A Pistoia la bella piazza centrale dalla forma irregolare rappresenta un unicum nella topografia delle città medievali, infatti vi sono collocate tutte insieme le varie sedi del potere. Quello politico, quello ecclesiastico e quello giuridico sono rappresentati dalla Cattedrale di San Zeno, dal Battistero e dal Palazzo degli Anziani (o del Comune); di fianco sorgono poi l’Antico Palazzo dei Vescovi e il Palazzo di Giustizia. Qui inoltre si svolge da tempo immemorabile il mercato settimanale, perciò è davvero il cuore cittadino, il punto di incontro, il luogo degli scambi e degli affari. Il Palazzo dei Vescovi, risalente all’XI-XII secolo, fu rimaneggiato in seguito e abbellito con una scalinata e una loggia. Acquistato dalla Cassa di Risparmio ha subìto un attento restauro e ora è sede di un bellissimo museo, un vero scrigno di tesori di cui in buona parte sono state artefici le donne, e che donne!

La prima storia che vogliamo raccontare riguarda un arazzo preziosissimo, detto “arazzo Millefiori”, al momento a Roma, alle Scuderie del Quirinale per la mostra Favoloso Calvino, fino al 24 febbraio 2024. Il manufatto, insuperabile opera di sapienti mani femminili, fu realizzato con seta e lana nelle Fiandre nel XVI secolo.

È il più grande al mondo di questa tipologia: lungo quasi 8 metri, largo 2 metri e 70, perfettamente integro e del tutto privo di riferimenti araldici, raffigura una scena presa dalla natura con una incredibile quantità e varietà di piante e fiori, che probabilmente rimanda al Paradiso celeste. I colori sono tenui, in una ampia gamma di sfumature (se ne contano circa 25) e, sul fondo blu, si distinguono chiaramente iris, primule, papaveri, gigli, violette, margherite, giaggioli, tralci di vite e molti altri tipi di fiori, una quarantina in totale, fra i quali prendono vita animali fantastici e realistici: falco, fagianella, lepri, airone, cane e il mitico unicorno, simboli di biodiversità e di virtù.

L’arazzo è detto anche “dell’Adorazione” perché da fonti certe si sa che almeno dal 1661 veniva posto davanti all’altar maggiore della Cattedrale il Venerdì Santo, quando avviene l’Adorazione della Croce. Negli altri periodi era situato nella Cappella del Giudizio, dietro l’altare d’argento di San Jacopo, ma ciò creava problemi di conservazione e necessità di restauri. Ecco perché dal 2016 si è trovata la collocazione più idonea nel museo. Dal 28 ottobre scorso vi è stata allestita una proiezione interattiva dal titolo Il giardino incantato, che consente a visitatori e visitatrici una immersione totale nel capolavoro. Voluto da Fondazione Pistoia Musei e Fondazione Caript – curato da Annamaria Iacuzzi, Cristina Taddei e Gaia Ravalli, con la supervisione della direttrice di Pistoia Musei Monica Preti –, il progetto è stato ideato e realizzato con il collettivo artistico camerAnebbia e rimarrà a disposizione del pubblico fino al 29 febbraio 2024.
Dopo la celebrazione dell’arte del ricamo, che a Pistoia rappresenta una tradizione assai significativa legata al lavoro femminile a cui sono dedicati un affascinante museo e una rotonda (Vv n.214), dobbiamo prendere atto di un fenomeno che risale indietro nei secoli: il mecenatismo praticato da donne intelligenti e lungimiranti.

Ne abbiamo parlato anche nella nostra guida Pistoia. Tracce, storie e percorsi di donne (Eus, 2017) a proposito dei numerosi conventi femminili che avevano, fra 1600 e 1700, grandi disponibilità economiche grazie ai patrimoni familiari delle suore. Emblematica la vicenda della Cappella del Santissimo Crocifisso, ampliata e abbellita da pregiati stucchi e affreschi grazie alle sorelle Rutati, la badessa Alma Costante e la monaca Teresa, che resero accogliente e armonioso quello spazio, allo scopo di onorare il padre Bartolomeo e i fratelli. Sul n. 231 di Vitamine vaganti abbiamo pure raccontato la generosità di Marina Marini, vedova del celebre scultore Marino con le cui opere ha permesso l’allestimento di un importante museo in città; veniamo ora ad altre due donne che hanno lasciato il segno a Pistoia grazie alle donazioni visibili proprio all’interno del Palazzo dei Vescovi.

Al primo piano, in una sala appositamente ricostruita, è esposto il ciclo di pitture murali di ispirazione agreste provenienti da Villa Falconer e realizzate nel 1867 dal famoso pittore ferrarese Giovanni Boldini (1842-1931). È grazie alla tenace ricerca di una donna se oggi quelle tempere possono essere ancora ammirate in tutta la loro bellezza. La storia è avvincente e degna di un romanzo.
Le pitture che ornavano un tempo una delle stanze di Villa Falconer (o La Falconiera) presso Collegigliato, nelle campagne pistoiesi, furono commissionate al giovane Boldini dall’inglese Isabella Falconer, sua amica e proprietaria dell’edificio. Alla morte della donna, dopo pochi anni di distanza dalla loro realizzazione, la villa fu venduta e si finì per perdere memoria dei preziosi dipinti.

Spetta a Emilia Cardona (1899 -1977), assai discussa moglie del pittore (fra i due correvano ben cinquantasette anni di differenza), il merito di aver avviato un’incessante e avventurosa ricerca che ha portato al ritrovamento delle tempere dimenticate. La giornalista piemontese, affascinante e intraprendente, conobbe a Parigi, nel 1926, l’anziano artista intervistato per la Gazzetta del Popolo e dopo qualche anno di convivenza i due si sposarono nel 1929, dopo che lei ottenne l’annullamento del matrimonio precedente. Nel poco tempo vissuto accanto a Boldini, di cui fu nominata erede universale, Emilia si preoccupò di raccoglierne le testimonianze e i ricordi, molti dei quali poi inseriti nel suo libro Vie de Jean Boldini che uscì dopo la morte del marito.
Fra le memorie una in particolare dovette colpire la sua fantasia: quella relativa alla sala di una villa di campagna dipinta in gioventù, tanto che Emilia si adoperò con tutte le forze per ritrovare il luogo, di cui però sapeva ben poco;

aveva dimenticato il nome della città dove si trovava l’edificio, sapeva solo che iniziava con la lettera P e che l’abitazione era riconoscibile per la presenza sui pilastri del cancello di due falconi in terracotta. Credendo inizialmente che il luogo fosse Perugia, la vedova iniziò a ricercare nelle campagne umbre la casa, ma senza risultato. La fortuita scoperta di una lettera che menzionava Pistoia nella corrispondenza del marito portò Emilia sulla pista giusta: che fosse Pistoia e non Perugia la città? La ricerca questa volta dette i suoi frutti: dopo aver ritrovato l’immobile in stato di semiabbandono e individuato la sala dipinta, ormai utilizzata da anni come magazzino di mezzi agricoli, nel 1938, affascinata dalla storia e dalla bellezza delle campagne circostanti, procedette al suo acquisto, stabilendo qui la propria dimora.

Alla sua morte, nel 1977, così come da disposizioni testamentarie, le tempere murarie furono lasciate in dono alla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, che si occupò del restauro e ne dispose il distacco per ragioni conservative, trasferendole all’interno del polo museale dell’Antico Palazzo dei Vescovi, dove oggi possono essere ammirate.

Non meno prestigiosa, anche se meno originale e meno avventurosa l’acquisizione della Collezione Bigongiari, dedicata a preziose pitture del Seicento fiorentino, raccolta nell’arco di una vita dal poeta toscano Piero Bigongiari e poi proseguita, alla sua morte avvenuta nel 1997, dalla seconda moglie, Elena Ajazzi Mancini, definita in una poesia del marito «mia amante, mia sorella, mia madre o stella». La vedova ha lasciato infatti in eredità al Comune di Pistoia l’archivio del marito e una collezione di oltre 6000 volumi alla Biblioteca San Giorgio. Nata a Barberino di Mugello (Fi) il 22 gennaio 1922 e morta a Firenze il 10 marzo 2006, Elena era figlia del prof. Mario Ajazzi Mancini, figura di spicco della comunità barberinese, proprietario della farmacia nella piazza centrale; conobbe Piero nel 1948 e lo sposò l’anno successivo. Ma con il paese rimase un legame affettivo perché vi tornavano per goderne la pace in estate e in autunno, quando lasciavano il capoluogo toscano, e il poeta vi è pure sepolto. Laureata in chimica, Elena non esercitò la professione per dedicarsi al marito, al figlio Luca e ai suoi numerosi interessi, primo fra tutti quello per la pittura e il collezionismo. Né lei né Piero erano dunque pistoiesi: il poeta, figlio di un ferroviere, era di origini livornesi, ma nato a Navacchio (Pi) e la famiglia si spostò per motivi di lavoro in varie località toscane, tra cui Pescia, Pistoia (dove frequentò il liceo classico) e poi Firenze. Evidentemente, però, il legame con Pistoia rimase forte e vivo se fu presa la decisione di lasciare qui tutte le carte e i libri. La raccolta delle opere d’arte invece fu acquisita dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e ora la possiamo ammirare in tutta la sua magnificenza.

Che dire di più? Grazie ad anonime mani di fata delle lontane Fiandre abbiamo l’arazzo, grazie a due vedove di uomini illustri abbiamo altri capolavori, che vengono ad arricchire ulteriormente il patrimonio visibile nel Palazzo dei Vescovi, di per sé un’opera insigne di architettura medievale. Come diciamo ogni volta, Pistoia riserba a visitatori e visitatrici sorprese e meraviglie.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
