Dinah Washington

Dinah Washington, all’anagrafe Ruth Lee Jones, è stata una cantante statunitense di grande talento, indubbiamente considerata una delle voci più influenti nella storia del blues, tanto da venir soprannominata dall’opinione pubblica “The Queen of the Blues”. Tanto amata quanto criticata per via del suo carattere ostinato e della sua vivace vita privata, non si possono però negare le sue grandi doti artistiche e l’unicità della sua voce penetrante, capace di trasmettere forti emozioni e di adattarsi perfettamente ai vari generi musicali.

Dinah Washington anche nota come “The Queen of the Blues”

Nata il 29 agosto 1924 a Tuscaloosa, Alabama, la piccola Ruth trascorre un’infanzia che è molto lontana dall’essere spensierata: a causa della sfavorevole situazione socio-economica della popolazione afroamericana negli Stati del Sud e dei primi segnali della grande crisi che di lì a poco avrebbe interessato l’intero continente, quando ha soli tre anni la famiglia si trasferisce a Chicago, in cerca di una condizione meno precaria. Pochi i ricordi della cantante statunitense legati a quel periodo: un padre assente, dedito al gioco d’azzardo e privo di un’occupazione stabile, e una madre che, invece, è costretta a lavorare senza sosta per mantenere la famiglia.
Per questo motivo Ruth viene spesso affidata alla parrocchia, luogo che, soprattutto nelle grandi città, diventa centro di supporto e di assistenza per le persone bisognose. Qui, finalmente, la svolta: Ruth non è più sola. La Chiesa e la religione diventano un importante punto di riferimento, grazie al quale scopre quella che sarà la sua più grande passione: il canto. A soli dieci anni, infatti, fa già parte del coro della chiesa di St. Luke, dove diventa presto leader e pianista.

Dinah Washington: musicista poliedrica

Durante il giorno frequenta la DuSable High School per studiare musica con il famoso programma di Walter Dyett, mentre la sera si esibisce in svariati night club, esordendo con il suo nome d’arte: Dinah Washington. È un mondo in cui si butta a capofitto e che l’accoglie a braccia aperte: a diciotto anni debutta ufficialmente al Garrick Stage Bar di Chicago e viene notata dal manager Joe Glaser. Costui la presenta a Lionel Hampton, noto direttore d’orchestra e protagonista del jazz degli anni Venti e Trenta, che presto la sceglie come vocalist.
Nel 1943 Dinah Washington ― nome con cui, ormai, è univocamente conosciuta ― firma un contratto con la casa discografica Keynote e comincia a incidere i primi pezzi, affiancata da Hampton stesso, che ne scrive i testi, e Leonard Feather, critico musicale e storico del jazz, ma anche brillante musicista e arrangiatore. Dopo tre anni, per un breve periodo, decide di voler incidere da solista con l’etichetta Apollo Records, allo scopo di esplorare nuovi generi. Spostandosi quindi verso il rhythm and blues, comunemente chiamato R&B, sale in cima alle classifiche con brani come I Love You Yes I Do e It’s Too Soon to Know.

Dinah Washington e l’inizio della carriera da solista

È però lasciando l’orchestra di Hampton ed entrando nella prestigiosa Mercury Records nel 1948 che raggiunge il grande successo: con l’incisione di una strepitosa versione di West Side Baby, seguita da numerosissime reinterpretazioni dei più prestigiosi brani dell’epoca, scala qualsiasi classifica e diventa un’icona in tutti gli Stati Uniti. Secondo la critica, il miglior periodo jazz di Dinah Washington è quello che va dal 1954 al 1958, anni in cui si esibisce con i migliori musicisti del panorama musicale del tempo. Risale a questa fase, tra l’altro, la canzone Teach Me Tonight, premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1999.

Dinah Washinton: dal blues al pop
Dinah Washinton: dal blues al pop

È del 1958 la sua trionfale esibizione al famoso Newport Jazz Festival, resa celebre in seguito al documentario che ne è stato tratto, vincitore, per giunta, degli Academy Awards.
In ogni caso, il più grande successo di Dinah Washington è senza dubbio la canzone What a Diff’rence a Day Makes, pubblicata nel 1959 e premiata come miglior performance R&B con il Grammy Award. L’album omonimo segna il passaggio dal blues al pop e, nonostante le critiche di chi snobba questo genere, è uno dei più venduti. Sull’onda della raggiunta popolarità, l’etichetta discografica esercita enormi pressioni sulla cantante per la continua pubblicazione di nuovi brani, e per un repertorio necessariamente meno impegnato e più commerciale.

Dinah Washinton: icona di stile
Dinah Washinton: icona di stile

Alla fine degli anni Cinquanta, Dinah è ormai un’artista affermata e una sex symbol per la popolazione afroamericana, ma è anche uno dei bersagli preferiti della stampa gossip dell’epoca per via della sua burrascosa vita privata: sette matrimoni, sei divorzi e numerose relazioni non ufficiali non passano certo inosservati. Mentre il pubblico continua ad adorarla, i rapporti di lavoro con l’etichetta discografica e con colleghi e colleghe sono sempre più tesi per via del suo carattere forte e volitivo.
Accumulata una grande fortuna in pochi anni, specialmente per l’enorme sfruttamento della sua voce da parte della Mercury ― che la costringe alla sconsiderata quantità di 444 incisioni durante il periodo del contratto ― Washington si lancia nel mondo dell’imprenditoria musicale e acquista alcuni locali ad Harlem.
Se nel 1961 l’estenuante contratto con la Mercury giunge al termine, le morbose attenzioni della stampa sulla sua vita privata non accennano affatto ad attenuarsi. Segue per la cantante un indispensabile periodo di pausa e di riflessione, con l’intento, tuttavia, di ritornare sulla scena già l’anno successivo. Purtroppo però, le pressioni sopportate negli anni precedenti, sia a livello lavorativo che a livello mediatico, l’avevano costretta all’assunzione di ansiolitici e medicinali anoressizzanti, danneggiando drammaticamente la sua psiche.
L’idea di tornare in quel mondo che tanto la affascinava da bambina, però, ora la terrorizza: inizia a soffrire d’insonnia e a prendere sempre più medicinali, spesso in abbinamento all’alcol. È proprio un letale mix di pillole dietetiche e alcol a causare l’overdose che le toglie la vita a soli 39 anni, a pochi giorni dal Natale 1963.

Qui le traduzioni in inglese, francese e spagnolo.

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Articolo di Chiara Giacomelli

Laureanda in Management presso l’Università di Pavia. Ama le cene in compagnia e leggere un libro che la tenga incollata fino ad addormentarcisi sopra. Ha tanti sogni nel cassetto, ma non sa da quale cominciare… perciò per adesso si limita a “fare la fuorisede” e a scrivere la tesi, sempre in compagnia delle sue cuffiette, da cui non si separa mai, e di una tazza di tè fumante.

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