L’amicizia tra donne nelle arti

Si è tenuto venerdì 14 giugno presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università La Sapienza di Roma l’ultimo incontro del laboratorio Parlarne tra amiche organizzato da Sguardi sulle differenze, dal titolo With a little help from my girlfriends. L’amicizia tra donne nelle arti, moderato da Sara de Simone e Rita Debora Toti, in cui si è parlato dei rapporti di amicizia tra donne mediati dalle arti.

La prima a prendere la parola è Laura Iamuri con l’intervento: Noi invece pensammo di metterci a lavorare insieme: Carla Lonzi e Marisa Volpi. Iamuri afferma che gran parte del lavoro di ricostruzione del rapporto tra le due proviene dalla relazione personale tra lei stessa e Volpi, la quale, oltre che essere stata sua professoressa e mentore, le ha anche affidato il carteggio intrattenuto con Lonzi nella seconda metà degli anni Cinquanta, durante il loro periodo di formazione marxista.

Carla Lonzi e Marisa Volpi, 1957

Si erano conosciute all’Università di Firenze dove seguivano i corsi di Roberto Longhi, sotto la cui guida scrissero diversi articoli sul pittore realista Ben Shanh, all’epoca esposto alla Biennale di Firenze. Da questa prima collaborazione nacque una forte amicizia, testimoniata dalle lettere che ci hanno lasciato. Un rapporto non sempre alla pari: Volpi viveva a Roma e le sue esperienze nella capitale creavano in Lonzi il senso di trovarsi ai margini della contemporaneità ― fatto che la porterà poi a trasferirvisi. Poco tempo dopo la loro iscrizione al Partito comunista, in Lonzi emerse la volontà di realizzare una vera e propria inchiesta sulle donne a seguito della scoperta della loro “ignoranza ideologica”: un progetto in cui avrebbe voluto coinvolgere anche Volpi, prendendo come esempio l’inchiesta portata avanti dagli scrittori Cassola e Bianciardi sulle condizioni dei minatori della Maremma. Questo desiderio di voler lavorare assieme andava al di là dell’intesa politica: c’era una complicità tutta femminile tra le due che spesso non era compresa dai loro colleghi accademici, un’amicizia durata tutta la vita nonostante vari momenti di distacco. Volpi fu la prima a venire a sapere del progetto di Lonzi di dedicare un volume alle donne, e sarà sempre lei ad aiutarla anche attraverso lo scambio e la pubblicazione dei propri diari e riflessioni. Nonostante l’incomprensione derivante dalla radicalità del pensiero di Lonzi e dall’atteggiamento più contemplativo di Volpi, l’amicizia rimase salda, feconda e intensa.

Prende poi la parola Chiara Maciocci, con l’intervento: Chiamarsi e rispondersi oltre confine: Fabrizia Ramondino e Lea Ritter Santini. Quest’ultima è stata una germanista, traduttrice e comparatista attiva all’Università di Münster nella seconda metà del Novecento, conosciuta al pubblico italiano grazie al Taccuino tedesco della sua amica Ramondino, dove parla dei propri viaggi in Germania e sono riportate le storie sulla loro amicizia. Ritter Santini viveva la sua esistenza in Germania da straniera sradicata dal proprio Paese, una condizione che secondo Ramondino le permise di studiare la cultura tedesca ed europea da un osservatorio privilegiato.
Il tema dell’estraneità, del continuo sconfinamento da un luogo all’altro, è comune a entrambe ― Ramondino nacque a Maiorca e si spostò moltissimo, non riuscì a trovarsi mai del tutto a suo agio nella sua Napoli ― e le legò in modo indissolubile anche da un punto di vista intellettuale: Ritter Santini tradusse Artenopis di Ramondino, e Ramondino a sua volta tradusse la raccolta di poesie di Ritter Santini. Un’amicizia che rese più leggero il peso tragico di sentirsi un’eterna straniera.

Fabrizia Ramondino, foto di Augusto De Luca

Il successivo intervento è di Chiara Bellaveglia e Giacomo Evangelisti ed ha come titolo Reti di donne. Ricostruzione di un dialogo negato. Le donne hanno riflettuto sul proprio corpo attraverso i secoli, ma raramente questa riflessione è stata presa in considerazione dalla critica letteraria. Bellaveglia ed Evangelisti propongono la traduzione dal latino e dall’arabo di una serie di testi scritti da donne proprio su questa tematica, passando per tutta l’Europa.
La prima a essere citata è Wallada bint al-Mustafki, che scrive nella Spagna araba dell’XI secolo, figlia del califfo omayyade Muhammad III al-Mustafki e considerata una delle più grandi poete di Al Andalus. Donna coltissima, morì ultraottantenne senza mai sposarsi, desiderosa di mantenere l’indipendenza del proprio corpo; la deludente relazione con il poeta Ibn Zaydun le ispirò una serie di satire dove prendeva in giro la libera sessualità e la prostituzione maschili, ribaltando i topoi della satira misogina.
Trotula visse invece nell’Italia meridionale e oltre a essere un’intellettuale era pure una medica, professione in cui era talmente abile che pare avesse tra i suoi pazienti anche degli uomini; nei suoi testi emerge una forte polemica nei confronti di una cultura che non permetteva alle donne di affrontare gli inconvenienti legati alla loro biologia e alla necessità di educarle alla propria sessualità.
In Inghilterra Christina di Markyate cercò in ogni modo di vincere i vincoli ideologici della sua epoca: figlia di ricchi mercanti, rifiutò il matrimonio affermando di voler rimanere vergine tutta la vita; la sua ostinazione portò i genitori a pianificarne lo stupro, fatto che fece del suo corpo un campo di battaglia tra la sua volontà di avere autonomia su di esso e la pretesa dei genitori e del loro circolo sociale di controllarlo.

Cristina di Markyate nei Salmi di San Albano, 1120-1145


In Germania Ildegarda di Bingen, grande protagonista del misticismo medievale, scrisse su moltissimi argomenti, spaziando dalla religione alla filosofia, dalla medicina alla musica; nel Causae et curae analizzò la fenomenologia del rapporto sessuale, soffermandosi sulla descrizione del piacere erotico sia dell’uomo che della donna in aperta opposizione contro i naturalisti, che sostenevano che solo l’uomo dovesse provare un orgasmo.
In Francia visse Eloisa, famosa soprattutto per la sua storia d’amore con Abelardo, una relazione che ha messo in ombra la sua attività di filosofa e commentatrice; dal carteggio con Abelardo emerge con grande lucidità tutta la sensualità del loro amore, una reciproca attrazione che rifiutava la “riparazione” morale del matrimonio, perché avrebbe così perduto di spontaneità e passionalità. Cinque secoli prima di Eloisa visse nella Gallia altomedievale Baudonivia: sappiamo molto poco di lei salvo che fu una monaca e la sua agiografia di santa Radegonda è l’unico testo di mano femminile dell’epoca che non sia di natura epistolare; Baudonivia restituì un ritratto politico di Radegonda, della sua influenza e del ruolo di capa della comunità cristiana gallica, il cui corpo auto-martoriato venne paragonato esplicitamente a quello di Cristo.

Segue poi la proiezione del film documentario Smoke Sauna: spazi sicuri di sorellanza, primo lavoro della regista Anna Hintz uscito nel 2023, girato soprattutto all’interno di una sauna in Estonia. L’idea nasce nel 2015, quando Hintz si trovava con la madre in una sauna, una lunga tradizione familiare in cui decide di coinvolgere uno sguardo esterno attraverso la telecamera, rendendo chi guarda partecipe di conversazioni che avvengono in spazi per donne su argomenti come le aspettative sociali e familiari sul corpo femminile e il confronto con quello maschile, la malattia, il desiderio, il peso delle convenzioni.

Smoke Sauna – I segreti della sorellanza, 2023

Prende poi la parola Carla Subrizi con un intervento dal titolo Nel cuore delle relazioni. L’amicizia come pratica artistica. Che tipo di affettività mette in gioco l’amicizia? Che tipo di riconoscimento diamo all’altro o all’altra in questo rapporto? Subrizi ha avuto modo di vedere la mostra Maestras al Museo nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid, che ripercorre la storia della pittura europea dal Cinquecento fino al primo Novecento. Guardando le opere quello che più risaltava era che nei dipinti femminili c’erano quasi sempre gruppi di donne intente in varie attività, un tema che percorre la storia dell’arte attraverso i secoli e i diversi generi. È quindi possibile immaginare nell’arte dei rapporti che possano andare oltre la semplice influenza? Che dialogo possono intavolare due artiste che non si sono mai conosciute ma sono accomunate dalla scelta dei soggetti raffigurati? Subrizi ha deciso quindi di lavorare sull’amicizia in due modi: come ricerca di relazione tra amiche che diventa di affetti e come questi possano stabilire delle simbiosi e dei legami anche distanti; e se l’amicizia pur non vissuta possa essere individuata come eco a questioni che possono diventare importanti da interrogare. Cercando le somiglianze tra le opere è emersa l’importanza della biografia delle artiste, in cui spesso si trovano delle assonanze come problemi familiari o di salute.
La performance Whisper, The Waves, The Wind di Susanne Lacy coinvolse più di 150 donne al di sopra dei 60 anni, riunendole in una spiaggia e dividendole in piccoli gruppi attorno a dei tavoli bianchi come i completi che dovevano indossare, e dove furono invitate a parlare della propria vita mentre dietro di loro c’era un pubblico osservante.

Suzanne Lacy, Whisper, the Waves, the Wind, 1983-1984

Tra queste donne nacquero poi diverse amicizie che rimasero anche dopo la fine della performance: parlando tra di loro e senza che nessuno potesse ascoltarle, si aprirono l’una con l’altra e condivisero le esperienze di una vita. La performance metteva così al centro la possibilità di entrare in sintonia con l’altra e attraverso questo riconoscersi in aspetti nuovi.

Prendono poi la parola Marina Manfredi Selvaggi e Maria Giulia Prizzitano, creatrici del documentario A partire da Taci, anzi parla: cortometraggio sulle relazioni tra donne, che viene proiettato. Riprendendo il titolo del diario di Carla Lonzi Taci, anzi parla, le autrici hanno realizzato un cortometraggio in cui vengono intervistate delle donne con cui hanno intessuto dei rapporti personali, un’esperienza che ha reso concreto l’essere parte dell’esistenza di un’altra persona.

C’è poi l’intervento di Gabriella de Angelis: Nemiche, amiche, amanti nella letteratura della Grecia antica. Il tema del riconoscersi nello sguardo delle altre è presente anche nella letteratura greca, nonostante le relazioni tra le donne siano state poco studiate. Dell’epoca arcaica abbiamo principalmente le testimonianze di Saffo e Alcmane sull’importanza delle relazioni tra le giovani nella loro formazione: sappiamo che le ragazze di buona famiglia vivevano, prima del matrimonio, in delle piccole comunità ― la cui vera natura possiamo soltanto in parte comprendere ― sotto la guida di maestre dove imparavano, oltre che la musica, la danza e la poesia, anche la sessualità del proprio corpo sotto l’egida di una divinità, quasi sempre Afrodite. Nell’Atene del V secolo invece qualunque relazione femminile viene interdetta nel momento in cui le donne sono maritate, costringendole all’isolamento all’interno dell’ambito domestico e che trova momenti di rottura soltanto durante le festività religiose, in cui secondo gli uomini indugiavano in “comportamenti viziosi” come ubriacarsi e dare sfogo alla lussuria, come racconta Aristofane nei suoi testi Le donne alla festa di Demetra e Le donne all’assemblea ― in quest’ultimo lavoro le donne si travestono da uomini per poter governare Atene durante l’assenza dei mariti, impegnati nella guerra contro Sparta; tra le decisioni che vengono prese, c’è quella di mettere in comune i beni, tra cui sono incluse anche le mogli. Nell’immaginario maschile le donne isolate nelle loro case cercherebbero un qualunque pretesto per uscire e soddisfare i propri “bassi istinti” una volta che sono svincolate dal controllo patriarcale: il legame tra donne è visto quindi negativamente dalla letteratura greca antica; lo mostra anche Le baccanti di Euripide con il suo tragico finale, rappresentazione di un mondo femminile ideale che quando è contaminato dalla presenza maschile, che intende ricondurre la donna sotto il suo controllo, diventa pericoloso. Nelle tragedie che hanno al centro un’eroina ― come Medea e Ippolito (dove la protagonista effettiva è Fedra) sempre di Euripide ― essa si rivolge direttamente al coro, composto da popolane, e con esso condivide il dramma dell’essere donna costretta al matrimonio e la paura del parto. Un’altra figura che emerge nella letteratura greca antica è quella della nutrice, in cui si esalta la dimensione del dare il latte, il nutrimento, che spesso sembra più importante del mettere al mondo una nuova vita, simboleggiato dalla figura della levatrice. Due figure amiche delle donne e temute dal mondo maschile per gli “impicci” che possono attuare durante il momento del parto, da cui l’uomo è generalmente escluso.

L’ultimo intervento è di Giulia Proietti e Giulia Rosi, dal titolo Le donne di Elena Ferrante: attraverso la frantumaglia nelle relazioni tra amiche. “Frantumaglia” è un termine che indica la frantumazione dell’esperienza femminile fino a cancellare la soggettività, mediata attraverso il corpo. E proprio i corpi sono i protagonisti nella quadrilogia L’amica geniale, descritti in modo molto preciso nella loro crescita perché lo sviluppo incide particolarmente sulla relazione tra le due protagoniste: Lenù lo subisce come una violenza, soprattutto perché diventa centro dell’attenzione esterna e perché teme che possa assomigliare di più alla madre; Lila, invece, è più consapevole del potere che le sue nuove forme possono esercitare sugli uomini.

Lenù e Lila, le due protagoniste di L’amica geniale

La relazione con il corpo è specchio della relazione tra Lenù e Lila per tutto il resto della loro vita, specie durante il periodo della gravidanza, vissuto come un tormento dalla prima e come una rinascita dalla seconda. Un’amicizia ambivalente, che restituisce a chi legge un rapporto che supera l’usuale idealizzazione e l’istanza patriarcale e quindi la violenza, altro tema molto ricorrente nelle opere della scrittrice, descritta sempre con un linguaggio crudo. Lenù e Lila hanno un rapporto non convenzionale, un equilibrio basato sul fatto di essere agli opposti, sia amiche che nemiche. I loro ruoli sono costantemente ribaltati: Lila da dominante diventa succube e dipendente da una Lenù sempre più autonoma e libera. Mentre procedono con le loro vite, questo legame cambia: Lenù trova in figure adulte femminili ― figure con cui si crea un rapporto di interdipendenza, che alterna la paura di diventare come loro e il desiderio di essere da loro riconosciuta ― dei sostegni per perseguire i propri sogni, mentre Lila non riuscirà a trovare appoggi in famiglia o esterni; questa differenza di trattamento influisce sul modo in cui le due si riconoscono l’una nell’altra.

Rosi afferma a conclusione di questo ciclo di incontri: «L’amicizia tra donne che è stata finora attraversata dal laboratorio diventa strumento principale di lotta alla rivendicazione e alla propria soggettività femminile, che per molto tempo non ha visto luce e tuttora fa fatica a emergere, e come qualsiasi altra cosa va curata, rispettata nei suoi tempi, costruita sulla base di ideali comuni. L’amicizia, se esperita, ci rende consapevoli del dolore che può comportare ma anche della gioia che essa porta con sé. Attraversarla significa vincere i mali del mondo senza però doversi sottrarre ad essi. Come direbbe Simone Weil, desiderare di sfuggire alla solitudine è una viltà. L’amicizia non la si cerca, non la si sogna, non la si desidera, la si esercita. È una virtù».

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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