nel suo ambiente di vita e nel periodo storico. Vi sono a tal proposito, tra le pagine scritte da Pfeiffer, alcune riflessioni molto interessanti: si alternano considerazioni definibili razziste ad altre che condannano proprio quel tipo di mentalità. Nel diario del secondo viaggio intorno al mondo scrive: «[…] Noi Europei, lungi dall’essere superiori a questi selvaggi tanto disprezzati, valiamo ancora meno di loro. Non è forse ogni pagina della nostra storia piena di misfatti, morti, tradimenti di ogni genere? Che cosa esiste di paragonabile alle guerre di religione in Germania e Francia, alla conquista dell’America, al diritto del più forte e all’Inquisizione? E anche in quest’epoca in cui siamo, forse, in apparenza, più educati e civili, siamo per questo meno crudeli? Con le teste sacrificate all’ambizione e alla sete di potere da moltissimi e famosi Europei potrebbero essere ornati, non poche e miserevoli capanne come quelle dei Dayachi ignoranti e barbari, ma i saloni di palazzi immensi. Quante migliaia di vite umane sono state immolate per soddisfare il desiderio di conquista dei grandi governanti! Non è forse la maggior parte delle guerre iniziata per appagare la cupidigia e l’ambizione di un solo uomo? Io sono veramente stupita di vedere come noi Europei osiamo lanciare anatemi contro i poveri selvaggi che uccidono i loro nemici come noi uccidiamo i nostri, ma che possono almeno essere giustificati dal fatto di non avere né una cultura né una religione che insegni loro la bontà, il perdono e l’orrore del sangue […]».
Tra le contraddizioni di una figlia del suo tempo, rimane il fascino di una donna che decide di rompere gli schemi e partire, iniziando una nuova vita all’insegna dell’indipendenza e dell’autodeterminazione.
In copertina: The Story Of Ida Pfeiffer, illustrazione (particolare).
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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.
