Cambiamo discorso. Architette

L’ottobre degli incontri online del ciclo Cambiamo discorso – Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere presenta un tema che fa riflettere sulla professionalità femminile in un ambito considerato ancora prevalentemente maschile: l’architettura. Troppo poche le architette, le urbaniste, le paesaggiste citate nei libri di testo, a fronte invece di presenze autorevoli e meritorie, come ricorderà, nel suo intervento Pioniere dell’Architettura tra Roma e le Marche, Monica Prencipe, architetta e storica dell’architettura, attualmente parte di un team di ricerca all’Università La Sapienza di Roma. Le rivolgiamo, prima del webinar che si terrà il 26 ottobre, alcune domande per conoscerla meglio, anche attraverso le sue esperienze scolastiche, culturali e professionali.

Quali studi medi hai fatto prima di specializzarti in restauro dei beni culturali e storia dell’architettura? Soprattutto, quali aspetti della tua esperienza scolastica ti hanno aperto la strada verso questi ambiti?
Prima dell’università ho frequentato il Liceo scientifico “Galilei” di Ancona e ho frequentato il quarto anno presso una scuola superiore americana, grazie a un programma di studi all’estero. Durante questo anno ho visitato diverse case realizzate da Frank Lloyd Wright, uno dei più grandi architetti del Novecento e una volta tornata ho deciso che anche io avrei fatto lo stesso mestiere. Durante l’università ho avuto la fortuna di studiare con la professoressa Maristella Casciato, grazie a lei ho capito l’importanza della storia, poiché ogni progetto è idealmente anche un dialogo con i propri predecessori, e soprattutto ci ha aperto gli occhi sulle disparità di genere di questa professione, evidenti sin dagli anni universitari. Sono pochissime infatti le donne che sono incluse nei manuali di storia dell’architettura e pochissimi i libri e gli studi a loro dedicati. E allora la domanda è: non ci sono studi perché non esistono o non esistono perché non ci sono studi sufficienti? Con questa domanda in mente mi sono laureata in progettazione architettonica e successivamente ho frequentato la scuola di perfezionamento di Roma in tema di restauro. Questo fa di me prima di tutto una donna progettista, con una speciale attenzione ai temi del patrimonio culturale e della storia.

Ora come ora, in che cosa consiste la tua professione?
In questo momento lavoro come architetta libera professionista e collaboro con diversi studi di ingegneria e architettura. Con il primo mi occupo prevalentemente di progettazione e ristrutturazione di residenze e uffici, ma stiamo anche partecipando ad alcuni concorsi per realizzare scuole e parchi pubblici. Con un altro studio, invece, mi occupo di urbanistica e in particolare della redazione di piani particolareggiati del centro storico e della prima periferia storica (Corinaldo, Fano, Paliano etc). Nel (poco) tempo che mi rimane porto avanti la ricerca sulla storia delle architette tramite la pubblicazione di articoli scientifici e la partecipazione a conferenze accademiche. Sono molto orgogliosa di dire che nel 2021, dopo quasi due anni di lotte, l’ordine degli architetti di Ancona ha approvato il timbro professionale “architetta” grazie alla mia richiesta esplicita. In questo momento infine sto lavorando per incrementare la committenza diretta: il mio sogno rimane quello di avviare un mio studio ad Ancona, che possa contare su un team affiatato (magari composto solamente da donne) che si occupi non solo di architettura ma anche di cultura e di questioni di genere.

Sappiamo che ti occupi anche di “architettura temporanea” come mezzo di rigenerazione urbana, che cosa significa?
Nel maggio 2020, il primo giorno dopo la fine del lockdown, sono stata coinvolta in un progetto che inizialmente mi è sembrato inusuale: la progettazione e riconversione di una cucina-ristorante all’interno di un container da 12 metri. Da qui è partito il progetto di Soulfish di Michela Rossi che nell’estate del 2020 ha portato all’allestimento temporaneo di una banchina del porto di Ancona. Nel 2021 l’evento si è ripetuto e ampliato: anche qui mi sono occupata dell’allestimento generale dell’area nonché della realizzazione di altri container-ristoranti. Ho così iniziato a scoprire e approfondire il tema dell’architettura temporanea (fatta di installazioni ad hoc, fiere, eventi etc) e del loro possibile ruolo attrattore di novità e di rigenerazione urbana, anche all’interno di realtà granitiche e poco propense al cambiamento come quella di Ancona. Sono attività “leggere”, che non compromettono in maniera irreversibile i luoghi e anzi permettono di sperimentare nuove funzioni e nuove forme di socialità con un impiego di soldi limitato. Diverse città come Milano, Parigi, Barcellona, Vienna, hanno messo in opera programmi che prevedevano la realizzazione di numerose aree pubbliche temporanee, spesso al fine di sollevare riflessioni e consapevolezza dei cittadini sul ruolo delle donne. Si tratta di un nuovo modo di concepire la professione, guidato soprattutto dalla voglia di ripensare i nostri spazi pubblici in una chiave innovativa, inclusiva e sostenibile.

Allestimento temporaneo “La Banchina” al porto di Ancona, giugno-agosto 2021. Il cartellone “mobilità” era parte di un grande Gioco dell’oca pensato per introdurre i più piccoli ai temi della sostenibilità ambientale.
Esempio di trasformazione di un incrocio di Barcellona prima (a sinistra) e dopo (a destra). L’intervento, oltre a migliorare l’estetica, ha l’obiettivo di sottrarre spazio alle auto per regalarlo ai più piccoli, agli anziani e alle operatrici e operatori della cura.

Al webinar interverrà anche Claudia Mattogno, architetta e prof.a di Urbanistica alla Sapienza di Roma. Sentiamo anche la sua posizione rispetto agli studi in questo ambito.

La facoltà di Architettura vede una frequenza paritaria fra maschi e femmine?
Sono un’architetta, ma ho sempre insegnato in una facoltà di Ingegneria e quindi preferirei ampliare il campo e riferirmi a entrambe le facoltà. Anche perché mi piace ricordare che la prima laureata italiana in queste discipline è proprio un’ingegnera. Si chiama Emma Strada e nel 1908 acquisisce la laurea presso il Politecnico di Torino, sconvolgendo un po’ la commissione che non sapeva come chiamarla… signora ingegnere o ingegneressa? Una esitazione linguistica che ancora attraversa oggi le architette che dalla prima laureata italiana, Elena Luzzato nel 1925, hanno fatto molta strada e rappresentano nel 2022 ben il 44% degli iscritti all’Albo professionale.
La presenza delle giovani donne nelle facoltà di progettazione, come quelle di Ingegneria e di Architettura, è sicuramente cresciuta in maniera significativa, rispetto alle poche unità dei primi decenni del Novecento. Il Bilancio di genere redatto dall’università Sapienza nel 2021-22 registra oltre 120mila iscritti (121.685 per la precisione), di cui il 57,40% sono giovani donne. In Architettura e Ingegneria edile questa percentuale sale a 64,68 % mentre scende drasticamente al 15.03% per Ingegneria informatica.
Ma se le studenti sono numerose, non altrettanto lo sono le docenti che solo per il 27,48% raggiungono i livelli apicali della prima fascia (professori ordinari) e si attestano a un 41,00% nella seconda (professori associati). La segregazione verticale è ancora molto marcata e il famoso soffitto di cristallo fatica a essere infranto.
Per dare visibilità a queste figure femminili, specialmente quelle del recente passato, per svelare i loro nomi, far conoscere le loro opere e i loro lavori, è nata la ricerca di Ateneo Tecniche Sapienti che copre un arco temporale dal 1910 (l’anno in cui la Reale Scuola di applicazione per Ingegneri apre le sue aule alle ragazze) al 1968. È una ricerca che indaga la presenza delle studenti nelle facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Ateneo romano e delle prime laureate in professioni ritenute per consuetudine di competenza maschile. Fa luce sulle docenti che hanno insegnato con ruoli diversi, non di rado precari, in queste due facoltà e nel tempo si sono affermate. Cerca di ricostruire una genealogia di genere per proporre modelli e far conoscere giovani donne che hanno sfidato pregiudizi per affermare passioni e con determinazione hanno intrapreso professioni per le quali non esistevano ancora i nomi. Stiamo ora pubblicando, assieme a Monica, gli esiti di questo paziente lavoro di disvelamento, ma un primo risultato è già visibile nella home page della facoltà di Ingegneria!

Claudia Mattogno al Convegno internazionale Stereotipi di genere e progettualità femminile. Nuove narrazioni.
Ottobre 2021

Ci sono ambiti disciplinari specifici in cui prevale la presenza maschile o femminile?
Le discipline Stem (Ingegneria civile e industriale; Ingegneria dell’informazione, informatica e statistica; Scienze matematiche, fisiche e naturali) sono ancora poco popolate da giovani donne e le università stanno cercando di intervenire per colmare questo divario. L’Università di Roma La Sapienza, ad esempio, ha lanciato l’iniziativa #100ragazzeSTEM per incoraggiare l’accesso delle donne alla formazione superiore nelle materie scientifiche con borse di studio triennali. Ancora persistono radicati stereotipi, soprattutto nei confronti di presunte abilità che sarebbero solo femminili o solo maschili, ma le giovani donne  che intraprendono nuovi percorsi sono sempre più numerose e competenti. Il loro contributo è quindi determinante per sradicare obsoleti modi di pensare, modificare punti di vista e approcci.
D’altra parte, però, noto che gli studi di genere, specialmente nel campo della trasformazione dello spazio fisico, stentano ad avere il dovuto riconoscimento da parte dell’accademia. Sono ancora considerati marginali o al massimo di pertinenza delle sole discipline umanistiche. E sono ancora in pochi a essere consapevoli che lo spazio non è neutro mentre le configurazioni fisiche che assume, i comportamenti e gli usi che determina sono fortemente legati al nostro essere nel mondo e ai molteplici background che ci caratterizzano.
Ebbene, se guardiamo agli studi di genere nel campo della progettazione, ci rendiamo subito conto di un numero consistente di approfondite ricerche non più di sola provenienza anglosassone, come negli anni Settanta e Ottanta, ma sempre più anche di matrice latina e sudamericana. Scarsi rimangono, invece, gli apporti italiani e quasi completamente a opera di studiose. È un ambito di studi che sembra essere confinato nel solo campo femminile, come dimostrano numerosi convegni la cui platea accoglie appena due o tre partecipanti maschili. Anche il master Città di genere, organizzato a partire dallo scorso anno attraverso una rete di Atenei italiani, ha registrato una presenza esclusivamente femminile. Ma, se possibile, vorrei approfittare di queste pagine per invitare giovani laureati e laureate a iscriversi entro il prossimo 16 dicembre!!

Quali consigli utili per le ragazze che vogliano intraprendere la professione di architetta?
Da parte mia posso solo dire che è una scelta che rifarei subito! Quello dell’architettura è un percorso di studi entusiasmante, che ti coinvolge pienamente e ti fa sentire parte attiva nel mondo che abitiamo e di cui ci dobbiamo prendere cura!
Il mio consiglio è di essere curiose e di sperimentare vari approcci, a partire da quelli più specificatamente progettuali (come i concorsi di progettazione e i workshop estivi) a quelli maggiormente connotati da riflessioni teoriche, offerte spesso dalle discipline storiche. Ma anche praticare le lingue straniere per cercare confronti ampi con il mondo, a partire dalle opportunità offerte dai percorsi Erasmus e dalle borse di studio per le tesi di laurea all’estero. E ancora, cercare altri modelli, ampliare i riferimenti, indagare l’operato delle progettiste finora rimaste nell’ombra, costruire nuove narrative e prendere parte attiva alla elaborazione di una HerStory che ci veda sempre più protagoniste attive. Viaggiare, confrontarsi con diversi contesti, essere consapevoli di avere una tradizione culturale alle spalle ma nello stesso tempo aprirsi a condividere altre esperienze per immaginare spazi inclusivi, intergenerazionali e intersezionali, sensibili alle esigenze del pianeta e agli effetti dei cambiamenti climatici attualmente in corso.

Sicuramente risposte, queste avute dalle nostre relatrici, importanti per cogliere lo stato dell’arte in un ambito che vede una grande presenza femminile, ma non adeguatamente riconosciuta e nominata. Ringraziamo e diamo appuntamento al prossimo giovedì 26 ottobre, per ascoltare dalla loro viva voce interessanti interventi in materia.

Questo il link per effettuare la preiscrizione all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per il collegamento: https://csvmarche-it.zoom.us/webinar/register/WN_wXNLufZBT2y4uQ8pULN2Mg

Qui si possono leggere tutte le precedenti conversazioni del ciclo.

Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro online, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. È vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea.

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