Italiano in Egitto. Fra storia e attualità

Fondata da Alessandro Magno tre secoli prima della nascita di Cristo, Alessandria d’Egitto fu descritta da Strabone come un fiorente centro commerciale e artigianale, fulcro della cultura ellenistica con la famosa Biblioteca, il Museo e il Faro; è stata per secoli un crogiuolo di popolazioni e culture mediterranee, abitata, oltre che da Egiziani, da Greci, Romani, Arabi, Siriani, Ebrei, ai quali in seguito si aggiunsero i Cristiani.

Due personalità femminili ne segnano la storia: la famosa regina Cleopatra (52-30 a.C.) e la scienziata Ipazia (355-415) che pagò con la vita la difesa della sua libertà intellettuale.

Biblioteca di Alessandria d’Egitto

Il terremoto del 365 ne distrusse gran parte: la Biblioteca e il Faro scomparvero e la città, parte dell’impero bizantino, conobbe prima il declino economico e culturale, poi la conquista persiana e quella araba; con la fondazione del Cairo la sua importanza diminuì ulteriormente. Rimase un porto attivo solo a livello locale fino al XIX secolo, quando fu occupata prima dai Francesi di Napoleone e in seguito dagli Inglesi, fino all’arrivo degli Ottomani. Alla fine dell’800, con l’apertura del canale di Suez, gli Inglesi tornarono per controllarne i commerci e rimasero saldamente presenti fino agli anni ’50 del Novecento, quando l’arrivo di Nasser segnò una svolta nei rapporti internazionali dell’Egitto. Ancora oggi, tuttavia, Alessandria rimane un interessante laboratorio dove generazioni diverse provenienti da culture differenti sperimentano varie forme di convivenza.

Colonna di Pompeo in Alessandria d’Egitto

Gli Italiani hanno giocato un ruolo importante in tutto l’Egitto per oltre due secoli, in concomitanza con gli eventi politici del nostro paese.

Dal 1736 al 1820 siamo stati gli unici rappresentanti diplomatici nel paese nordafricano, dove curavamo gli interessi inglesi, austriaci, francesi, prussiani: gli atti ufficiali del regno di Mohammed Ali (1805-1848) redatti in lingua europea erano in italiano.

La prima migrazione numericamente significativa seguì gli eventi del Risorgimento, quando gli esuli politici lasciarono l’Italia per sfuggire all’ oppressione politica e al ripristino dei vecchi regimi. Gli Italiani contribuirono alla modernizzazione del paese ospite in campi diversi, dalla sanità alle costruzioni navali fino all’organizzazione statale: il catasto, l’anagrafe, le poste e perfino il primo censimento furono organizzati da Italiani.

Durante la seconda metà del XIX secolo quella italiana fu un’emigrazione economica, sia di estrazione proletaria, composta soprattutto da operai trentini e piemontesi; sia di professionisti, medici, ingegneri, architetti e artigiani, tra i quali lo stesso ideatore del progetto del canale di Suez, Luigi Negrelli.

Con il governo di Ismail (1863-1879) e la sua politica d’indipendenza, europeizzazione ed espansione, altre ondate migratorie si spostarono verso l’Egitto e la presenza italiana acquistò consistenza, sino a costituire la seconda comunità di stranieri dopo quella greca: gli esuli parteciparono alla ricostruzione del porto di Alessandria e della prima diga di Aswan.

Una terza ondata migratoria si verificò fra le due guerre mondiali, quando la collettività italiana era ancora la seconda, dopo quella greca. L’Egitto accolse anarchici e rifugiati politici; scrive Enrico Pea, il gestore della Baracca Rossa di Alessandria, luogo di ritrovo degli esuli, nel suo famoso libro Vita in Egitto: «L’Egitto diventava così un rifugio particolarmente favorevole per i sovversivi italiani che dovevano sfuggire all’arresto o al domicilio coatto […]».

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre 1939, la comunità italiana d’Egitto subì i risvolti tragici dell’ingresso in guerra dell’Italia, riducendosi in modo radicale con la sconfitta militare, l’internamento degli Italiani (8 mila tra i 15 ed i 65 anni) e la confisca dei loro beni.

Nonostante queste traversie, parecchi italiani risiedono ancora oggi in tutto il paese nordafricano.

Alla fine del XIX secolo, con l’insediamento degli Inglesi, il ruolo degli Italiani aveva perso importanza, così come l’uso della lingua, che fu sostituita da inglese e francese nelle comunicazioni ufficiali. Fu l’apertura di scuole italiane a giocare un ruolo sostanziale e consentire alla nostra lingua di rimanere nella quotidianità egiziana, soprattutto nelle città e in particolare in Alessandria, dove la presenza italiana era più consistente: i termini italiani inseriti nel parlato egiziano si estendono dal campo sociale a quello gastronomico, dal campo della sartoria a quello medico e sono ancora oggi più di 200.

La presenza italiana ad Alessandria riveste un’importanza particolare: si tratta di una comunità stabile, dove sono nati e cresciuti due importanti poeti, Giuseppe Ungaretti e Filippo Marinetti, in seguito descritta da Enrico Pea, narrata da Fausta Cialente, che qui ha vissuto a lungo nel quartiere di Cleopatra, rievocata negli anni ’90 da Il coraggio del pettirosso di Maurizio Maggiani, dove il giovane protagonista, Saverio, ricongiunge attraverso audaci scarti temporali la sua memoria personale con episodi storici.

Nella riscoperta della cultura egiziana gli Italiani hanno giocato un ruolo importante: fra tutti, è necessario ricordare Giuseppe Acerbi, console dal 1825 per lo stato austriaco; Ippolito Rosellini, che con Jean François Champollion partecipò alla prima importante spedizione archeologica che raggiunse la Nubia nel 1828; infine Giuseppe Botti, ad Alessandria dal 1889, che fu direttore del Museo Greco-Romano e responsabile degli scavi più importanti nella città.

Sfinge in Alessandria d’Egitto

Per tutti questi motivi la lingua italiana è ancora presente nella cultura egiziana; tuttavia, mentre all’università del Cairo esiste un corso magistrale, ad Alessandria è oggi riservato un ruolo secondario. L’italiano è una materia complementare nell’ambito del corso di laurea in Archeologia, oggetto di studio solo biennale, per 3-4 ore alla settimana. In così poco tempo non è possibile acquisire competenze utili per la lettura autonoma dei documenti degli archeologi italiani del primo ‘900, come auspicherebbe il Dipartimento.

Pertanto, per la prima volta nella mia esperienza all’estero devo utilizzare l’inglese come lingua-ponte; decido di partire dalla comunicazione quotidiana, creando una situazione di scambio di informazioni essenziali: nome, qualche dettaglio personale, la descrizione della vita di tutti i giorni. Un approccio ben accolto da chi studia; non sono previsti testi o eserciziari, per cui lavoriamo con strumenti tradizionali: lavagna, gesso o pennarello, fotocopie di testi che ho portato con me, riprodotte all’infinito dalle studentesse, il tutto mediato – e rallentato- dall’inglese.

C’è però un grande entusiasmo da parte delle ragazze, più numerose rispetto ai maschi, come accade sempre nelle facoltà umanistiche: la maggior parte indossa l’hijab ma è vestita all’europea, mentre qualcuna, che proviene da una famiglia tradizionalista, si nasconde in un mantello nero che la copre dalla testa ai piedi e le ragazze copte non coprono i capelli.

Università in Alessandria d’Egitto

Quando si tratta di comunicare, le differenze di abbigliamento scompaiono subito: tutte sono curiose e desiderose di imparare, mi accolgono con il classico baccano che precede le lezioni “comunicative” e dopo qualche incontro qualcuna manifesta il desiderio di vederci anche fuori dall’università, andare insieme in qualche caffè, passeggiare lungo la Corniche (il famoso lungomare di Alessandria), stabilire un rapporto meno formale. In classe però, se pure a malincuore, devo rapidamente introdurre nozioni grammaticali, visto che l’esame di fine anno sarà basato su un test di quel tipo: non è possibile, infatti, cambiare le regole già stabilite, perciò bisogna incrementare le attività di tipo tradizionale, fatto di esercizi e verifiche sul modello grammatica-traduzione.

Questi corsi istituzionali però non sembrano sufficienti, perché escludono chi non studia archeologia e spesso qualcuno mi avvicina per chiedermi se davvero non ci sia la possibilità di ammettere studenti e studentesse di altre facoltà. Propongo allora alla Direttrice di Dipartimento un corso in più, facoltativo e aperto a studenti di tutti gli indirizzi: il mio compito di lettrice all’estero è quello di diffondere la lingua e la cultura del mio paese; in particolare, qui in Egitto l’Italia è ben conosciuta da chi frequenta l’università, qualcuno ha anche parenti emigrati per motivi economici, molti e molte vorrebbero visitare quella sponda d’Europa percepita vicina e affine; per non parlare dell’attività sui social, dove l’italiano è un’ulteriore opportunità per chi desidera comunicare con coetanei e coetanee senza dover usare l’inglese, non sempre amato da chi, a vario titolo e con motivazioni diverse, ne percepisce un’eccessiva egemonia.

L’affluenza a questo nuovo corso è davvero elevata: non si trova un’aula libera, ma si rimedia negli spazi di altri Dipartimenti, sottraendo temporaneamente sedie alle stanze vicine; inesistenti però i computer, la connessione, a volte perfino l’elettricità.

Proprio la familiarità di ragazze e ragazzi con i social, unita alla mancanza di strumenti informatici in università, mi convince ad aprire una pagina su Facebook dedicata all’italiano e facilmente accessibile attraverso il cellulare: qui inserisco non solo schede riassuntive degli argomenti che trattiamo a lezione ma soprattutto brevi filmati e dialoghi che facilitano l’apprendimento in generale, ma soprattutto le abilità di ascolto e lettura.

Procediamo di nuovo a parole, con l’aiuto di chi ha già masticato qualcosa, sempre con l’inglese interposto fra l’arabo e l’italiano. Sono letteralmente assediata dall’entusiasmo, dalla gioia e dalla gratitudine per questa inattesa possibilità. Tuttavia, quando mi sembra di poter superare gli ostacoli l’orizzonte si offusca: a fine gennaio si avvicina il periodo degli esami e dal mio corso extra, che non prevede crediti, gli studenti spariscono.

Restano alcune ragazze davvero motivate, ma il numero è troppo ridotto per giustificare l’occupazione di un’aula e un orario a parte; perciò ci accordiamo, in tutta segretezza, perché frequentino i corsi “ufficiali” della facoltà di archeologia e possano continuare a partecipare, almeno per quest’anno, anche se non potranno sostenere gli esami e non saranno premiate con i tanto sospirati crediti.

Sono passati alcuni anni, io ho terminato il mio lavoro ad Alessandria, le mie studentesse sono ormai laureate, alcune si sono sposate, altre lavorano; la pagina su Facebook è sempre meno frequentata, ma si mantiene vivo un rapporto amichevole attraverso i social – io con le mie due parole di arabo, loro con qualche affettuosa frase in italiano.

***

Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.

Un commento

Lascia un commento