La “Furia italiana di Parigi”, così l’aveva definita Max Ernst, descrivendola come una donna di «scandalosa eleganza, capriccio e passione», Leonor Fini, o Lolò come era chiamata, è stata un’artista trasgressiva, esuberante, indipendente, libera, femminista ante litteram. La critica, soprattutto quella italiana, non le ha perdonato il suo anticonformismo, la sua vita sregolata, e l’ha condannata alla damnatio memoriae, per cui rare sono state le mostre a lei dedicate nei musei importanti, poco ancora oggi si sa della sua importante e preziosa attività come costumista, scrittrice e illustratrice.

Era nata in Argentina, a Buenos Aires nel 1907 da padre argentino di origini italiane e madre triestina. In seguito alla separazione dei genitori, la bambina fu portata a Trieste dalla madre nel 1909, e il padre, un uomo violento e dispotico, pur di riportarla in Argentina, tentò in tutti i modi di riprendersela, sino a giungere a un tentativo di rapimento. La madre, Malvina Braun, occultò allora la bambina travestendola da maschio e il mascheramento diverrà poi un tratto distintivo di Leonor. Cresciuta nell’atmosfera della Trieste del Ventennio, animata da numerose figure di letterati di livello internazionale, da Saba a Dorfles a Svevo a Joyce, nel 1928 esordì, autodidatta, nella Seconda Esposizione del Sindacato Fascista di Belle Arti di Trieste, esponendo tre ritratti, tra cui uno di Italo Svevo.

A Milano realizzò le sue prime opere importanti sotto la guida del maestro Achille Funi, che sarebbe diventato il suo amante. Nell’ambiente milanese entrò in contatto con gli artisti più importanti del tempo, Carrà, Sironi, De Pisis, Campigli, De Chirico.

Approdata a Parigi, fu introdotta da Max Ernst nell’ambiente surrealista, la cui estetica sentiva affine, e partecipò a varie mostre importanti a Parigi, Londra, Venezia e New York, anche se rifiuterà sempre di entrare formalmente nel gruppo, per conservare la sua libertà. Col tempo poi cominciò a trovare opprimente e maschilista il gruppo dei Surrealisti.
Intanto i soggetti delle sue tele diventano sempre più irrazionali e fantastici, la sua è una pittura figurativa, ma astratta nel significato: protagoniste assolute misteriose figure femminili, donne forti, libere, guerriere (come lo era lei stessa), mentre le figure maschili appaiono spesso passive, come bisognose della protezione femminile.


Ciò che la lega al Surrealismo è l’interesse per il mondo del fantastico e dell’inconscio, che trasforma la realtà quotidiana in visioni oniriche. In The Shepherdess of the Sphinxes (La pastorella delle sfingi) una donna forte, vigorosa, guida un gregge di sfingi ai suoi piedi, metà donne, metà leoni, che hanno appena consumato un pasto, di cui si intravedono i resti.

Leonor Fini
Profondamente anticonformista, amava ripetere che «Una donna dovrebbe vivere con due uomini. Uno l’amante e l’altro più di un amico».
La sua vita sentimentale è poco rispettosa delle convenzioni, passa da un amore all’altro, dallo scrittore e drammaturgo André Pieyre de Mandiargues, protagonista di tanti suoi ritratti, al diplomatico Stanislao Lepri, a Constantin “Kot” Jelenski, scrittore polacco, col quale comincia un insolito ménage à trois che comprende anche Lepri.
È lei, completamente nuda in una piscina, a comparire in una celebre fotografia del 1933 di Henri Cartier-Bresson.

A New York fu accolta con entusiasmo, e, attraverso il celebre stilista Christian Dior, ebbe modo di entrare in contatto con Elsa Schiaparelli per la quale creò nel 1938 un flacone a forma di busto femminile per il profumo Shocking.

Negli anni della guerra si stabilì in Italia, in una casa ad Anzio, ma poi tornò a Parigi, la città che amava di più e dove si sentiva compresa. Artista multidisciplinare, eclettica cominciò a lavorare come costumista teatrale, mestiere congeniale a lei che amava i travestimenti.
Per tutta la vita dipinse in scene da sogno o da incubo figure metà donna, metà felino, nelle quali si riconosceva, gatti, sfingi, donne alate, dame medievali e amazzoni. Forte era la sua passione per i gatti: l’appartamento parigino che condivideva con Lepri e Jeleński era popolato da numerosi gatti e una gatta entrerà nell’asse patrimoniale al momento della scomparsa dell’artista.


Il quadro di Leonor Fini “Personnages sur une terrasse” dipinto a Parigi nel 1938 ha sfiorato la cifra di un milione di dollari all’asta di Sotheby’s a New York il 29 giugno 2020. L’opera rientra a pieno titolo nel periodo surrealista di Leonor Fini. Il soggetto possiede decisamente caratteristiche oniriche: su una terrazza, su cui sono abbandonate delle calze e una scopa, accessorio tipico delle streghe, un uomo è seduto a destra e tre donne, vestite in modo da scoprire sapientemente il seno, dominano la scena. Sul fondo la scalinata è incorniciata da due piramidi sormontate da sfere. La donna a sinistra col suo cespuglio di capelli neri è Leonor: indossa un abito in perfetto stile Schiaparelli con camicetta rosa, lunga gonna di seta a righe e giacca di velluto verde.

Nel 1943 è di nuovo a Roma, dove iniziano le importanti amicizie con Anna Magnani, Elsa Morante (insieme a Leonor erano soprannominate “le gattare”), Mario Praz, Carlo Levi, Luchino Visconti e si legò d’intensa amicizia con l’architetto e pittore Fabrizio Clerici che frequentò assiduamente per tutta la vita. A questi anni romani appartengono i ritratti di Alida Valli a seno scoperto (1948), di Valentina Cortese (1957), di Anna Magnani (1951).


Nel dopoguerra la ritroviamo in tante foto in cui l’artista gioca con i travestimenti, assumendo pose sensuali, da femme fatale. Per Fini il travestimento non è una stravaganza, bensì è un’arte, un atto di creatività e una rappresentazione del sé su un piano fuori dallo spazio e dal tempo.

Affascinata dai travestimenti, amava partecipare alla vita mondana dei balli mascherati dove indossava maschere e abiti ideati da lei e realizzati da celebri stilisti e documentati da servizi fotografici.
Tra gli eventi mondani a cui prese parte, il più memorabile si svolse a Venezia il 3 settembre 1951, Le Bal Oriental, organizzato da un eccentrico collezionista d’arte, il miliardario franco-messicano Don Carlos de Beistegui, nel suo da poco restaurato Palazzo Labia. Vi parteciparono più di novecento persone, soprattutto membri dell’aristocrazia europea ed esponenti del jet-set internazionale. Nella creazione dei costumi si impegnarono Christian Dior, Salvador Dalì, Nina Ricci, Elsa Schiaparelli e un giovanissimo Pierre Cardin.
A Roma Fini lavorò molto per il teatro e per il cinema: suoi i costumi per il film Giulietta e Romeo, premiato con il Leone d’oro nel 1954. D’estate lasciava la città per rifugiarsi in un’antica torre di avvistamento sul lungomare di Anzio che lei e Fabrizio Clerici affittavano ogni anno, oppure presso il monastero abbandonato di Nonza, in Corsica. Qui, riuniva i suoi amici più intimi, tra cui Brigitte Bardot e Dorothea Tanning, moglie dell’amico Max Ernst e naturalmente Fabrizio Clerici che, insieme a Lepri e Jeleński, Leonor considerava suo fratello.
Negli anni Settanta Leonor si dedicò alla scrittura di alcuni romanzi, dove ritroviamo lo stesso regno surreale che animava i suoi dipinti: Histoire de Vibrissa (1973), Mourmour, conte pour enfants velus (1976), L’Oneiropompe (1978) Rogomelec (1979), testi scritti in francese e pubblicati in Francia. Solo nel 2014 appare la traduzione in italiano di Murmur, fiaba per bambini pelosi, dove il protagonista è metà uomo e metà gatto.
Dopo la morte della madre (1971), alla quale l’artista era morbosamente legata, la pittrice cedette ad uno stile diverso, più introspettivo, le sue scelte tematiche adottarono figure femminili su uno sfondo scuro, circondate da esseri inquietanti e asessuati. Alla morte di Jeleński (1987), la sua pittura si fece ancora più cupa e inquietante.


Nel 1983 Ferrara le dedicò la sua prima mostra personale. Nel 1991 in una intervista Leonor annunciò il suo ritiro a vita privata presso la fattoria sulla Loira. Morirà il 18 gennaio 1996 a Parigi e sceglierà di essere sepolta nel cimitero del paese sulle sponde della Loira, dove riposano anche i due uomini della sua vita, Kot e Stanislao.
Nel 2009 Trieste le ha dedicato una grande retrospettiva: “Leonor Fini l’italienne di Parigi” e un’altra nel 2021, in occasione del 25esimo della morte. La sua arte scandalosa è andata in scena al Museum of Sex di New York nel 2019 con la mostra “Leonor Fini – Theatre of Desire, 1930 – 1990”. Nel 2023 una mostra dal titolo “Insomnia”, al Mart di Rovereto, ha riunito le opere di Leonor Fini e quelle di Fabrizio Clerici, assieme a testimonianze filmate, documenti, fotografie, maschere, ornamenti e costumi.
***
Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.
