Insegnare a vivere la parità

«Non mi dica che è una femminista…»
«Si, perché?»
«Mi sembrava così educata»
(Graziella Priulla)

«Le scelte che facciamo dei nomi da dare alle nostre strade, non raccontano la società del passato, ma la nostra e propongono dei modelli per il futuro». Parto da queste parole di Barbara Belotti per raccontare il corso di formazione Insegnare a vivere la parità, che si è tenuto il 17 ottobre all’Università Roma Tre, organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione in collaborazione con l’associazione Toponomastica femminile.
Un appuntamento che ha avuto un importante riscontro in termini di presenza di docenti e studenti e che ha ospitato gli interventi di: Milena Gammaitoni, professoressa associata di Sociologia generale presso l’Università Roma Tre, Graziella Priulla, sociologa e saggista, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, Barbara Belotti del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione consultiva toponomastica del Comune di Roma, Danila Baldo, vicepresidente dell’associazione Tf e caporedattrice della rivista Vitamine vaganti, Paola Malacarne del Direttivo di Toponomastica femminile, Tiziana Concina, vicesindaca e assessora del Comune di Montopoli di Sabina, Livia Capasso, storica dell’arte e componente della giuria del Concorso nazionale Sulle vie della parità di Tf, Sara Marsico, docente a riposo, referente di progetti di Educazione alla legalità e redattrice di Vitamine vaganti.

«C’è un problema culturale enorme», ha detto nel suo intervento la professoressa Milena Gammaitoni riferendosi alla nostra società in cui viene data per scontata l’assenza e la passività delle donne. La nostra mitologia è piena di racconti in cui è normalizzata la violenza contro le donne. Pensiamo al mito di Zeus e della nascita di Atena o al Ratto delle Sabine, oppure all’episodio biblico di Susanna e i vecchioni. Viviamo dentro una narrazione culturale intrisa di rappresentazioni normalizzate di violenza di genere e studiamo su manuali scolastici che richiederebbero di essere tutti revisionati per includere anche le donne in ogni ambito del sapere: dall’arte e dalla letteratura alle scienze cosiddette “dure”.

Da sinistra, Barbara Belotti, Livia Capasso, Graziella Priulla, Paola Malacarne, Danila Baldo
Milena Gammaitoni, Sara Marsico. Foto di Nicole Maria Rana

«Siamo abituate a guardare la storia dalla parte di chi distrugge la vita, con le battaglie e le conquiste, e non dalla parte di chi la vita la crea. Io so chi ha inventato la dinamite e la polvere da sparo e non so chi ha inventato la lavatrice, invenzione che ha cambiato la vita di milioni di donne» ha detto la sociologa Graziella Priulla nel suo intervento. «Chi ha fatto il lavoro di cura per tremila anni è invisibile. Eppure il mondo è stato sostenuto da chi ha lavato, cucinato, nutrito. Lavoro invisibile, che non viene remunerato».
Il concetto della “comunità educante” è stato al centro del ragionamento di Graziella Priulla che si è poi soffermata sul tema dell’educazione di genere. «L’educazione di genere si è sempre fatta, ha sostenuto, e si fa addirittura prima della nascita, con i genitori che appena scoprono il sesso del nascituro iniziano a immaginarsi il suo futuro. Si fa quando si comprano i giocattoli e si manda la bambina a danza e il bambino a calcio. Questa è educazione di genere che è stata spacciata per educazione e basta». Si parla ultimamente di “educazione sentimentale”, “educazione emotiva”, “educazione al rispetto”. «Come possiamo pensare che questi siano aspetti che si possano insegnare, mentre sono pratiche di relazione, modalità e modelli di comportamento?» ha sottolineato Graziella Priulla. «Non occorre aggiungere materie scolastiche come in una lista della spesa, ma cambiare lo sguardo. Cambiare quello che si è definito maschile universale in duplice o molteplice sguardo. E guardare tutte le discipline e tutti i testi che abbiamo non più con uno sguardo solo».

Docenti e studenti in sala. Foto di Nicole Maria Rana

Se è vero che, secondo le stime del World Economic Forum ci vorranno 132 anni per colmare il gap di genere a livello globale, un movimento culturale come quello promosso da Toponomastica femminile è un eccellente strumento per accorciare questo lasso di tempo decisamente insostenibile. Nominare le strade e i luoghi pubblici al femminile significa scrivere nuove pagine della storia e offrire modelli culturali ed educativi per le nuove generazioni. Nel suo insieme è un’operazione estremante delicata. Come ha sottolineato Barbara Bellotti nel suo intervento: non basta dedicare a una figura femminile una strada per creare un cambiamento di percezione rispetto al ruolo delle donne e al loro contributo nella società. L’aumento delle intitolazioni al femminile a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni, che è indubbiamente positivo, non deve far abbassare la guardia sul rischio di un pericoloso scivolamento di senso dell’intera operazione. Vediamo, infatti, che sono sempre più numerose le targhe dedicate alle vittime di femminicidio, ma l’impennata esponenziale di questa scelta rischia di offrire come modello culturale predominante quello della donna vittima e martire.

Danila Baldo ha presentato poi la nuova edizione del concorso Sulle vie della Parità, che è possibile scoprire a questo link: https://prezi.com/view/ToECkMqJlez5ziXhPI8t/
Nell’XI concorso le sezioni sono tre: A, Interpretazioni, B, Percorsi, C, Narrazioni, tutte rivolte a scuole di ogni ordine e grado, agli atenei e agli enti di formazione, tranne la sezione C, destinata quest’anno esclusivamente a studenti universitari/e. La sezione A prende spunto da Calendaria 2024, dedicata alle musiciste. La sezione B intende incentivare la conoscenza di donne, anche locali, valorizzando fonti orali e archivi, a cui intitolare spazi pubblici. La sezione C favorisce la scrittura creativa a partire da incipit proposti da autori/autrici del Premio Calvino. La consegna dei lavori è prevista per l’8 marzo 2024. La cerimonia di premiazione si terrà il 19 aprile 2024 nell’aula Volpi dell’UniRoma 3 Scienze della Formazione.

L’intervento di Paola Malacarne è stato dedicato all’illustrazione di alcune “buone pratichedidattiche ed educative messe in atto per affrontare i problemi illustrati dalle precedenti relatrici, pratiche che hanno dimostrato di saper promuovere efficacemente un cambiamento culturale e valoriale. Si tratta di progetti già realizzati in varie scuole e già presentati alla fiera Didacta. Suggestivi e interessanti, a mero titolo di esempio, alcune sperimentazioni didattiche come il gioco del “domino” con le professioni e i mestieri al maschile e al femminile o il gioco della toponomastica di una città, nel quale targhe intitolate a uomini vengono sostituite con targhe dedicate a donne.

L’intervento di Tiziana Concina è stato dedicato al tema del canone letterario inclusivo e paritario nella scuola superiore e anche lei si è soffermata sulla invisibilità delle donne in questo ambito. Le opere realizzate da autrici, pittrici e musiciste sono state cancellate e sottratte al processo di memorizzazione, ha detto Tiziana Concina nella sua presentazione, ma ancor prima è stata negata alla gran parte delle donne la possibilità di accedere ai contesti, alle condizioni indispensabili alla realizzazione di un prodotto che potesse aspirare a un riconoscimento duraturo. Il canone letterario riflette queste due modalità di esclusione. I testi che consideriamo letteratura sono il risultato di una selezione che nei secoli ha indicato modelli e maestri e abbandonato all’irrilevanza e alla dimenticanza moltissimi prodotti. I manuali di letteratura in uso nelle scuole hanno ulteriormente irrigidito e sclerotizzato l’elenco degli autori considerati classici, riducendo spesso interi secoli a “trittici” di grandi maestri. Questo processo ha costantemente penalizzato la scrittura delle donne, minoritaria e spesso considerata di maniera. Sono trascorsi più di venti anni dalla partecipazione italiana al progetto europeo Polite (acronimo Pari opportunità nei libri di testo), finalizzato a incentivare azioni che riconoscessero dignità alla cultura di entrambi i generi nei testi scolastici, tuttavia spesso queste lodevoli intenzioni sono rimaste lettera morta o ci si è accontentati di inserire box a fondo pagina che ricordassero personalità femminili “eccezionali” o, al massimo, di scegliere qui e là un nome a cui dare visibilità e l’onore di un modulo.

La sottorappresentazione delle artiste nelle gallerie, nei musei, nella storia dell’arte è stato l’argomento su cui ha riflettuto Livia Capasso. L’87 % delle opere esposte nei musei è realizzato da uomini. Nei più recenti manuali scolastici il numero delle artiste citate arriva a una ventina, mancano le miniatrici del Medioevo, le pittrici di nature morte, le ritrattiste, le impressioniste, le preraffaellite… La storia dell’arte che noi studiamo è quindi distorta e parziale. Stessa discriminazione nel valore economico: le opere di mano femminile in genere raggiungono appena il 10 % nelle aste del prezzo raggiunto da opere realizzate da artisti di sesso maschile. L’invisibilità delle donne deriva certamente dalla loro impossibilità ad accedere all’istruzione, alle botteghe, ai cantieri, ai viaggi e a loro erano riservate attività limitate, quali la tessitura, la miniatura. Eppure ci sono state! La riscoperta di tante artiste comincia col movimento femminista e un testo basilare è quello di Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste? del 1971. A Washington i coniugi Holladay nel 1987 aprirono il National Museum of Women in the Arts, primo museo dedicato alle donne. E alla Biennale 2022, curata da una donna, Cecilia Alemani, l’80% delle opere esposte erano di donne e di persone non binarie. Tuttavia ancora oggi, nonostante una presenza femminile nel campo dell’arte che supera quella maschile, una donna artista fa fatica a emergere e a parità di valore guadagna meno dei colleghi maschi.

Ritornando al campo educativo, Sara Marsico nel suo intervento ha affrontato il tema di una possibile educazione civica controcorrente e paritaria anche con l’utilizzo di risorse e strumenti creati dall’associazione Toponomastica femminile. È il caso del possibile uso di Calendaria per realizzare percorsi interdisciplinari: partendo dalle biografie di donne che hanno contribuito alla storia dell’Europa e dell’Unione europea, si approfondiscono poi gli obiettivi dell’agenda 2030, in particolare la parità di genere e la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Ha affermato: «Negli anni si sono succedute nella scuola circolari che invitavano a fare progetti di Educazione alla legalità, alla convivenza civile, all’antimafia, lezioni di Cittadinanza e Costituzione e infine da qualche anno anche la Educazione civica, disciplina curriculare e trasversale introdotta a costo zero, su cui il Ministero non ha formato adeguatamente i e le docenti. Negli anni in cui ho insegnato ho ricoperto l’incarico di Referente di molti tra questi progetti, fino a conquistarmi la fama o meglio la “noméa” di docente antimafia. L’educazione civica, voluta fermamente da Aldo Moro, quando era Ministro della Pubblica Istruzione (l’aggettivo pubblica è sparito con i Governi Berlusconi e non è stato mai più reintrodotto, purtroppo, da quelli, di diversa impostazione politica, che si sono alternati alla guida del Paese) oggi, salvo rarissime eccezioni, è una materia subita dai Consigli di classe, assegnata al o alla docente di diritto o ad altro docente e prevede dei percorsi-puzzle in cui ogni materia si inserisce col suo pezzetto senza un vero confronto tra docenti e con un aggravio di contenuti, così come avviene per le tante educazioni assegnate alla scuola negli anni: educazione ambientale, alla salute, educazione stradale, ecc. Ma la Costituzione che è il testo in cui la legalità cerca di fondersi con la giustizia, il miglior testo antimafia che abbiamo, come la definisce il fondatore di Libera, Don Luigi Ciotti, in tutti questi percorsi diversamente nominati negli anni, non può essere insegnata come una legge qualsiasi, come una serie di prescrizioni ben spiegate e giustificate Deve essere insegnata come un sentimento, come ricorda in un suo recentissimo libro, La legalità è un sentimento, il professore, scrittore e sociologo Nando dalla Chiesa. Per insegnare la legalità e la Costituzione, occorre mettere al centro «l’educazione – preventiva o contemporanea – a questi sentimenti che, intrecciandosi, alimentandosi reciprocamente generano l’amore» per la Carta che regola la nostra convivenza civile. «Sentimenti che si formano grazie a una specifica atmosfera familiare, allo spirito di una comunità di amici, alla frequentazione della poesia e della letteratura, dei film, grazie alla scuola e al viaggio, alla politica e al teatro… Non c’è tanto bisogno di regole formali da insegnare. C’è bisogno di quei processi affettivi e mentali che portano il bimbo (e la bimba n.d.r.) della scuola dell’infanzia a reagire alle discriminazioni subite dal compagno di colore (o dalla compagna perché appartenente al genere femminile, o dal/dalla diversamente abile o dal/dalla persona sovrappeso) con l’innata protesta ‘non è giusto però’. Il bambino non conosce la Costituzione né la parola discriminazione. ‘Sente però che quello che gli accade intorno non è giusto. E lo contesta. Se l’educazione alla legalità e alla Costituzione non si alimenta di quel grido vitale, se è solo astrazione teorica, sarà battuta da altre astrazioni più accattivanti o convenienti che lo costringeranno alla resa. Magari proprio in nome della legalità’ che, come ben sappiamo, a volte può essere ingiusta».

Report a cura di Ilaria Canali, founder Rete nazionale donne in cammino e community Ragazze in Gamba.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. È vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea

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