Memorie d’artiste. Cinquant’anni dopo. Lina Arpesani

Il 9 giugno 1974, esattamente cinquant’anni fa, a Milano, ci lasciava la scultrice Lina Arpesani. Lunga vita la sua e piena di gratificazioni.
Con la sua arte, rispettosa delle forme e dei valori morali tradizionali, ha contribuito a promuovere l’attività artistica femminile.
Rachele Arpesani, detta Lina, nasce a Milano nel 1888 da una famiglia colta e agiata; si iscrive nel 1905 al corso di pittura dell’Accademia di Brera. Si perfeziona anche nella scultura, genere d’arte quasi precluso a una donna, preferendolo alla pittura, e frequenta lo studio di Eugenio Pellini, tardo scapigliato lombardo: da lui Lina apprende a scalpellare il marmo, fondere il bronzo, modellare il gesso, cuocere la creta. Attraverso l’insegnamento di Giuseppe Graziosi, docente di Plastica all’Accademia di Brera, si aggancia al filone di Medardo Rosso e di Auguste Rodin, artisti antiaccademici, che plasmavano l’argilla in modo da farla sembrare carne vera.
I suoi temi prediletti sono tratti dalla realtà degli affetti, legati al mondo dell’infanzia, alla figura femminile, alla maternità, sono ritratti capaci di cogliere semplici, ma fondamentali sentimenti.

Autoritratto – Lina Arpesani
Testa di bimbo (sin) – Saluto militare (centro) – Testa di giovane ragazza (dex) – Lina Arpesani

Alla sua maestria tecnica, all’attenzione ai dettagli, all’uso sapiente della luce e dell’ombra si accompagna una sensibilità poetica rara. La materia sembra vivere, respirare, raccontare storie. In un’epoca dominata dal clamore del postmodernismo, Arpesani riesce a far dialogare l’antico con il contemporaneo, creando opere che sono al contempo classiche e innovatrici.
Esordisce alla Famiglia Artistica di Milano nel 1909 e vi continuerà a esporre ancora per dieci anni; è presente alle più importanti manifestazioni artistiche del periodo, al palazzo della Permanente di Milano e all’Esposizione Internazionale Femminile di Torino. Entra nell’Associazione Femminile per l’Arte, un sodalizio milanese che ha lo scopo di promuovere l’attività artistica delle donne. Nel 1912 sorge il milanese Lyceum, sodalizio culturale gestito da donne, promosso dalle signore dell’alta borghesia milanese. Al suo interno s’istituisce la Federazione Artistica Femminile Italiana, in cui Lina, eletta consigliera, dimostra grande attitudine come organizzatrice e animatrice di eventi. La Federazione, infatti, promuove e realizza esposizioni riservate alla creatività femminile, e già nel primo anno della sua fondazione, il 1914, organizza una mostra dove sono esposte quaranta opere di sei artiste, cinque pittrici e l’Arpesani, unica scultrice, che propone figure di donne e di bambini.

Fratellini, (sin) – Due bambini che leggono, (dex) – Lina Arpesani
Maternità (sin) – Sorrisi (centro) – Le due madri (dex) – Lina Arpesani

La mostra riceve molte recensioni positive, durissima invece quella di Margherita Sarfatti, critica d’arte e protagonista della vita culturale del tempo, che definisce assurda l’idea di separare l’arte maschile da quella femminile, per costruire un “vagone per sole signore”. «Che cosa significa questa separazione? Le donne che vogliono combattere e seriamente, strenuamente affermarsi accanto all’uomo in tutti i campi della vita e dell’arte, è bene che escano, una volta per sempre dal gineceo. Ogni manifestazione intellettuale femminile che escluda la competizione maschile si affibbia per ciò solo, di fronte al pubblico, di una manifesta patente di inferiorità. Le donne che hanno coscienza del proprio lavoro e del proprio valore, non temono di cimentarsi accanto agli uomini; le altre stiano a casa» 
Lina accetta la sfida e partecipa alla Biennale veneziana del 1920 con un altorilievo di sottile erotismo Il Vincitore, definita dal critico d’arte Vittorio Sgarbi “gruppo in marmo di Madre e Amore”; lo stile non è più scapigliato, e non si sente nemmeno più l’eredità del realismo di fine Ottocento, ma più netti sono l’influenza della plasticità di Rodin e il Richiamo all’Ordine imperante nel dopoguerra, venato di simbolismo.

Il Vincitore – Lina Arpesani

Parteciperà ad altre due edizioni consecutive della Biennale, nel 1922 e nel 1924.
Le sue opere cominciano ad aprirsi alle suggestioni della plastica d’oltralpe, quando nel 1925 partecipa all’Expo di Parigi, dove le viene riservata una sala; e successivamente organizza personali a Liverpool, a Londra e a Parigi. Recepisce un rinnovamento nell’arte scultorea, secondo linguaggi più liberi, influenzati da artisti francesi come Aristide Maillol, scultore folgorato dalla statuaria greca, Émile-Antoine Bourdelle, e il belga George Minne, che si rifanno ad un arcaismo di origine greca, e gotico-romanica, ma assorbe anche stimoli nazionali, che provengono da scultori come Libero Andreotti e Lucio Fontana.

Busto di donna (sin) – Mattino (dex) – Lina Arpesani
Cavallerizza (sin) – Il nido (dex) – Lina Arpesani

Comincia a liberarsi degli insegnamenti appresi, della scapigliatura, del medardismo, del simbolismo e del plasticismo di Rodin, e trova un suo stile, sintesi di tutte le esperienze vissute. Negli anni Trenta è componente dell’Associazione Nazionale Fascista Donne Artiste e Laureate (ANFDAL), sezione di Milano; l’associazione, nata nel 1926, equiparata come sindacato femminile a tutti gli altri sindacati, raccoglie, per la sezione Donne Artiste e Laureate, un numero sterminato di pittrici e scultrici su tutto il territorio nazionale.
Nel 1933 collabora a un progetto per una scultura monumentale che deve rappresentare La Vittoria fascista, e utilizza un materiale sperimentale, l’anticorodal, una lega di alluminio e argento. La espone alla Triennale milanese, e riceve le lodi di Mussolini. A quest’opera, la Dea alata della Vittoria, in postura chiasmica, verrà tolto nel dopoguerra il fascio littorio, che, invece della palma e dell’alloro, reggeva con la mano sinistra.

La Vittoria fascista – Lina Arpesani

La lega anticorodal sarà da lei utilizzata anche nelle opere successive, come una Testa femminile, e la Venere mattutina, dove è riproposto anche il chiasma policleteo. Lo stile a cui approda l’Arpesani è il linguaggio del Quattrocento italiano, quello di Donatello, Andrea del Verrocchio, Arnolfo di Cambio. E lo scultore a cui ora si sente più affine è Arturo Martini.  

Testa femminile (sin) – Venere mattutina (dex) – Lina Arpesani

Vince il concorso per la decorazione della tomba della scrittrice Anna Radius Zuccari, in arte “Neera”; la scultura, già eseguita nel 1921, viene collocata sul sepolcro, originariamente posto nel Cimitero Monumentale di Milano, poi traslato nel Famedio.

Scultura sulla tomba di Neera – Lina Arpesani

Attraverso le sue sculture Arpesani comunica un mondo interiore ricco di sfumature. Le sue figure umane, quasi sempre femminili, trasmettono emozioni precise, e coinvolgono lo spettatore in un dialogo intimo e profondo. Uno degli elementi distintivi del suo lavoro è proprio la capacità di estrarre l’essenza dei soggetti raffigurati. Le sue sculture non si limitano a riprodurre la realtà, non sono mai semplici rappresentazioni, ma interpretazioni, visioni che rivelano una ricerca costante della verità interiore, e questo rende il suo lavoro estremamente affascinante e profondo.
Intanto arrivano i riconoscimenti: nel 1934 è eletta presidente del Lyceum milanese, nel 1935 è socia onoraria della Royal Academy of Arts al Burlington House di Londra, e socia onoraria dell’Accademia di Londra; riceve la medaglia d’oro alla Triennale di Milano e le viene conferito il Grand Prix alla Esposizione Internazionale di Bruxelles, dove espone una trentina di opere.
Durante la guerra divide lo studio a Milano con una vecchia amica, la scultrice Thea Casalbore, che morirà a Parigi qualche anno dopo, e sperimenta nuovi materiali e nuovi soggetti. Un incendio, in seguito ai bombardamenti del 1943, distrugge lo studio. Nel dopoguerra si dedica a temi sacri e dal 1951 riceve l’incarico di insegnante di Plastica ornamentale all’Accademia di Brera e ottiene la cattedra di Plastica decorativa all’Istituto Statale d’Arte di Napoli.

Mater gaudiosa – Lina Arpesani

Pur rimanendo saldamente ancorata alla tradizione, Lina Arpesani non ha mai avuto paura di sperimentare. L’uso di materiali diversi e una costante ricerca di nuove tecniche hanno permesso alla scultrice di innovare senza mai perdere di vista le radici della sua arte. Questo equilibrio tra tradizione e innovazione è uno degli aspetti che rendono il suo lavoro unico e riconoscibile.
Dal 2 al 13 aprile 2008 le è stata dedicata una mostra nella sua Milano.
Dall’ 8 Marzo 2024 al 23 Marzo 2024, sempre a Milano, alcune opere dell’Arpesani sono state esposte in una mostra collettiva “I tempi delle donne. Nella bella pittura del Novecento”, in cui il tema era la figura femminile ritratta in diverse pose, misteriosa, seduttiva, fragile e al contempo forte, nelle diverse stagioni della vita, dalla giovinezza alla vecchiaia.

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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, pubblicato da Nemapress nel 2021, una storia dell’arte tutta al femminile, dalla preistoria ai nostri giorni.

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