«La terra ha risorse sufficienti per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di tutti»
Gandhi
Chi vive nella parte privilegiata del mondo non si rende conto della sua fortuna. Leggere il Rapporto di Amnesty International sui diritti umani in Africa sub-sahariana serve a ricordaglielo e ad agire per rimediare in qualche modo, ognuna e ognuno «con il proprio pezzettino», come diceva Teresa Sarti, alle tante ingiustizie che vi sono perpetrate, cominciando in primo luogo a informarsi e poi diffondendo informazioni su quello di cui si è venuti/e a conoscenza, a scuola e non solo.
Abitare certi luoghi significa correre il rischio di essere ucciso e uccisa illegalmente, stando nelle proprie case e nei propri villaggi, da civili, o mentre si è a scuola e nelle strutture sanitarie. Tra i tanti attacchi riportati dalla ong per i diritti umani ricordiamo quello avvenuto nella Repubblica Democratica del Congo dove i gruppi armati hanno ucciso più di 1.800 civili o nella Car (Central African Republic) dove i gruppi armati e le forze governative hanno ucciso più di 100 civili. In Nigeria — ricorda il Rapporto — gli attacchi compiuti da Boko haram, che finora avevano interessato prevalentemente il nord-est del paese, durante l’anno si sono estesi ad alcuni stati del centro-nord e del nord-ovest. Boko haram, la Provincia dello Stato islamico in Africa occidentale e uomini armati non identificati hanno ucciso almeno 6.907persone. La violenza sessuale sulle donne è in queste circostanze un “effetto collaterale” dato quasi per scontato, con tutte le conseguenze psicologiche, oltre all’offesa fisica che resterà incancellabile, come ricordava a proposito delle “marocchinate” la Madre Costituente Maria Maddalena Rossi, per le quali non è previsto alcun supporto alle vittime. Amnesty International invita le parti in conflitto a proteggere i civili e a facilitare l’accesso sicuro e senza limitazioni all’assistenza umanitaria per la popolazione a rischio.
Qualche progresso però si intravvede anche nella Regione: la ong a tutela dei diritti umani riferisce di condanne e processi che hanno finalmente garantito il diritto a verità, giustizia e riparazione per le vittime civili dei tanti soprusi subiti in alcune zone dell’Africa sub-sahariana.

I diritti economici e sociali, già scarsissimi in questa area del pianeta in cui prioritario è il diritto al cibo, sono stati ulteriormente negati. L’invasione russa dell’Ucraina ha interrotto le forniture di grano, i prezzi del carburante sono aumentati, come i prezzi dei beni alimentari. L’insicurezza alimentare è stata aggravata dalla siccità. In Angola, Burkina Faso, Car, Ciad, Kenya, Madagascar, Niger, Somalia, Sud Sudan e Sudan ampie fasce di popolazione hanno sofferto la fame. Il diritto alla salute è stato fortemente compromesso dall’esplodere o dalla reviviscenza di epidemie, come quelle di Ebola in Uganda e di colera. Gli sgomberi forzati sono rimasti motivo di grave preoccupazione nella regione. Le libertà di riunione e associazione di fatto in quest’area non si possono esercitare senza rischiare di essere arrestati/e, come accaduto in Ciad, Drc, Guinea, Kenya, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Somalia e Sudan, per proteste contro inflazione e carovita, proteste che spesso sono costate la vita a chi cercava di attuarle. Difensori e difensore dei diritti umani, attivisti/e, giornalisti/e e membri dell’opposizione sono stati intimiditi/e e minacciati/e, solo per avere esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione in Burundi, Drc, Madagascar, Malawi, Mozambico, Niger, Ruanda, Somalia e Zimbabwe. In Madagascar, l’ambientalista settantenne Henri Rakotoarisoa è stato ucciso a coltellate a giugno. Anche la libertà di associazione è stata fortemente repressa. All’interno dell’Africa sub-sahariana ci sono stati enormi spostamenti di sfollati e migranti che hanno dovuto andarsene dai loro villaggi a causa di conflitti e crisi climatiche, ma i Paesi di accoglienza non sempre hanno potuto garantire il diritto al cibo e alla salute.
Essere donna in questa parte di mondo spesso significa avere ancora meno diritti. In Tanzania e Guinea Equatoriale le ragazze incinte sono state escluse da scuola ma a settembre il Comitato africano di esperti sui diritti e il benessere del minore ha ribadito la violazione della Carta africana dei diritti e il benessere del minore, raccomandando alle autorità di rivederla. In Sierra Leone 800 donne incinte sono state reintegrate nelle scuole da cui erano state escluse.
La violenza di genere e gli stupri, nonché gli omicidi di donne sono stati una costante. È da segnalare, però, l’emanazione di leggi progressiste in Congo, Sierra Leone e Zimbabwe, in controtendenza rispetto alle politiche repressive dei diritti delle donne in Nigeria, Madagascar e Ruanda. Le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate sono state le più perseguitate. Spesso malmenate, denudate, arrestate, a volte uccise. Le corti nazionali non le hanno quasi mai tutelate. Superstizione e credenze popolari hanno favorito la persecuzione delle persone affette da albinismo, vittime di aggressioni violente e mutilazioni in Africa orientale e meridionale.
Infine, questa parte del pianeta ha patito gli effetti più gravi del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Ci sono stati eventi atmosferici estremi aggravati dal riscaldamento globale. Il Corno d’Africa ha sofferto la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, mentre in Africa meridionale ci sono state piogge torrenziali. In Madagascar, più di 200 persone sono morte a causa di eventi climatici mentre in Nigeria sono state 500. A causa di una mediocre pianificazione territoriale e della mancanza di manutenzione in una provincia migliaia di case sono state distrutte a causa delle alluvioni. Il degrado ambientale per fare spazio ad attività minerarie o infrastrutturali è continuato, nonostante le proteste delle popolazioni locali. Insediamenti umani, riserve faunistiche protette, terreni agricoli e falde freatiche sono stati sacrificati in Tanzania e Uganda per la costruzione di un oleodotto di 1443 chilometri.
Qualche atteggiamento virtuoso per fortuna c’è stato da parte del Primo Ministro della Guinea, in Somalia, dove è stato istituito il ministero dell’Ambiente e del cambiamento climatico e nominato un inviato speciale del presidente con l’incarico di occuparsi del problema della siccità. In Sud Sudan, il presidente Kiir «ha ordinato la sospensione di tutte le attività di dragaggio in corso nel paese, in attesa del completamento delle valutazioni di impatto ambientale sulle comunità locali e gli ecosistemi circostanti».
Ecco il consiglio di Amnesty international ai governi: «intervenire immediatamente per proteggere gli individui e le comunità dai rischi e dagli effetti del cambiamento climatico e degli eventi atmosferici estremi, chiedendo se necessario l’assistenza e la cooperazione della comunità internazionale al fine di adottare sufficienti strategie di adattamento al clima e di mitigazione dei rischi».
Informarsi e informarci su questi temi dovrebbe essere un dovere per chi ci governa; spendere attraverso i media, ogni volta che assistiamo a degli sbarchi, due parole sulla situazione nei Paesi di provenienza dei migranti e richiedenti asilo, dando voce a chi non ha voce, sarebbe doveroso ai fini della formazione di un’opinione pubblica corretta e consapevole, magari riservando alle interviste ad alcune di quelle persone lo spazio che ogni sera è dato alle interviste con il popolo ucraino, da quando è scoppiata la guerra. Invece la narrazione di questi sbarchi è sempre sensazionalistica e superficiale. Eppure, il dovere del giornalista e della giornalista, come ricordava tempo fa su questa rivista Giacomo Di Benedetto (https://vitaminevaganti.com/2023/04/08/media-e-diversita-per-una-narrazione-rappresentativa/) è in primis quello di rappresentare la diversità e «far emergere dal sommerso della realtà tutto ciò che è invisibile, dimenticato, denigrato, o ancora volontariamente distorto e manipolato».
Amnesty international ci prova ogni anno con il suo Report, “agendo” l’articolo 30 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, quello che ci sprona a sentirci responsabili e a diventare attiviste e attivisti dei diritti umani.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.agna.

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