Corpi e sessualità nella storia

Il quarto incontro del corso Genere e diversità all’origine di violenze e discriminazioni del progetto La storia siamo noi della Sis si intitola Corpi e sessualità nella storia ed è presentato dalle professoresse Maya de Leo e Laura Schettini, le prime studiose in Italia ad aver affrontato il tema del genere e delle diversità sessuali in chiave storica. Maya de Leo insegna Gender studies all’Università di Bologna; il suo libro Queer: storia culturale della comunità lgbt ha avuto numerosi riconoscimenti, tra i quali quello della Società italiana degli storici contemporaneisti.

Cosa vuol dire che “corpi” e “sessualità” hanno una storia? Anzitutto, “sessualità” è da intendere al plurale, non solo per una questione di inclusività ma soprattutto per marcare le tante varianti di comportamenti sessuali e delle norme che hanno cercato di regolarli nel corso dei secoli. Sylvie Steinberg in Une histoire des sexualités, riprendendo gli studi compiuti dal sociologo Marcel Mauss, afferma che la sessualità è fatto sociale totale che, quando analizzato, ci permette di ricostruire non solo la storia delle persone ma anche il contesto spaziale e temporale in cui esse erano immerse e si muovevano, in quanto il campo della sessualità è sempre stato fortemente influenzato da quello della cultura. Ed è proprio questa varietà di contesti che rende la sessualità una pluralità mutevole e adattabile sin dall’antichità e fino ai giorni nostri. D’altro canto, è fondamentale registrare la frattura avvenuta nel Settecento, quando grazie alla rivoluzione del metodo scientifico il corpo viene naturalizzato: maschile e femminile vengono ancorati alla loro biologia in un periodo in cui si avvicendano continue scoperte riguardo i nostri corpi che sfatano le vecchie credenze.

Illustrazione anatomica dei genitali femminili
del XVII secolo

In Making sex Thomas Laquer dimostra come il sesso biologico e il corpo sessuato siano stati costruiti culturalmente, come il nostro sguardo sui nostri genitali sia cambiato nel tempo a prescindere dalle differenze biologiche. L’atteggiamento nei confronti del corpo è rimasto più o meno invariato fino al XVIII secolo, basato sulla medicina classica di Ippocrate e Galeno dove le differenze biologiche sono viste come espressioni diverse di una medesima natura umana, principalmente maschile, di cui il femminile è un derivato imperfetto. Non è infatti un caso che le tavole anatomiche di questo periodo raffigurino i genitali femminili come una “versione interna” di quelli maschili, con il canale vaginale a forma di pene e ovaie disegnate e posizionate come i testicoli “al contrario”. In quest’ottica è perciò naturale che la forma perfetta, il maschio adulto, sia attratta sessualmente dalle forme imperfette, ossia le donne e i giovinetti: nonostante l’influenza del Cristianesimo, e posto che non si debba parlare di tolleranza come la intendiamo noi oggi, l’omosessualità maschile è stata considerata perfettamente lecita quando immersa in precisi contesti, dove l’uomo adulto e di ceto superiore ricopre il ruolo attivo con un altro uomo ma più giovane e/o di ceto inferiore. In questa cultura fallocentrica il lesbismo, in cui non è possibile identificare chi abbia il ruolo attivo, non è stato perciò altrettanto documentato, perché il “perfetto corpo maschile” non è coinvolto nel rapporto.

Arriva poi la rivoluzione scientifica, le cui diramazioni coincidono con i grandi cambiamenti dell’Ancient regime che culmineranno in Francia nel 1789. È in questo momento che il genere femminile e quello maschile vengono ancorati ai sistemi riproduttivi, non più considerati come espressioni diverse di una stessa natura ma due corpi separati che hanno dei precisi compiti prestabiliti dalla Natura: riproduzione per le donne e attività guerresca per gli uomini. Il cambiamento investe anche il modo di vedere l’omosessualità come ben esplicato da Michel Foucault in Historie de la sexualité: le ansie e le paure che investono i nuovi Stati-Nazione riguardano pure la sfera sessuale e l’omosessualità inizia a essere considerata non più come un comportamento deplorevole, un peccato su cui si può chiudere un occhio in determinate circostanze, ma come una caratteristica specifica di una fetta della popolazione. Nasce così l’idea di orientamento sessuale: la preferenza per le persone del proprio sesso è un tratto identitario innato; la parola “omosessuale” viene coniata a metà Ottocento, il secolo in cui questo “tratto” inizia a essere patologizzato. Quando scrive Foucault si stanno vivendo gli inizi dell’attivismo pro-queer, che unisce sessualità e politica e che fa emergere la componente culturale della narrazione: l’antropologa e studiosa inglese Mary McIntosh, tra le fondatrici del Gay liberation front – non il primo e neanche l’ultimo esempio di accademica che unisce militanza politica a sessualità – pubblica nel 1968 The Homosexual Role, che mostra come l’omosessualità e l’eterosessualità siano entrambe basate su bias etnocentrici e che non tutte le società intendono l’attrazione verso lo stesso sesso come in Occidente.

È negli anni Novanta che gli studi lgbtq+ sbocciano: Odd Girls and Twilight Lovers di Lillian Fermann, Boots of Leather, Slippers of Gold di Elizabeth Lapovsky Kennedy e Madeline D. Davis, Gay New York di Georg Chauncey sono solo alcuni dei titoli che escono in questa decade e che raccontano le storie delle sottoculture queer, mostrando una comunità che naviga tra aperture e oppressione e che nonostante tutto rimane viva. Viene riscoperta la storia della comunità negli anni Venti e Trenta, soprattutto quella berlinese della Repubblica di Weimar, e di come essa sia sopravvissuta alla repressione degli anni Quaranta e Cinquanta. Molte e molti saranno portati a processo a causa della criminalizzazione dell’omosessualità, ma altrettanto numerose sono le persone che protesteranno e combatteranno per i diritti, sforzo che culminerà nella rivolta di Stonewall degli anni Settanta.

Foto delle proteste che seguirono la rivolta di Stonewall

I lavori di Judith Butler sulla non conformità di genere sono tra i più influenti e hanno portato alla luce quanto il ruolo di genere, che ci permette di essere identificati come uomini o donne o non-conformi a un primo sguardo, sia più legato ad una performance in cui ci esprimiamo ogni giorno tramite comportamenti e dimostrazioni che alla sfera biologica. Anche l’eterosessualità viene messa sotto esame, come in The Invention of Heterosexuality di Jonathan Ned Katz, Masculinities di R. W. Connell e The Image of Man di George Mosse, che mostrano come l’idea di mascolinità sia un prodotto della modernità. In anni recenti la riflessione ha incluso il processo di razzializzazione, come trattato in Wayward lives, Beautiful experiments di Saidiya Harmane Black on both sides. A racial history of trans identity di C. Riley Snorton che studiano il legame tra il mantenimento delle frontiere di genere e il razzismo, mettendo in luce quanto l’idea di mascolinità e femminilità in Occidente sia fondata sull’uomo e la donna bianchi europei e sulla demonizzazione di tutte e tutti gli altri.

Il secondo intervento è della professoressa Laura Schettini, docente di Storia contemporanea e Storia di genere presso l’Università di Padova, e ricostruisce la parte sociale della comunità queer e del modello etero-normativo che per lungo tempo ha oppresso tutte le sessualità non conformi. La storiografia italiana è parecchio indietro rispetto ad altri Paesi, ci sono ancora moltissime lacune su quale sia stata la condizione di vita, le esperienze e i fatti relativi alle sessualità e ai generi non-conformi. A fronte di una serie di avversità e ostacoli, però, la ricerca recente è comunque riuscita a mettere in luce la grande capacità inventiva della comunità lgbtq+ nel realizzare nuove forme di socialità e affettività, nonché forme di organizzazioni politiche atte a contestare l’ordine dominante.

L’importanza che ricopre la sessualità nel dibattito contemporaneo è enorme. La storiografia ha reso impossibile ignorare come persone non-conformi al modello etero-normativo siano sempre esistite, in tutte le società e in tutte le epoche, che esse fossero attratte dal proprio stesso sesso o non si identificassero nel genere assegnato loro alla nascita. Anche se non si conoscevano i geni o gli ormoni, già nel Medioevo ci si interrogava su come includere queste persone nell’ordine stabilito dal divino. Il discorso pubblico attorno alla sessualità è oggi però molto politicizzato: in linea con il passato continua la stigmatizzazione della sessualità e del genere soprattutto negli àmbiti più religiosi e conservatori; tuttavia, a segnare una rottura è stato il rimarcare che la comunità queer non è una categoria omogenea ed è ormai superata l’idea di studiarla solo per il suo essere altro rispetto alla sessualità tradizionale.

L’Ottocento segna la nascita della scienza sessuale e dello studio dei comportamenti sessuali, non solo all’interno dei circoli scientifici e positivisti: sul finire del secolo il discorso attorno a questo tema diventa pubblico grazie all’espandersi della stampa popolare, che sviluppa una vera e propria ossessione per ogni caso di cronaca, anche il più piccolo, che coinvolga una persona queer. La Chiesa, poi, intrattiene rapporti serrati sia con la scienza che con il popolo, volendo farsi guida della società in un momento di forti trasformazioni da essa percepito come un rischio: temendo la corruzione dei costumi e un allontanamento dal credo, promuove un modello di sessualità eterosessuale e funzionale alla riproduzione, condannando con molta più veemenza del passato tutto ciò che non sia conforme ad esso. Perché ciò accade nell’età liberale? Questi sono anni in cui viene percepita una forte crisi, un costante sentirsi sull’orlo del precipizio; il modello di famiglia tradizionale fondato su una coppia eterosessuale procreante all’interno del matrimonio viene destabilizzato dalla modernità; tutti e tutte sono concordi: la stampa, la Chiesa, la produzione scientifica, i musei e le esposizioni umane, le fotografie e le encicliche, tutto contribuisce a creare la percezione di un pericolo per i “buoni” costumi e a cercare di identificare uno o più colpevoli. Viene fatto passare come “naturale” un determinato modello di famiglia e sessualità e l’eccezionalità della crisi che lo sta mettendo a rischio, e si punta molto sul patologizzare qualunque elemento sia ad esso estraneo, a considerarlo anormale e immorale. Tutto ciò si traduce in delle misure che possano in qualche modo sanzionare questi comportamenti devianti da quella che è considerata la norma, che siano punizioni amministrative o penali o soluzioni “mediche” come il manicomio e la sterilizzazione forzata.

In Italia l’omosessualità non costituisce un reato nel Codice penale a differenza di altri Paesi, ma ciò non vuol dire che non ci siano state detenzioni e discriminazioni: chi viene scoperto a instaurare comportamenti considerati riprovevoli viene condannato a pagare multe per offesa al buon costume, oltraggio al pudore, e tutta una serie di altre catalogazioni simili. La cultura della patologizzazione dell’alterità sessuale porta a investigare in modo invasivo sui corpi di queste persone – omosessuali, lesbiche, travestite e travestiti – a esporli all’occhio pubblico, a rinchiuderli nei manicomi e nelle case di correzione, perfino nei monasteri o nei conventi. Non c’è però solo repressione: questi sono anche anni estremamente vivaci per la comunità queer, che crea per sé i propri spazi collettivi e di incontro dove potersi esprimere liberamente. Lo fanno attraverso correnti artistiche o reclamando aree urbane – quelle che oggi chiameremmo “quartieri gay” – oppure migrando nelle città per godere dell’anonimato che garantiscono e trovare qui un nuovo inizio, soprattutto nei casi delle persone trans. Da notare il curioso fenomeno del “turismo” delle persone queer appartenenti a classi altolocate, che frequentano tali ambienti in genere per cercare compagnia sessuale come accade a Capri, che in questo periodo viene “colonizzata” da una scena artistica internazionale dalla forte matrice queer e molto benestante.

Sorprendentemente, durante il fascismo non ci sono grossi cambiamenti in termini di stigmatizzazione dell’omosessualità, sia da parte della letteratura scientifica, sia dagli ambienti ecclesiastici che dalla classe politica. Il fascismo punta molto a controllare le donne e il loro corpo a fini procreativi e per questo attua imponenti campagne moralizzatrici e propagandiste col fine di indirizzarle verso il ruolo di madri; il lesbismo, di conseguenza, scompare dal discorso pubblico. L’omosessualità maschile non è un fenomeno raro nemmeno nei ranghi del partito: se si ricopre il ruolo attivo nel rapporto esso non è considerato un atto dimostrativo di una natura degenerata. Quello che porta alla condanna è altro: il ruolo passivo, l’appartenenza a una classe svantaggiata, la capacità o meno di sapersi difendere in un’aula di tribunale, l’appartenenza politica. Ciò dimostra quanto la concezione dell’omosessualità sia mutevole e influenzata dal periodo storico.

Il confino e il manicomio sono state le armi più usate contro la comunità queer, anche in età repubblicana: non sono pochi coloro che racconteranno la loro esperienza di reclusione persino negli anni Sessanta, fenomeno che riguarda soprattutto le persone transessuali e travestite.

***

Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

Un commento

  1. Grazie seguo sempre con molto interesse gli articoli di storia del genere che trovo stimolanti. I suoi mi piaciiano particolarmente per l’accuratezza con vengono trattati gli argomenti. Complimenti

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a Mariantonietta Antelli Cancella risposta